Prosegue in maniera accelerata la campagna messa in atto dal Partito Comunista Cinese per ottenere l’indipendenza tecnologica in campo digitale dall’Occidente e mettere al sicuro le catene di produzione.
Tale campagna è stata denominata Xinchuang ed è spinta dai massimi livelli decisionali del partito e dello stato. “Dobbiamo incrementare gli sforzi di R&S nei semiconduttori, nelle macchine utensili e nei software fondamentali”, ha esortato il Presidente Xi Jinping ai massimi scienziati e decisori politici quest’estate. “Essi forniscono la spina dorsale tecnologica per catene di fornitura indipendenti, sicure e controllabili”.
Il 24 settembre il Financial Times ha parlato della direttiva dello scorso mese di marzo che ordina a tutti gli enti pubblici di escludere da tre quarti dei nuovi ordinativi di laptop quelli equipaggiati con processori Intel e AMD, sui quali potrebbe scattare un embargo da un momento all’altro (o potrebbero addirittura esplodere nelle mani di chi li utilizza, si è appreso recentemente), per sostituirli con dispositivi recanti chip di aziende cinesi.
A ricevere maggiori ordinativi è stato il Qingyun L540 della Huawei. Questo dispositivo è stato esaminato da TechInsight, azienda che si occupa proprio di fornire consulenze alle industrie di semiconduttori, la quale ha fornito diversi particolari sui suoi componenti hardware
Il processore HiSilicon 9006C è di produzione taiwanese, da parte della TSMC, con tecnologia chip a 5 nanometri ed è stato ricavato dalle considerevoli scorte fatte da Huawei prima che scattasse l’embargo.
Il disco SSD è di produzione della sudcoreana SK Hynix, probabilmente nelle sue fabbriche in Cina, e reca una data d’impacchettamento successiva rispetto a quando le sanzioni ne avrebbero dovuto impedire la fornitura.
Le schede Wi-Fi e Bluetooth sono interamente a produzione Huawei.
La scheda audio sono a produzione Godix, azienda cinese.
I controllori USB sono forniti dalla statunitense Microchip.
Per quanto riguarda il software, invece, il sistema operativo è Unity, una distribuzione GNU Linux sviluppata interamente in Cina, che fornisce fogli di calcolo, documenti, software per gestire e modificare foto, ecc., in modo da risultare equivalente a Microsoft Windows.
Ne viene fuori un quadro in cui, pur essendo ancora presenti dei componenti di produzione straniera, si evidenziano forti progressi rispetto alla dipendenza tecnologica dagli USA che fino a pochi anni fa era sostanziale.
Alcune fonti indiane forniscono qualche dettaglio in più rispetto a come viene organizzata e pianificata la campagna Xinchuang. Alla base, vi è un comitato governativo, le cui attività ed i cui membri non sono pubblici per motivi strategici (e anche di sicurezza, se si pensa alla fine che hanno fatto gli scienziati iraniani addetti al programma nucleare), incaricato, appunto, di fissare gli obiettivi, verificarne il raggiungimento e scegliere con quali aziende collaborare per raggiungerli, ammettendone anche dei dirigenti al proprio interno. Ne farebbero parte, ad esempio, personale di Loongson, produttore di CPU con sede a Pechino, Inspur, produttore di server e Standard Software, sviluppatore di sistemi operativi.
Sarebbero escluse le aziende con una proprietà straniera superiore al 25%. Tuttavia, Alibaba e Tencent Holdings, i maggiori providers di servizi cloud del paese, che non rispettano questo criterio, sarebbero riuscite ad entrarvi tramite aziende controllate.
Frutto dell’azione del comitato Xinghuang sono, ad esempio, i provvedimenti governativi che hanno costretto i provider di servizi cloud stranieri come Amazon Web Services e Microsoft a stabilire joint venture per poter operare in Cina. Inoltre, Apple ha trasferito la sua attività di archiviazione dei dati utenti a un operatore sostenuto dal governo a Guizhou.
Uno dei prossimi obiettivi fissati riguarderebbe le case automobilistiche, che sarebbero state “sollecitate” ad utilizzare i chip cinesi per il 25% del loro fabbisogno entro il prossimo anno; non sono ovviamente note le conseguenze per chi non si atterrà a tale standard.
Il comitato Xinchuang sostiene di aver generato 25 miliardi di dollari di attività indigene nel 2023, cifra che supererà i 100 miliardi di dollari entro il 2025, per giungere ad un risultato di sostanziale indipendenza digitale nel 2027.
Come si vede, il disaccoppiamento tecnologico viene attivamente perseguito dalla Repubblica Popolare Cinese attraverso gli strumenti della pianificazione; non viene solamente “subito”, come in maniera autoconsolatoria si raccontano politici e giornalisti in Occidente.
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