Una volta messe da parte le fanfare capiremo forse meglio la “portata storica reale” dell’arresto di Matteo Messina Denaro, latitante da 30 anni e considerato “l’ultimo capo della mafia”.
Catturato in una clinica privata palermitana – La Maddalena – considerata il fior fiore dell’“eccellenza” sanitaria siciliana. Non un “medico compiacente”, ma la struttura più nota e quindi “istituzionale” della regione.
Col passare delle ore emergono dettagli che danno un quadro meno “eroico” di questa cattura. Messina Denaro era praticamente da solo, accompagnato da un “autista” anche lui arrestato per “favoreggiamento”. In quella clinica ci andava da almeno un anno, forse due, sotto falso nome (che ci sembra davvero il minimo, per un personaggio del genere).
La prima foto lo mostra decisamente vecchio, molto magro. Dettaglio successivo: era in cura per un tumore “in zona addominale”, forse al colon (uno di quelli che presentano una delle più alte percentuali di mortalità). Pare – ma non è stato ancora confermato – che fosse stato già operato da tempo, e che dunque fosse in clinica per i controlli di routine.
Le cronache dicono che comunque, alla vista dei carabinieri, abbia provato ad allontanarsi. Immaginiamo col passo di un anziano malato. Un “tentativo di fuga” fatto più per abitudine che con convinzione... Suo padre, del resto, era stato fatto trovare solo dopo la morte.
Alla richiesta delle generalità avrebbe detto subito “Sono Matteo Messina Denaro”, chiudendo immediatamente la questione.
Come i nostri lettori sanno, abbiamo in odio la “dietrologia” e dunque non proviamo neanche ad abbozzare ricostruzioni di fantasia su fatti che non possiamo conoscere nelle dinamiche reali (come, del resto, la marea di giornalisti e commentatori che in queste ore occupano la scena).
Però le stesse cronache, un paio di mesi fa, avevano riferito le considerazioni di Salvatore Baiardo, a suo tempo persona di fiducia di boss mafiosi, addirittura in televisione (da quel pessimo personaggio di Giletti): “Che arrivi un regalino?... Che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?”
Anche l’altra battuta dell’ex “uomo di fiducia” era stata piuttosto chiara: «la trattativa Stato-mafia non è mai finita».
E dunque, mettendo semplicemente in fila i puntini, la lettura di questo arresto diventa politicamente meno trionfale (specie per un governo composto da forze politiche che hanno avuto decine di esponenti arrestati per rapporti con vari tipi di mafie).
Messina Denaro, come altri boss prima di lui (sicuramente Bernardo Provenzano, “preso” quando ormai era in condizioni psicofisiche molto debilitanti), se pure non si fosse “fatto arrestare” dopo una “trattativa”, per le sue condizioni di salute era ormai impossibilitato a continuare ad esercitare il ruolo che gli viene da tutti attribuito (“capo della mafia” non è una carica onorifica...).
E dunque si è messo, per mancanza di alternative (curare un tumore non si può fare in qualche masseria o scantinato), in una condizione in cui l’arresto era fortemente probabile.
Non c’è nulla di strano, se si pensa alla mafia per quello che è: una istituzione, ovviamente criminale, fortemente collegata per “ragioni d’affari” con una infinità di clientele politiche, fin su, ai vertici dello Stato.
In Italia ci sono stati diversi ministri considerati espressione diretta di famiglie mafiose famose e almeno un paio di presidenti del consiglio (Andreotti e ovviamente Berlusconi, che ospitava un boss come Vittorio Mangano nella sua tenuta di Arcore).
E sappiamo anche che c’è stata a suo tempo una esplicita “trattativa Stato-mafia”, dopo le stragi del 1992-93, che ha coinvolto tutta classe politica d’allora.
Dunque, non ci sembra affatto “dietrologico” pensare che l’istituzione mafia – preso atto che il proprio “presidente del consiglio” stava arrivando a conclusione della sua vita – abbia proceduto come tutte le altre istituzioni ad elaborare un “ricambio generazionale”. Ovviamente con il consenso del diretto interessato...
Ci sarebbero anche molti vantaggi, in un’operazione del genere. Messina Denaro è l’ultimo nome di rilievo tra i ricercati. L’ultimo esponente del “gruppo dirigente” che faceva capo a Totò Riina.
Consegnato lui, con tutti gli onori e le cure del caso, la mafia torna ad essere un fantasma di cui si può parlare al passato, come se non esistesse. Contenti tutti, sia i mafiosi sia l’antimafia...
La “grande vittoria dello stato”, festeggiata da Giorgia Meloni, si riduce in questo senso a ben poca cosa (“un regalino“, come detto da Baiardo). Utile come “arma di distrazione di massa” – tra problemi con i benzinai e conflitti interni – ma a poco altro...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento