Il sistema dell’innovazione della Repubblica popolare cinese è molto più avanti di quanto gli Stati Uniti pensassero e ha conquistato già il primato in alcuni settori, mentre in molti altri potrebbe avere bisogno di un decennio per raggiungere o superare i concorrenti occidentali. Così le conclusioni del rapporto “China Is Rapidly Becoming a Leading Innovator in Advanced Industries”, redatto dalla International Technology and Innovation Foundation (Itif), presentato mercoledì scorso al Congresso degli Stati Uniti.
Il report è il risultato di 20 mesi di ricerca sulla capacità d’innovazione di 44 compagnie cinesi, in settori chiave quali semiconduttori, veicoli elettrici, intelligenza artificiale e nucleare. L’analisi del think tank con sede a Washington è basata su parametri quali: investimenti in R&D, personale, team aziendali dedicati, quote di mercato e riconoscimenti internazionali ottenuti.
Secondo lo studio dell’Itif, i settori nei quali la Cina è già in vantaggio sono: veicoli e batterie elettriche. Per quanto riguarda i veicoli elettrici, la ricerca sottolinea che la Cina attualmente produce il 62 per cento dei veicoli elettrici mondiali e il 77 per cento delle batterie per veicoli elettrici del mondo. Il ricercatore dell’Itif Stephen Ezell ha ricordato che nel 1985 la Cina fabbricava 5.200 automobili, mentre le stime per il 2024 arrivano a 26,8 milioni, ovvero il 21 per cento della quota globale, che dovrebbe salire al 30 per cento entro il 2030.
Sulla produzione di centrali nucleari, la Cina sarebbe 10-15 anni avanti rispetto agli Stati Uniti, capace già di costruire reattori nucleari di quarta generazione su larga scala, il primo dei quali, Shidaowan, è entrato in funzione il 6 dicembre scorso nella provincia settentrionale dello Shandong.
Entro il 2030, si prevede che la Cina supererà gli Stati Uniti nella produzione di energia nucleare, essendo già diventata il primo paese a implementare operativamente reattori avanzati di quarta generazione con nuovi design e sistemi di sicurezza passiva.
Per quanto riguarda il settore bio-farmaceutico, lo studio di Itif rileva che la Cina è ancora indietro rispetto ai leader Usa e occidentali, ma che, tra il 2002 e il 2019, ha quadruplicato il suo valore aggiunto.
Discorso simile per quanto riguarda la robotica, con l’eccezione di Kuka, la compagnia tedesca acquistata nel 2016 dalla cinese Midea. Inoltre nel 2023 la Cina ha prodotto 430.000 robot industriali, mentre nel triennio 2021-2023 l’installazione di nuovi robot in Cina ha sempre superato la metà del totale globale: dunque è ancora da valutare l’impatto che ciò avrà sul sistema industriale.
Anche sui microprocessori la Cina ha un ritardo di due-cinque anni: il nuovo Kirin 9000 che funge da cervello degli smartphone Huawei di alta gamma è il frutto di una capacità di adattamento delle tecnologie in essere piuttosto che di una svolta innovativa da parte del colosso di Shenzhen, sotto sanzioni Usa dal 2019.
A tal proposito l’Itif non ha nascosto i possibili “effetti collaterali” delle restrizioni varate dall’amministrazione Biden, che ha bloccato l’esportazione verso la Cina dei microchip più avanzati (ad esempio quelli della californiana nVidia) e dei macchinari per fabbricarli (come quelli dell’olandese Asml). Avere nello stesso tempo rinunciato, lasciandola nelle mani dei concorrenti-avversari, alla manifattura dei processori meno performanti, potrebbe rendere una gran quantità di industrie (compresa quella dell’automotive) dipendente da tecnologia cinese, dal momento che i microchip più avanzati, sulla cui manifattura hanno scommesso gli Stati Uniti, vengono in realtà impiegati solo in categorie piuttosto ristrette di prodotti hi-tech.
Inoltre il 70 per cento degli studenti cinesi nelle materie scientifiche e tecnologiche non rimangono negli Usa dopo essersi laureati nelle loro università, ma vanno ad alimentare la ricerca nelle aziende e nei laboratori statali cinesi.
Per questo a Washington la linea prevalente resta quella del decoupling tecnologico dalla Cina. A conclusione della presentazione del report dell’Itif, il deputato repubblicano John Moolenaar, neo presidente del (bipartisan) Comitato speciale della Camera sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese, ha dichiarato: «Le restrizioni alle esportazioni e ai capitali in uscita sono una condizione necessaria per la nostra vittoria sul Pcc, e combinando questi strumenti con investimenti nella nostra innovazione, possiamo vincere».
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