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04/12/2022

Tassi a zero e bassi salari: tanti rischi e nessuna crescita

di Guido Salerno Aletta

C'è una questione di fondo, da cui occorre partire: in un sistema economico aperto agli scambi internazionali, ai rapporti commerciali corrispondono altrettanti rapporti finanziari. Uno squilibrio commerciale ne comporta uno identico sul piano finanziario. Per comprare bisogna pagare comunque, con denari propri o presi a prestito. Chi vende può accontentarsi di farlo a credito, ma rischia.

Le due crisi profondissime, quella americana del 2008 e quella europea del 2010, sono derivate da squilibri strutturali nei conti commerciali e in quelli finanziari: le famiglie americane avevano comprato case, automobili e altri beni di consumo durevoli attraverso mutui e prestiti concessi senza verificare che avessero una adeguata capacità di rimborsare i debiti. Questi venivano cartolarizzati e venduti sui mercati internazionali: alti interessi ad alto rischio, fino al default.

Lo stesso è accaduto con la Grecia, che non era mai stata in equilibrio con la bilancia dei pagamenti, con un debito pubblico fuori controllo, e con le sue banche che si indebitavano all'estero per finanziare il credito all'interno. Lo stesso accadde pure in Spagna, un Paese con le finanze pubbliche in piena regola, ma le cui famiglie si erano ingozzate di debiti immobiliari senza avere un corrispondente ammontare di risparmio interno che li bilanciasse: i fondi venivano dalle banche francesi e tedesche, che impiegavano i propri fondi a tassi assai elevati. Lo stesso avevano fatto con la Grecia, così come era successo alla Irlanda, le cui banche si erano indebitate con quelle inglesi per finanziare la bolla immobiliare.

C'è dunque un nodo cruciale: i capitali vanno sempre in cerca di rendimenti. Tanto più i rendimenti sono elevati, tanto maggiore è il rischio sotteso: i buoni debitori trovano tanti capitali pronti a finanziarli, e dunque il tasso di interesse è relativamente basso. I debitori che forniscono poche garanzie di rimborso trovano assai meno finanziatori, che rischiando molto chiedono rendimenti più elevati.

Alle due crisi, quella americana e quella dell'Europa, derivanti da squilibri strutturali nelle relazioni commerciali e nella capacità di risparmio, si è data una duplice risposta: soprattutto in Europa, si sono ridotti in primo luogo i salari e dunque la domanda interna per rimettere in sesto i rapporti commerciali con l'estero, contraendo le importazioni e favorendo le esportazioni. In secondo luogo, la severità del Fiscal Compact, con l'obiettivo del pareggio strutturale dei bilanci pubblici, è stata attenuata dalle manovre fortemente espansive della BCE, che ha immesso liquidità comprando titoli di Stato, con la conseguenza di ridurre i tassi di interesse. Non solo li ha azzerati dal punto di vista nominale, ma spesso li ha determinati ad un livello negativo, per cui era addirittura il prestatore di capitali che finanziava il debitore.

Bassi salari da una parte e bassi tassi di interesse dall'altra: imprese e Stati, avevano un immediato vantaggio sotto il profilo della riduzione dei costi di esercizio e finanziari. Ma per le imprese europee, il mercato interno si era fatto sempre più debole e quindi si rivolgevano all'estero.

A loro volta, visti i bassi tassi di interesse corrisposti sui prestiti e sui bond, i capitali non hanno avuto alcun incentivo a finanziare le imprese ed i loro investimenti in innovazione ed in aumento della capacità produttiva. Le imprese, a loro volta, hanno cercato di mantenere invariati i profitti contraendo sempre di più i salari per vendere meglio all'estero: inutile investire per innovare, anche se il credito è a tassi favorevolissimi, quando si può competere con il medesimo prodotto vendendolo a meno.

Fatto sta che il ciclo degli investimenti delle imprese si è arrestato e che i capitali si sono orientati verso investimenti speculativi, ad alto rendimento ed altro rischio. Prestare i propri soldi ad interessi zero, o addirittura negativi finanziando il debitore, è da scemi.

La fiammata dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici ha una ragione di fondo insuperabile e ben nota come teoria quantitativa della moneta. È stata la tanta nuova moneta immessa dalle Banche centrali che ne ha svilito il suo valore: tanta moneta in più, disponibile per comprare la medesima quantità di merci offerte, ha fatto aumentare i prezzi.

L'aumento dei tassi di interesse non basta da solo a recuperare il tempo perduto, sia in termini di investimenti che di reddito.

La tassazione delle imprese e dei capitali deve essere regressiva: in funzione degli investimenti effettuati nell'economia reale, dell'aumento della occupazione e dei salari.

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