La scalata tentata e non ancora abbandonata di Commerzbank da parte di Unicredit ha portato all’intervento diretto del cancelliere tedesco, a cui ha risposto il ministro degli Esteri italiano Tajani. Ma lo scontro ha a che fare non tanto con le regole di mercato, ma con la natura stessa di quello comunitario.
Ripercorriamo i fatti. Un paio di settimane fa Unicredit aveva acquistato il 9% delle azioni dell’istituto tedesco, per poi proseguire nella scalata con la sottoscrizione, lunedì scorso, di una serie di strumenti finanziari per prendere il controllo di un ulteriore 11,5%: una fetta della banca del valore di 3,9 miliardi, che l’avrebbe resa la prima azionista.
La transizione sarà finalizzata solo una volta che sarà stato ottenuto il via libera da parte delle autorità finanziarie europee. Ma Unicredit non si vuole fermare qui, e ha già dichiarato l’interesse ad arrivare al 29,9% in breve tempo, ottenendo così il controllo di Commerz, che tra gli azionisti conta anche il governo tedesco.
Berlino, che con le suo quote esercitava una sorta di golden share, ora si attesta al 12% delle azioni, ma è qui che è intervenuta la politica, contraria alla scalata dell’istituto italiano. Lo stesso cancelliere Scholz, come accennato, è intervenuto sulla questione.
“Attacchi non amichevoli, acquisizioni ostili non sono una buona cosa per le banche”, ha detto. Ha poi aggiunto anche: “il governo si è posizionato in modo netto e dice chiaramente: noi riteniamo che non sia adeguato in Europa e in Germania procedere con metodi non amichevoli, senza alcuno spirito di cooperazione e senza concordare nulla, per partecipare ad un’impresa”.
A rispondergli è stato Antonio Tajani: “in Europa c’è il libero mercato. Non capisco perché quando qualcuno viene ad acquistare in Italia si dice che siamo in un sistema europeo, poi se un italiano acquista non è più mercato unico”. Una dichiarazione che mostra il nodo sotteso della questione.
Il problema di fondo, infatti, è la contraddizione tra il processo di concentrazione e centralizzazione dei capitali nell’area UE e gli interessi nazionali. Il primo continua a guidare l’evoluzione della cornice comunitaria, ma fino ad oggi la Germania l’aveva sempre fatta da padrona in questa dinamica.
Ora Berlino scopre che nella costruzione di un ‘campione europeo’ in ambito bancario può anche perdere (date le condizioni tutt’altro che rosee del sistema tedesco), e allora interviene la politica per cercare di mettere una pezza. Ma la fusione in grandi agglomerati bancari è una cosa che è stata auspicata anche nei rapporti di Letta e Draghi.
La BCE e persino la BaFin, un’autorità di vigilanza finanziaria tedesca, si sono detti favorevoli a questa operazione di acquisizione. Il vicepresidente della Banca Centrale, Luis de Guindos, ha dichiarato in un’intervista: “il consolidamento a livello trans-frontaliero è importante e speriamo che continui a fare progressi nel breve termine”.
Il banchiere ha poi continuato: “il contrasto fra le valutazioni di Borsa delle banche europee è un segnale dei nostri problemi. Credo che una delle ragioni sia la mancanza di una vera unione bancaria, e gli approcci nazionali che ancora esistono nel settore bancario. A causa di ciò, gli investitori considerano le banche americane come dotate di un maggiore valore intrinseco rispetto a quelle europee”.
De Guindos approfitta dell’occasione per ricordare che, sul piano strategico, lo sguardo nazionale mette i bastoni fra le ruote a quel salto di qualità che la UE deve fare, anche nel settore finanziario, per poter competere con i colossi statunitensi. Il problema non è mai stato il libero mercato, che non esiste (almeno non secondo la definizione da manuale), ma è chi comanda.
Che alla fine una fusione vada portata a termine per fare i conti con il quadro attuale della competizione globale è indubbio. Che sia una banca ‘italiana’ è il tema che non va già a Scholz, che apre un braccio di ferro tutto interno alla concorrenza interna comunitaria.
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