Le elezioni amministrative sono scadenze elettorali che sul territorio funzionano come un censimento: fanno quindi capire molto più dei dati che forniscono e ci danno una visione complessa di quello che sta accadendo in città.
Quello che è accaduto a Livorno va letto attraverso una serie di criteri: il progressivo invecchiamento della popolazione (nel 2008 i pensionati rappresentavano il 29% degli abitanti del territorio oggi oltre il 42%); il calo del potere di acquisto dei livornesi (dai dati acquisiti in campagna elettorale superiore a quello delle grandi città); l’elevata propensione all’indebitamento per il credito al consumo per compensare il calo del potere d'acquisto (Livorno è il capoluogo di provincia top in Italia per questo fenomeno); la prevalenza dei contratti precari (72%) nelle nuove assunzioni.
Questi criteri rendicontano l’esistenza di tre fenomeni che attraversano Livorno determinandone il presente e il futuro: rendita, debito, precarietà. Il debito è la zona che mette a contatto rendita e precarietà determinando significative differenze di classe visto che la rendita è in grado di usare il debito, mentre la precarietà solo di subirlo. È chiaro che la rendita sta cambiando, non solo per il degrado del sistema pensionistico, ma sia per i patrimoni ereditari che passano ai più giovani che per le mutazioni di un mercato immobiliare maggiormente legato al turismo. Ma sta cambiando anche il precariato sempre più legato a servizi di bassa qualità vista anche la presenza molto ridotta a Livorno di imprese innovative.
In questo contesto la vittoria al primo turno del centrosinistra alle amministrative 2024 è molto diversa da quelle dell’epoca del PCI o dello stesso centrosinistra negli anni della finanziarizzazione e del boom immobiliare e dei servizi dopo la fine del modello industriale in città.
Prima di tutto perché si tratta di una presa del potere ottenuta grazie a un apporto molto minore della popolazione rispetto al passato (in sostanza ha votato un cittadino su due con un -8% rispetto alla già bassa percentuale di voto nazionale). Poi perché a differenza del PCI, che esprimeva la classe dirigente dell’epoca industriale, e del centrosinistra del passato, che rappresentava comunque fenomeni emergenti, questa vittoria si spiega con l’intreccio tra poteri esistenti, rendita, debito e precarietà.
Come si direbbe in un altro linguaggio si tratta di una vittoria che interpreta pienamente il presente.
La vittoria del centrosinistra di oggi è quella della capacità di mettere assieme interessi molto diversi nei “mondi” attraversati da questi tre fenomeni che sono “abitati” in modo molto differenziato. Si tratta di una capacità ottenuta in modo tradizionale, con la classica mediazione face-to-face, con l’intervento dei cartelli elettorali e con un marketing anni ‘10 che risulta efficace specie quando egemone.
Il risultato, in termini di potere, è andato ben oltre il campo del centrosinistra visto che hanno votato Salvetti spezzoni corposi di centrodestra, in nome della capacità di salvaguardia della rendita, e in caso di secondo turno era già pronto un soccorso a sinistra. Insomma, il centrosinistra ha composto una long tail molto estesa fatta di portatori di interesse – alcuni grandi, altri piccoli – che si è riconosciuto nella proposta Salvetti. Questo fenomeno, assieme a una astensione inedita, ha fatto la differenza.
Rendita, debito precariato, assieme, hanno caratteristiche antropologico-politiche ben precise: sono fenomeni legati prevalentemente alla dimensione del presente – dominato o subito, non importa – e, oltre a interessi immediati, sono sensibili alla dimensione onirica del marketing che è il piano simbolico-comunicativo che li tiene assieme oltre a esse una industria che cresce proprio grazie a loro. Si può anche sorridere vista la gracilità degli interessi immediati garantiti dal centrosinistra e il trash dell’onirico tipico del marketing del primo cittadino durante tutto il mandato. Ma una volta smesso di sorridere si nota che tutto questo funziona e intercetta gli intrecci di potere che passano tra rendita, città indebitata e precariato.
Così a Livorno, alla restrizione seria della platea elettorale ha corrisposto, da parte del centrosinistra, l’occupazione maggioritaria della platea dei portatori di interesse. Questo in uno scenario nel quale il concetto di futuro appartiene al marketing politico elettorale, e poi a quello della vita di tutti i giorni, ma non, o almeno non al momento, alla pratica dei portatori di interesse.
Se c’è un altro fenomeno nel quale un livello di astensione mai visto a Livorno si rispecchia è quello della perdita di controllo economico, e politico, del territorio a causa del ritrarsi, dalla città, dell’economia e della politica formali (ne abbiamo parlato qui). Di per sé il fenomeno è facilmente spiegabile: meno stato ed economia sono presenti minore è la partecipazione ai fenomeni elettorali. Che tutto questo porti al rischio azzeramento della vita municipale è nei fatti.
Siamo quindi in una zona ai confini della realtà, quella concepita come tale negli ultimi due-tre decenni, ovvero nella norma delle società distopiche come le nostre. La nostra distopia è che la parte di città che si sottrae al voto semplicemente, sul piano politico e sociale, scompare. Non ricompare altrove, o in attesa di tempi migliori, semplicemente svanisce.
Se dare suggerimenti, in un contesto del genere, è da maestrini risulta invece etico avvertire che di fronte a fenomeni di questo tipo niente, o poco, delle certezze acquisite serve veramente a qualcosa se si vuol dare un futuro a questa città.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento