Era da un paio di settimane che si parlava con insistenza della possibile revisione da parte dell’Istat dei dati sul PIL nel periodo tra il 2021 e il 2023. Un’attesa che avrebbe potuto cambiare lo scenario della legge di bilancio in via di scrittura e il Piano strutturale di bilancio da consegnare alla UE.
L’istituto di statistica ha finalmente diffuso i nuovi calcoli, che migliorano leggermente il quadro italiano. Infatti, attraverso nuovi elementi statistici e criteri di contabilizzazione, il paese guadagna 21 miliardi per il 2021, 34 per il 2022 e 43 per il 2023, per un totale di 98 miliardi.
Il governo ne ha subito approfittato per fare propaganda sul suo operato, sottolineando come l’economia sia tornata ai livelli precedenti la crisi del 2007. Dirlo 17 anni dopo significa che abbiamo vissuto quasi una generazione di collasso economico prima e di stagnazione poi: non propriamente una vittoria della classe dirigente.
Ma, ad ogni modo, la situazione è un tantino più complessa e non propriamente rosea, considerate le regole europee. Il rapporto tra debito e PIL si è ridotto dal 137,3% stimato ad aprile al 134,6% attuale, mentre il rapporto tra deficit e PIL per il 2023 si è ridotto di due decimi di punto (dal 7,4% al 7,2%).
Non è difficile vedere come l’atteso miglioramento sia di poco conto, e soprattutto come non cambi assolutamente il quadro economico nei confronti delle richieste di Bruxelles. La necessità di rientro del debito rimane la stessa, per un valore di una decina di miliardi l’anno.
Difatti, il ministro dell’Economia Giorgetti ha affermato: “la revisione dei dati è di lieve entità” e – questo è il nodo fondamentale – “non cambiano i principi e il quadro del Piano strutturale di bilancio già esaminato dal Cdm lo scorso 17 settembre”.
Il Piano sarà ovviamente aggiornato “alla luce dei numeri comunicati oggi da Istat”, col testo definitivo atteso al Consiglio dei ministri in programma per il 27 di settembre. I suoi contenuti non saranno di certo rivoluzionati dalle nuove informazioni statistiche.
Il governo si trova ancora nella difficoltà di dover trovare le coperture necessarie per le misure che vuole mantenere, e per ora i dati appena resi pubblici hanno concesso solo un paio di miliardi di flessibilità, al massimo. Sempre Giorgetti ha fatto presente che l’intenzione è quella di riportare il rapporto deficit/PIl entro il 3% già nel 2026.
Per farlo, serve o che il prodotto cresca nettamente, o si appresti un piano di tagli netti. La prima cosa sembra piuttosto improbabile (qui la novità dall’Istat è addirittura negativa: invece dello 0,9% stimato, solo lo 0,7), dato che la crescita dello scorso anno è stata data soprattutto dagli ultimi effetti del Superbonus 110, a cui ora bisogna dire addio.
C’è poi un altro dato che non è stato invece posto sotto i riflettori. Gli investimenti fissi lordi, nel 2023, sono aumentati in volume dell’8,5%, il che dovrebbe rappresentare, in via generale, un buon segnale.
Eppure, il valore aggiunto in volume nello stesso anno è diminuito dell’1,6% nell’industria in senso stretto e del 3,5% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, mentre è aumentato del 6,7% nelle costruzioni (ma c’è di mezzo, appunto, il Superbonus 110) e dell’1,1% nei servizi. Non è certo la prova di una ripresa solida della crescita.
Insomma, ci si deve aspettare che Palazzo Chigi continui sulla strada dell’austerità che è sempre stata fatta proprio da ogni governo dell’ultimo quindicennio (e più...), in linea con le scelte di Bruxelles.
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