di Massimo Zucchetti
È notizia recente che un apparato sperimentale statunitense, la National Ignition Facility (NIF) avrebbe compiuto un grande passo in avanti nello studio della Fusione Termonucleare Controllata, rendendo più vicina e più credibile la proposta della Fusione come una fonte di energia nella seconda metà di questo secolo.
Per la prima volta, in un reattore e non in una bomba, un plasma termonucleare è in grado di autosostenersi senza bisogno di apporto di energia dall’esterno per mantenersi “caldo” e in grado di continuare le reazioni di fusione. È l’ignizione: una meta inseguita fin dagli anni '50.
Leggiamo ovunque affermare che questo significhi “produrre più energia di quanto se ne consumi” (condizione di “breakeven”), ma non è corretto: l’ignizione è molto di più e molto meglio.
Un plasma ignito in un reattore a fusione è in grado di produrre energia sotto forma di neutroni molto veloci che – opportunamente rallentati e assorbiti nella struttura del reattore – vi depongono calore il quale, asportato da un fluido, serve a riscaldarlo e quindi, nei modi consueti dei cicli termodinamici, a produrre elettricità.
Questo mentre – sempre grazie all’energia sprigionata dalla reazione di fusione – il plasma ignito è in grado anche di badare a se stesso, mantenendosi alla giusta temperatura e densità per poter continuare a reagire senza apporti dall’esterno.
Idealmente, il parallelo con la “criticità” del primo reattore a fissione, la pila di Fermi del dicembre 1942, viene spontaneo e non può non entusiasmare.
Quasi nessuno di chi celebra questo passo in avanti, compiuto dalla tecnologia denominata “Fusione Inerziale Controllata” (ICF), però, oltre a confondere breakeven con ignizione, dimostra decente conoscenza dell’argomento: perché nell’ambito degli studiosi sulla fusione nucleare è noto anche ai sassi che la tecnologia della NIF è sviluppata in ambito militare, ed ha come scopo principale e dichiarato lo studio delle esplosioni atomiche termonucleari, in vista dello sviluppo di ordigni termonucleari di nuova generazione – e poi “anche” la produzione di energia.
Ancora come la Pila di Fermi, che fu il prototipo dei reattori plutonigeni del progetto Manhattan per la bomba atomica a fissione: di produrre energia se ne parlò dopo un decennio passato a produrre il plutonio per le bombe atomiche.
I pericoli che possono derivare dal cammino verso la fusione concepito dal progetto NIF e dalla “fusione inerziale” sono enormi, ed è per quel motivo che il cuore di questa tecnologia è protetto da segreto militare, ed è sviluppato con fondi provenienti dal ramo “difesa” dell’industria nucleare statunitense sulla fusione.
Stupisce, per non dire atterrisce, il giubilo ed ‘il suon di man con elle’ che hanno salutato questo primo passo di una tecnologia verso lo sviluppo di nuovi ordigni termonucleari disponibili in larga scala e non disciplinati dal Trattato Internazionale di Non-Proliferazione Nucleare (TNP).
È oltremodo urgente che al riguardo si faccia chiarezza, e che questi progetti vengano sottratti, se possibile, al controllo di una sola Nazione, ma siano invece sviluppati dalla Comunità Internazionale, come i progetti sull’altro “tipo” di fusione, la fusione magnetica, come ad esempio il progetto ITER.
È altrettanto urgente che il TNP, datato 1968, venga aggiornato per includere queste nuove tecnologie fra quelle da sorvegliare per impedire la proliferazione della disponibilità di ordigni atomici a molti Stati che non li devono possedere, oltre che impedire un rifiorire di attività di ricerca e sviluppo del nucleare militare negli USA e negli altri paesi “atomici militari”, dopo che la moratoria di fatto sui test di bombe atomiche ha praticamente fermato lo sviluppo di questi ordigni a partire dagli anni '70.
Se saranno realizzate queste due premesse, allora si potrà più serenamente studiare il comportamento di un “burning plasma”, un plasma ignito e autosufficiente come quello ottenuto dal NIF: è importante, perché è la prima volta che succede, fuori dal Sole o dalle bombe termonucleari, e non si sa bene, non del tutto, come un plasma del genere si comporti, quali saranno le leggi di trasporto che le particelle cariche seguiranno in un caso simile.
Quanto abbiamo affermato prima appare forse eccessivamente allarmistico ed anti-progresso, come succede a volte per i vecchi scienziati di fronte alle novità?
Non crediamo sia così: per questo si fa seguire qui sotto una analisi più dettagliata del problema in lingua inglese: nihil novum sub soli, essa è tratta e riassunta da un articolo scientifico pubblicato dalla scrivente addirittura nel lontano 2011.
È notizia recente che un apparato sperimentale statunitense, la National Ignition Facility (NIF) avrebbe compiuto un grande passo in avanti nello studio della Fusione Termonucleare Controllata, rendendo più vicina e più credibile la proposta della Fusione come una fonte di energia nella seconda metà di questo secolo.
Per la prima volta, in un reattore e non in una bomba, un plasma termonucleare è in grado di autosostenersi senza bisogno di apporto di energia dall’esterno per mantenersi “caldo” e in grado di continuare le reazioni di fusione. È l’ignizione: una meta inseguita fin dagli anni '50.
Leggiamo ovunque affermare che questo significhi “produrre più energia di quanto se ne consumi” (condizione di “breakeven”), ma non è corretto: l’ignizione è molto di più e molto meglio.
Un plasma ignito in un reattore a fusione è in grado di produrre energia sotto forma di neutroni molto veloci che – opportunamente rallentati e assorbiti nella struttura del reattore – vi depongono calore il quale, asportato da un fluido, serve a riscaldarlo e quindi, nei modi consueti dei cicli termodinamici, a produrre elettricità.
Questo mentre – sempre grazie all’energia sprigionata dalla reazione di fusione – il plasma ignito è in grado anche di badare a se stesso, mantenendosi alla giusta temperatura e densità per poter continuare a reagire senza apporti dall’esterno.
Idealmente, il parallelo con la “criticità” del primo reattore a fissione, la pila di Fermi del dicembre 1942, viene spontaneo e non può non entusiasmare.
Quasi nessuno di chi celebra questo passo in avanti, compiuto dalla tecnologia denominata “Fusione Inerziale Controllata” (ICF), però, oltre a confondere breakeven con ignizione, dimostra decente conoscenza dell’argomento: perché nell’ambito degli studiosi sulla fusione nucleare è noto anche ai sassi che la tecnologia della NIF è sviluppata in ambito militare, ed ha come scopo principale e dichiarato lo studio delle esplosioni atomiche termonucleari, in vista dello sviluppo di ordigni termonucleari di nuova generazione – e poi “anche” la produzione di energia.
Ancora come la Pila di Fermi, che fu il prototipo dei reattori plutonigeni del progetto Manhattan per la bomba atomica a fissione: di produrre energia se ne parlò dopo un decennio passato a produrre il plutonio per le bombe atomiche.
I pericoli che possono derivare dal cammino verso la fusione concepito dal progetto NIF e dalla “fusione inerziale” sono enormi, ed è per quel motivo che il cuore di questa tecnologia è protetto da segreto militare, ed è sviluppato con fondi provenienti dal ramo “difesa” dell’industria nucleare statunitense sulla fusione.
Stupisce, per non dire atterrisce, il giubilo ed ‘il suon di man con elle’ che hanno salutato questo primo passo di una tecnologia verso lo sviluppo di nuovi ordigni termonucleari disponibili in larga scala e non disciplinati dal Trattato Internazionale di Non-Proliferazione Nucleare (TNP).
È oltremodo urgente che al riguardo si faccia chiarezza, e che questi progetti vengano sottratti, se possibile, al controllo di una sola Nazione, ma siano invece sviluppati dalla Comunità Internazionale, come i progetti sull’altro “tipo” di fusione, la fusione magnetica, come ad esempio il progetto ITER.
È altrettanto urgente che il TNP, datato 1968, venga aggiornato per includere queste nuove tecnologie fra quelle da sorvegliare per impedire la proliferazione della disponibilità di ordigni atomici a molti Stati che non li devono possedere, oltre che impedire un rifiorire di attività di ricerca e sviluppo del nucleare militare negli USA e negli altri paesi “atomici militari”, dopo che la moratoria di fatto sui test di bombe atomiche ha praticamente fermato lo sviluppo di questi ordigni a partire dagli anni '70.
Se saranno realizzate queste due premesse, allora si potrà più serenamente studiare il comportamento di un “burning plasma”, un plasma ignito e autosufficiente come quello ottenuto dal NIF: è importante, perché è la prima volta che succede, fuori dal Sole o dalle bombe termonucleari, e non si sa bene, non del tutto, come un plasma del genere si comporti, quali saranno le leggi di trasporto che le particelle cariche seguiranno in un caso simile.
Quanto abbiamo affermato prima appare forse eccessivamente allarmistico ed anti-progresso, come succede a volte per i vecchi scienziati di fronte alle novità?
Non crediamo sia così: per questo si fa seguire qui sotto una analisi più dettagliata del problema in lingua inglese: nihil novum sub soli, essa è tratta e riassunta da un articolo scientifico pubblicato dalla scrivente addirittura nel lontano 2011.
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Implicazioni militari e di proliferazione nucleare della fusione a confinamento inerziale
Implicazioni militari e di proliferazione nucleare della fusione a confinamento inerziale
Abstract. Viene effettuata un’analisi tecnica degli aspetti ambientali relativi alle implicazioni dei sistemi di fusione a confinamento inerziale (ICF) in termini di proliferazione delle armi nucleari, che convalida i principali punti tecnici e dimostra che il pieno accesso alla fisica delle armi termonucleari è la principale implicazione dell’ICF.
La fusione a confinamento magnetico (MCF) implica il pieno accesso alla tecnologia del trizio su larga scala come principale impatto sulla proliferazione, tuttavia mostra problemi di proliferazione inferiori rispetto all’ICF.
Introduzione
L’energia da fusione nucleare presenta chiari vantaggi rispetto all’energia da fissione nell’area dell’impatto ambientale e anche in quella più vicina della non proliferazione. Per non proliferazione intendiamo i requisiti del TNP (Trattato di Non Proliferazione) che, firmato nel 1968, limita il possesso di armi nucleari a 5 nazioni (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e regola il flusso di materiali nucleari di potenziale interesse militare.
La fusione ha un basso impatto ambientale. Mentre le centrali a fissione producono combustibile esaurito con emivita di migliaia di anni, gli unici rifiuti radioattivi prodotti da una centrale a fusione sarebbero quelli del combustibile intermedio, il trizio, e la radioattività generata nei materiali strutturali.
La radioattività del trizio è di breve durata, con un tempo di dimezzamento di circa 12 anni, e se scelti in modo appropriato i materiali strutturali hanno un tempo di dimezzamento sufficientemente breve da non rappresentare un peso per le generazioni future.
La fusione è intrinsecamente più sicura della fissione in quanto non si basa su una massa critica di combustibile. Ciò significa che ci sono solo piccole quantità di combustibile nella zona di reazione, rendendo impossibile la liquefazione del nocciolo (meltdown, o “Sindrome cinese”).
Secondo gli statuti dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), attualmente nessuno dei materiali disponibili in una centrale a fusione è classificato come importante per le salvaguardie nucleari o richiede i controlli del Trattato di Non Proliferazione.
Tuttavia, poiché i neutroni di fusione potrebbero essere utilizzati per generare materiale fissile, le centrali a fusione dovranno essere soggette a controlli di sicurezza internazionali. Tali salvaguardie sarebbero molto meno costose e più facili da applicare rispetto al caso della fissione, perché si cercherebbe materiale fissile o fertile in un ambiente in cui non dovrebbe essere presente, mentre si cercherebbero piccole discrepanze nei grandi inventari degli impianti di fissione.
Questo articolo contiene un’analisi delle implicazioni per la proliferazione delle armi nucleari dei sistemi di fusione a confinamento inerziale (ICF), mentre un’analisi più ampia e più estesa, e un confronto con quelli a confinamento magnetico (MCF), si trovano in questo articolo dell’autore:
1. M. Zucchetti, Proliferation Implications for Thermonuclear Fusion, Journal of Environmental Protection and Ecology 12, No 4A, 2071-2080 (2011)
Per riassumere in una frase, mentre il pieno accesso alla fisica delle armi termonucleari è l’implicazione principale dell’ICF, le implicazioni sulla proliferazione dei sistemi tokamak MCF sono largamente inferiori, anche se non trascurabili in linea di principio.
È molto importante che la tecnologia della fusione magnetica mostri il minor legame possibile con qualsiasi questione di proliferazione: questo deve essere visto come uno dei suoi obiettivi principali, uno dei suoi chiari vantaggi rispetto alla fusione inerziale e alla fissione. La MCF potrebbe essere l’unica tecnologia nucleare a non essere nata con il cosiddetto “peccato originale” dell’applicazione militare.
Molte tecnologie ausiliarie associate alla fusione termonucleare e ai fasci ad alta energia possono essere di importanza militare: generazione di radiofrequenze ad alta potenza per i radar e la guerra elettromagnetica; superconduttività e criogenia per le piattaforme militari nello spazio esterno; generazione di campi magnetici elevati per la compressione magnetica e gli esplosivi a fusione pura; tecnologia di potenza pulsata per la radiografia a raggi X flash e per i cannoni elettromagnetici; materiali e dispositivi elettronici a prova di calore e di forti irradiazioni per gli esplosivi convenzionali e nucleari; micro e nano-tecnologie per la produzione di massa di armi nucleari di quarta generazione, ecc.
Reattori a fusione e trizio
Nell’ultimo decennio si è diffusa la consapevolezza che lo sviluppo dei sistemi di fusione si accompagna alla diffusione delle conoscenze e dei materiali necessari per la produzione di armi termonucleari.
Questa consapevolezza è il risultato di una serie di sviluppi politici e tecnici che hanno spostato parte del dibattito sulla proliferazione delle armi nucleari dal suo focus tradizionale (ovvero il ciclo del combustibile nucleare da fissione e le relative tecnologie di arricchimento e ritrattamento) e hanno iniziato a mettere in evidenza i problemi militari associati ai sistemi di energia nucleare emergenti: sistemi di fusione per la produzione di energia e la simulazione di armi nucleari, concetti basati su acceleratori per l’amplificazione dell’energia e la produzione del trizio, tecnologie di energia pulsata per applicazioni civili e militari, ecc.
Le agenzie internazionali che regolano il flusso di materiali strategici si sono finora rifiutate di classificare il trizio come sostanza “salvaguardabile”, cioè come materiale rilevante per gli armamenti militari.
Il motivo apparente è che le armi nucleari possono essere fabbricate senza il trizio, e quindi non è un materiale strategico essenziale come lo sono il plutonio o l’uranio arricchito. Questo è vero solo dal punto di vista tecnico, poiché tutte le armi nucleari prodotte dagli Stati dotati di armi nucleari utilizzano quasi certamente il trizio. Pochi grammi di trizio sono sufficienti per “potenziare” bombe composte da pochi chilogrammi di plutonio militare – o da reattore – rendendole più piccole e più leggere dei progetti convenzionali e trasportabili con missili anziché con aerei bombardieri.
Le bombe “potenziate” contengono solo 4 kg di plutonio o 12 kg di uranio altamente arricchito, pesano meno di 100 kg e hanno un diametro di circa 30 cm. Le bombe “potenziate” possono essere percepite come “facili da usare”, poiché la possibilità di un’esplosione nucleare accidentale è considerata quasi impossibile.
Nello stoccaggio, il gas deuterio-trizio è contenuto in un serbatoio separato al di fuori del nocciolo, nel caso in cui si verificasse un’esplosione accidentale dei componenti chimici dell’esplosivo, le quantità relativamente piccole di plutonio o uranio coinvolte non sarebbero sufficienti per un’esplosione nucleare completa.
Ciò significa che il plutonio da reattore, relativamente instabile e incline alla fissione spontanea, potrebbe essere utilizzato, con un rischio significativamente ridotto date le piccole quantità di materiale necessarie in una bomba “potenziata”. Il “boosting” è essenzialmente utilizzato in tutte le armi nucleari moderne. Lo sviluppo di bombe “potenziate” conferma quindi l’importanza del trizio per la questione della non proliferazione delle armi a fissione.
I reattori a fusione sperimentali, così come la realizzazione di reattori a fusione su scala commerciale, pongono il problema della proliferazione del trizio, perché il loro funzionamento implica l’uso di chilogrammi di trizio.
Una volta operativo, l’inventario di trizio di ITER (The Interna- tional Tokamak Experimental Reactor in costruzione in Francia) sarà di circa 2-3 kg: infatti, all’interno dell’impianto di trizio di ITER, un inventario totale di tale quantità sarà necessario per far funzionare la macchina nella fase DT.
Durante il funzionamento del plasma, il trizio sarà distribuito nei diversi sottosistemi del ciclo del combustibile. Attualmente, la quantità totale di trizio nelle scorte di armi degli Stati Uniti è di circa 100 kg, una media di 10 g di trizio per testata: quindi l’inventario di trizio in ITER sarebbe sufficiente, in teoria, per potenziare molte armi nucleari.
Un programma di reattori a fusione fornisce una giustificazione non militare per l’acquisizione di una tecnologia del trizio su scala industriale. Con la costruzione di un grande reattore a fusione, la produzione di trizio su larga scala, in uno Stato non dotato di armi nucleari, diventa giustificata.
È relativamente più facile nascondere quantità significative di trizio che di plutonio e, dato che le quantità richieste sono più piccole (grammi anziché chilogrammi), molto meno radioattive e più difficili da rilevare, sarà necessario mettere in atto procedure efficaci per garantire la sicurezza del materiale.
Va sottolineato, d’altra parte, che le misure di sicurezza contro la diversione del trizio sono abbastanza facili da attuare nel caso di dispositivi a fusione nucleare. Il trizio sarà presente in quantità considerevoli solo in alcuni sistemi, come ad esempio i sistemi di purificazione, stoccaggio e iniezione del trizio.
Tuttavia, in ogni impianto di fusione esiste un sistema di monitoraggio continuo ed estremamente dettagliato del trizio. Le registrazioni di tali misurazioni possono essere facilmente tenute sotto controllo dall’autorità di ispezione.
Natura militare e di proliferazione della Fusione a Confinamento Inerziale (ICF)
Come è già stato spiegato, molte tecnologie relative all’energia termonucleare hanno potenziali importanti applicazioni militari in armi nucleari e non. Laser, acceleratori, dispositivi superconduttori, ecc. sono componenti chiave di nuovi tipi di armi non nucleari: armi laser e a fascio di particelle, cannoni elettro-magnetici, ecc.
Un chiaro esempio dell’ambivalenza della ricerca termonucleare con i laser ad alta energia è il progetto di utilizzare la tecnologia sviluppata per la National Ignition Facility (NIF) degli Stati Uniti per costruire un laser terrestre per eliminare i detriti spaziali vicini alla Terra: un simile dispositivo sarebbe anche un’efficace arma antisatellite.
I contributi più diretti dell’ICF alla proliferazione riguardano ovviamente la fisica e gli effetti delle armi termonucleari. L’ICF presenta rischi particolari di proliferazione verticale, come il rischio che possa contribuire allo sviluppo di armi nucleari avanzate. Se fosse disponibile un reattore, sarebbe possibile la produzione di plutonio o 233U, con conseguente necessità di controlli di sicurezza.
Dal background teorico dell’ICF si possono trarre insegnamenti sulla fisica del plasma ad alta energia, che potrebbero essere utili nella progettazione di codici informatici per la simulazione di esplosioni nucleari. Nel caso di un programma segreto di armi nucleari, gli esperti di teoria dell’ICF potrebbero svolgere un ruolo utile.
Altri concetti di fusione, come la fusione a confinamento magnetico, non presentano rischi simili. I grandi esperimenti ICF possono essere utilizzati per sostituire in una certa misura i test nucleari sotterranei, minando così la politica di contenimento della proliferazione verticale. Finché i progetti ICF si svolgeranno nell’ambito di una cooperazione internazionale, i loro obiettivi saranno civili e non di applicazione di armi nucleari, e il rischio di proliferazione verticale potrebbe essere ridotto in una certa misura.
Tuttavia, se una nazione porta avanti un proprio programma ICF, i rischi sono molto più elevati.
Nel 1997, in una revisione del programma ICF, la sezione relativa alla “rilevanza del National Ignition Facility (NIF) per la gestione delle scorte basata sulla scienza (SBSS)” evidenzia i seguenti punti:
– Garanzia della disponibilità di combustibile per le armi termonucleari;
– Convalida dei codici di calcolo e studio delle proprietà dei materiali;
– Accensione (ignizione) di un plasma.
1. Lo studio della combustione in presenza di miscela;
2. La diagnosi del plasma ICF;
3. Fenomeni di densità ad alta energia;
4. Prova di principio dell’energia di fusione inerziale (IFE).
Pertanto, l’enfasi principale è posta sulla sottolineatura dei potenziali benefici dell’ICF per il futuro dello sviluppo di armi nucleari.
I sistemi ICF consentono di studiare gli effetti nucleari e non nucleari delle bombe termonucleari. Questi ultimi consistono negli effetti della detonazione a bassa e ad alta quota, singola o multipla, nell’atmosfera.
Tali studi consentono di prevedere gli effetti di esplosioni successive in un ambiente multi-burst, di valutare l’estensione spaziale e la durata delle interferenze nelle comunicazioni satellitari e di valutare gli effetti di schermatura radar che ostacolano la rilevazione di missioni secondarie13. Dal 1964, a causa del Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari (PTBT), questi problemi non possono essere studiati con esplosioni nucleari reali nell’atmosfera.
Dopo la scoperta del principio di Teller-Ulam e alcuni importanti miglioramenti negli anni ’60, il progresso delle armi termonucleari ha subito un forte rallentamento. Infatti, nonostante oltre 50 anni di ricerca e sviluppo, e dopo quasi 2000 esplosioni di prova, la comprensione scientifica dei dettagli del sistema secondario è ancora incompleta.
Uno dei problemi principali dei test su scala reale è che il secondario di una bomba vera e propria è sepolto in profondità all’interno dell’arma, circondato da uno spesso ablatore e dal contenitore delle radiazioni. Pertanto, la maggior parte dei dati sperimentali sulla parte termonucleare dell’esplosione è indiretta. In confronto, un pellet ICF è un secondario quasi nudo e molte configurazioni possono essere testate a piacere, con capacità diagnostiche molto migliori rispetto ai test nucleari sotterranei. La promessa dell’ICF è una descrizione completa della fisica delle armi termonucleari a partire dai principi primi.
La National Ignition Facility (NIF), completata nel 2009, è stata progettata per stabilire la fattibilità scientifica di esplosioni a fusione pura, cioè di armi nucleari di quarta generazione, senza plutonio o uranio.
In tali armi, i pellet di deuterio-trizio potrebbero essere fatti esplodere con i laser invece che con la reazione a catena convenzionale, che richiederà lo sviluppo di dispositivi laser ad alta energia molto più piccoli. Qualsiasi Paese che conosca la tecnologia ICF e laser potrebbe sviluppare un dispositivo di questo tipo. Le conseguenze intrinseche di un dispositivo a fusione pura vanno ben oltre il basso costo e la resa esplosiva notevolmente ridotta.
La cosa più significativa è che le testate a fusione pura, a differenza di quelle che utilizzano materiale fissile, non sono ancora coperte dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP).
In termini di diritto internazionale, qualsiasi Paese può legalmente possedere e persino vendere tali armi senza violare il TNP. Inoltre, il combustibile deuterio-trizio può essere acquistato apertamente sul mercato internazionale. Lo spirito del TNP può essere violato, ma non la lettera.
Inoltre, poiché non c’è alcun componente fissile e la resa esplosiva è così piccola, i test operativi completi di un dispositivo a fusione pura potrebbero essere condotti in qualsiasi Paese e non essere rilevati dai sistemi di monitoraggio dei test sulle armi nucleari. Se i test fossero condotti nel sottosuolo a una profondità moderata, ad esempio da 50 a 100 metri, anche gli abitanti locali non sospetterebbero nulla.
Ad esempio, gli esperimenti sul NIF potrebbero essere utilizzati per progettare bersagli ottimali per esperimenti che utilizzano condensatori ad alta energia o driver che utilizzano combinazioni di sostanze chimiche ed energia elettromagnetica che possono essere resi abbastanza compatti per le armi. Gli esperimenti con questi tipi di dispositivi potrebbero rappresentare un progresso significativo verso la progettazione di armi a fusione pura.
La complessità degli esperimenti sui bersagli ICF richiede che vengano analizzati simulando l’esperimento con codici bidimensionali e tridimensionali. La verifica e il miglioramento dei codici di progettazione delle armi sono quindi parte integrante degli esperimenti ICF. Poiché la ricerca ICF viene svolta anche in Stati non dotati di armi nucleari, gli scienziati di questi Stati hanno sviluppato e pubblicato codici informatici molto sofisticati. Questi codici consentono, in particolare, di simulare la dinamica e la stabilità dell’implosione (di materiali passivi o nucleari) guidata da raggi X, fasci ad alta energia o altri tipi di motori: alti esplosivi chimici, campi magnetici, cannoni elettromagnetici, ecc.
L’ultimo punto sottolineato nella valutazione dell’ICF del 1997, l’accensione, si riferisce al fatto che i processi macroscopici come l’accensione del plasma termonucleare non sono ancora ben compresi. Speciali bersagli ICF che assorbono l’energia del driver e la convertono in raggi X consentono di studiare direttamente la fisica dell’accensione della bomba H.
A prescindere dai dettagli, il successo dell’accensione di microesplosioni termonucleari in laboratorio aprirà la strada a due tipi di applicazioni che rimarranno sicuramente in ambito militare:
– Armi nucleari di quarta generazione.
– Energia da fusione inerziale. Il successo dell’accensione e una sufficiente riduzione di scala del driver fornirebbero un sostituto molto attraente per i numerosi reattori nucleari utilizzati dalle forze armate.
Gran parte di ciò che è stato detto sull’ICF nella sezione precedente non si applica all’MCF, poiché il funzionamento di un dispositivo MCF è caratterizzato da una densità di plasma molto minore (e da un tempo di combustione corrispondentemente molto più lungo) rispetto a un dispositivo ICF o a un’esplosione termonucleare. Per questo motivo, la fisica e la tecnologia dell’MCF sono meno strettamente legate alle armi termonucleari rispetto all’ICF.
Conclusioni
È stata tentata un’analisi sistematica delle implicazioni effettive e latenti dei sistemi di energia da fusione in materia di armi nucleari.
Lo sviluppo di sistemi energetici a fusione inerziale migliora la conoscenza della fisica delle armi termonucleari e dà impulso allo sviluppo di una serie di tecnologie che hanno soprattutto applicazioni militari.
Lo sviluppo di centrali a fusione DT, sia MCF che ICF, porrebbe problemi di non proliferazione perché in queste centrali verrebbero prodotte quantità molto elevate di trizio (dell’ordine dei chilogrammi).
I reattori a fusione che utilizzano la fusione DT genereranno abbondanti neutroni che potrebbero essere utilizzati per produrre materiale fissile di grado militare con modifiche relativamente piccole.
I problemi di abbondanza di neutroni e di proliferazione del trizio nei sistemi energetici a fusione potrebbero essere risolti adottando progetti innovativi di reattori e cicli di combustibile avanzati, basati sulla fusione nucleare Deuterio-Elio3, vedi ad esempio;
2. Massimo Zucchetti*, Raffaella Testoni, ENERGY: A STUDY FOR ADVANCED SOLUTIONS INCLUDING LOW-NEUTRON NUCLEAR FUSION, Bollettino Ambientale Fresenius, Volume 26 – No. 1/2017, pagine 75-79
Riferimenti
L’elenco completo dei riferimenti è disponibile nel documento in Rif. 1
Fonte
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