di Guido Salerno Aletta
Assentandosi volutamente durante la votazione sulla procedura di adesione dell'Ucraina all'Unione europea, e poi mettendo il veto sugli aiuti ulteriori per 54 miliardi di euro, il Premier ungherese Viktor Orbán ha ottenuto un duplice risultato:
- da una parte ha evitato di fare ancora una volta la figura del "Signornò!", essendo rimasto isolato nel contrastare l'allargamento a Kiev, un processo di lunga lena che oggi ha un valore simbolico, sul piano politico e strategico, ma che comporterà uno sconvolgimento della politica agricola comune e della ripartizione dei finanziamenti netti;
- e dall'altra ha creato difficoltà immediate ed insormontabili all'Ucraina che cerca disperatamente risorse finanziarie ed armi per continuare la guerra in corso contro l'invasione della Russia.
C'è una sottovalutazione di fondo dell'Ungheria, che già nel '56 cercò di ribellarsi alla dominazione dell'URSS dovendone poi subire la repressione manu militari: è un popolo riottoso, assai poco malleabile, che sa bene quali sono i suoi interessi.
Basta vedere quello che sta succedendo ai suoi confini con l'Ucraina, alle migliaia di tonnellate di grano che vengono bloccate in attesa di entrare in Europa: ci sono questioni di concorrenza, di prezzi, di condizioni produttive su cui sorvoliamo senza renderci conto dell'impatto che hanno sui proventi degli agricoltori degli altri Paesi. Se è indubitabile che la straordinaria fertilità delle pianure ucraine ne ha fatto da millenni il "granaio d'Europa", è altrettanto vero che la PAC, la "Politica Agricola Comune", è un pilastro fondamentale della Unione europea: non assicura solo una redistribuzione di risorse a favore delle campagne, ma controbilancia il conto tra contributori e percettori netti di risorse.
L'ingresso nell'Unione europea da parte dell'Ucraina, che ha redditi bassissimi, una elevata produzione agricola nel settore dei cereali, e che è devastata dalla guerra in corso, avrà un enorme impatto sulla distribuzione dei Fondi europei: non solo si ridurrebbero notevolmente i proventi complessivi di molti Paesi slavi, come Ungheria, Polonia, Romania e Bulgaria, ma si tenderebbe all'azzeramento dei contributi di cui beneficiano ancora gli agricoltori e gli allevatori dei Paesi considerati ricchi, e che sono dunque contributori netti, come Germania, Francia ed Italia.
Con questo paso doble, Orbán ha sfidato l'Europa intera, che tace sulle conseguenze sistemiche che deriveranno dall'ingresso della Ucraina.
Sopire e tacere: questa è la regola.
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