Inutile cercare una ragione educativa o pedagogica nell’ultima legge sulla scuola proposta dal Ministro Valditara e approvata due giorni fa dalla Camera.
Per trovare il senso di quella legge si deve leggerla in combinazione al noto Decreto “Sicurezza” (o meglio insicurezza per lavoratori, studenti, oppositori in genere). Infatti, la logica dei due provvedimenti è la stessa, cioè l’intimidazione e la repressione verso qualunque forma di opposizione, superando in alcuni aspetti anche il famigerato e “fascistissimo” Codice Rocco.
È anche probabile che il governo, di fronte alle decisioni antipopolari già prese e che prenderà prossimamente (in arrivo tra altro una finanziaria-stangata) voglia “portarsi avanti” predisponendo un impianto intimidatorio e repressivo atto a contenere le proteste popolari.
In particolare, nella scuola, dove la situazione peggiora quotidianamente, con un pesante impoverimento della didattica che è piegata alle esigenze delle imprese e sottomessa alla tecnocrazia, la mancanza di insegnanti stabili e, per arrivare a fatti assai concreti, si sono verificati nello scorso anno 70 crolli per strutture fatiscenti, non si vede come gli studenti non abbiano tutte le ragioni di protestare.
Tra l’altro, in tema di asservimento alle esigenze padronali, il Ministero ha appena stanziato ulteriori 55 milioni di finanziamento all’aberrante ITS Academy, vero punto di forza della penetrazione dei privati nei percorsi formativi e sicuramente l’entrata in vigore dell’autonomia differenziata di Calderoli favorirà sempre più le mire delle imprese sulla scuola, naturalmente spacciate per rapporto con il territorio.
Naturalmente, si tenta di mascherare la nuova legislazione punitiva con l’esigenza della lotta al bullismo e il ristabilimento dell’autorevolezza dei docenti.
Balle.
Il bullismo, che purtroppo è sempre esistito nella scuola, ha radici sociali e psicologiche per le quali la minaccia di una punizione non ha deterrenza. Quanto all’autorevolezza degli insegnanti, che nulla ha a che vedere con l’autoritarismo, è una qualità che ciascun docente si conquista sul campo nel suo operare e in questo caso non c’è ovviamente bisogno di punizioni.
Da un punto di vista politico più generale, peraltro, non favoriscono il rispetto per gli insegnanti le dichiarazioni come quelle di Salvini sui docenti che lavorano poco e che fanno tre mesi di ferie (altra balla governativa) o le stupidaggini dei talk show televisivi dove tutti sono “esperti di scuola”, tranne chi ci lavora e ci studia.
La realtà, sfrondata dalle fandonie del governo, è piuttosto che si vuole mettere in mano dei presidi un potente strumento repressivo, poiché lo studente che riceve un cinque in condotta deve ripetere l’anno e se invece si prende un sei deve stendere una composizione autoflagellante in cui dichiara di avere compreso il danno provocato dai suoi comportamenti (l’umiliazione tanto desiderata da Valditara e in realtà assai antieducativa).
Assolutamente fuori dalla realtà poi l’idea di monetizzare eventuali comportamenti irrispettosi verso il personale scolastico con multe sino a 10.000 €. Forse si tratta di un tentativo di far avere dalle scuole quei finanziamenti per puntellare i tetti pericolanti a cui Ministero ed enti locali mai provvedono.
In ogni caso è evidente che la strada imboccata dal governo è quella della repressione del conflitto nella scuola e nella società, negando che è normale, anzi costitutivo della dialettica di una società democratica. Per la scuola, si tratta di un fatto molto inquietante.
Non si deve dimenticare che la scuola, oltre a fornire istruzione in un certo numero di discipline, esercita anche sui giovani un ruolo di formazione ideologica, che attiene alle relazioni sociali, ai rapporti di potere, alla concezione stessa della società. Una funzione che secondo l’attuale governo dovrebbe corrispondere a formare dei giovani proni al potere e a qualunque sua prepotenza, senza reagire e temendo punizioni esemplari.
Del resto, se si esaminano le indicazioni stilate da Valditara (e bocciate dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione) per l’Educazione Civica, vi si trova la “cultura dei doveri” necessaria per rispettare “le regole per una società ordinata”. Insomma, non la democrazia come partecipazione dei cittadini, non la libertà d’espressione bensì il dovere di rispettare l’ordine esistente. Come nel noto ventennio che portò l’Italia in fondo al baratro.
Peraltro, l’idea della partecipazione democratica e del confronto delle idee sono viste dal Ministero come pericolose perversioni, se si nota la meticolosità con cui si ostacolano e reprimono tutte le manifestazioni associative degli studenti, anche la semplice costituzione di un collettivo di scuola o l’effettuazione di un’assemblea.
La democrazia, scriveva un filosofo ed educatore non certo estremista come John Dewey, “è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata”.[1]
Ciò significa che la democrazia s’impara vivendola ed esercitandola e dunque è importante che gli studenti sperimentino la partecipazione a collettivi, assemblee, autogestioni e che possano anche ricorrere a forme di protesta e opposizione. Solo così ci si forma alla democrazia che è proprio quello che in Viale Trastevere è visto con orrore.
Note
[1] John Dewey: Democrazie e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 110.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento