TARANTO – Grazie all'intervento di Ercole Incalza pubblicato domenica sulla situazione vissuta dall'ex Ilva di Taranto, apriamo sul nostro giornale un vero e proprio dibattito aperto per affrontare i temi della drammatica emergenza vissuta dal più grande polo siderurgico europeo e dalle persone e famiglie che vivono all'ombra della produzione di acciaio in terra jonica.
Oggi ospitiamo la riflessione a voce alta dell'Ing. Angelo Racca, che nella sua vita professionale è stato nella Italimpianti s.p.a. per l’ufficio di Taranto dal ’74 con il ruolo di direzione tecnica e Project Management di grandi lavori nel settore dell’impiantistica siderurgica e in particolare per la ricostruzione degli altofomi n. 3 e n. 5 e Colate continue n.4 e n. 5 dell’Italsider di Taranto.
di Angelo Racca
Mi dispiace esprimere valutazioni critiche sull’analisi dell’Ing. Incalza relativa all’attuale situazione del Centro Siderurgico di Taranto e, quindi, della Siderurgia italiana.
Ho sempre considerato l’Ing. Ercole Incalza un Manager di alto livello per ciò che ha fatto nella guida di grandi interventi infrastrutturali di interesse nazionale, ma anche per le capacità di analisi delle criticità degli eventi strutturali e infrastrutturali in essere. Tuttavia la sua citata analisi, pur ribadendo concetti e proposte condivisibili già espressi in passato, temo intervenga fuori tempo massimo e ai limiti, se non fuori, del contesto che si è venuto a creare.
Prescindo al momento dall’attribuzione delle colpe della situazione attuale: analisi corretta e condivisibile, ma del tutto sterile se si vuole contribuire alla risoluzione delle problematiche in essere.
Valuto inoltre anche l’intervento del Sottosegretario Mantovano, citato dall’Ing. Incalza, fuori tempo massimo: in qualità di Uomo politico di origini pugliesi, e quindi doverosamente in possesso di una cultura siderurgica, responsabile inoltre del Copasir, si accorge solo adesso che si stava procedendo ad una vendita al buio di uno Stabilimento dichiarato, anche a fronte di provvedimenti legislativi, di rilievo/interesse strategico nazionale. Mi immagino che abbia ricevuto dal Ministro competente rassicurazioni in proposito con il possibile utilizzo del “golden share”, ma sappiamo quanto sarebbe aleatorio questo utilizzo.
E veniamo alla situazione attuale che presenta diversi aspetti che si intersecano tra di loro determinando un inestricabile intreccio degli eventi:
1) Il Ministro Urso sta facendo pressione sul Sindaco di Taranto (e altri Enti locali) per la sottoscrizione di un Accordo di Programma al solo dichiarato scopo di ottenere l’AIA, condizione necessaria (ma non sufficiente) per evitare che il Tribunale di Milano sentenzi la chiusura dello Stabilimento. Intanto inserisce nell’accordo vincoli che, se sottoscritti, ipotecano scelte future non sufficientemente valutate sul piano tecnico, tecnologico, logistico e progettuale, ma di notevole impatto sul territorio.
2) Lo stesso Accordo prevede il raggiungimento dell’obiettivo finale consistente nella realizzazione di 3 forni elettrici e 3 DRI (impianti di Riduzione Diretta per la produzione di preridotto) entro il 2039. Intanto per almeno 5 o 6 anni (valutazione ottimistica) si dovrà produrre ghisa con gli altoforni Afo1 – Afo2 – Afo4 a condizione che:
2.1) Venga concessa l’Autorizzazione Integrata Ambientale, con la quale l’ex ILVA potrà continuare a far funzionare gli impianti (ivi compresi cokerie, agglomerato, altoforni e acciaierie) per almeno altri 12 anni e produrre fino a 6 MLT/anno, che si rifaccia alle regole europee senza le attuali eccessive prescrizioni (cosa non scontata).
2.2) Il Governo Italiano ottenga una proroga dalla Comunità Europea delle quote gratuite di CO₂ (cosa non scontata), altrimenti i costi dell’acciaio prodotto a Taranto sarebbero altissimi e quindi fuori mercato.
2.3) Afo1 – Afo2 – Afo4 siano in grado di produrre 6 MLT/anno a partire dal 2025, cosa oggettivamente non possibile perché è prevista a breve una lunga fermata per importanti interventi di manutenzione dei tre altoforni e Afo1 è addirittura sotto sequestro. L’efficienza futura di questi altoforni poi è tutta da dimostrare.
3) Quindi cerchiamo di esaminare le attività e gli interventi da effettuare sugli impianti dello Stabilimento nel transitorio che va dal 2025 al 2039, sui quali la bozza di Accordo di programma disinvoltamente sorvola:
3.1) Innanzitutto vanno finanziati e realizzati gli interventi relativi alle centinaia di prescrizioni dell’AIA, già oggi considerati eccessivamente onerosi ma per i quali pare non siano possibili “sconti”.
3.2) È possibile che ci sarà, per quanto già detto, un periodo non breve di fermata contemporanea dei tre altoforni, per cui non ci sarà produzione di ghisa e presumibilmente in quel periodo, per non chiudere lo stabilimento, si procederà all’acquisto di bramme dal mercato per alimentare gli impianti di laminazione, ma c’è il rischio che i costi di produzione faranno lievitare i prezzi del prodotto a livelli fuori mercato.
3.3) Il piano di sostituzione graduale degli altoforni con forni elettrici + DRI, pur se sommariamente espresso nell’Accordo, conta sulla durata di almeno un altoforno per almeno 12 anni; questo vuol dire che per almeno un altoforno non basta un intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria, ma occorre eseguire un vero e proprio “Rifacimento”, come quelli che si eseguivano una volta che assicuravano appunto a questo impianto una vita di 10÷12 anni. Ciò comunque vanifica l’aspettativa di produrre 6 MLT/anno con i tre altoforni per 5 anni a partire dal 2025.
3.4) Alcuni aspetti dello stato dell’assetto impiantistico e delle aree esistenti sono completamente sottaciuti dall’Accordo quali ad es. (oltre agli Afo) lo stato degli impianti che dovrebbero assicurare una produzione ipotizzata di almeno 6 MT/anno da oggi all’anno di entrata in funzione del primo forno elettrico (ad es. batterie di forni a coke, linee di agglomerazione, acciaierie, ma anche gli impianti di laminazione e vorrei citare anche i tubifici che hanno sempre assicurato in passato la produzione a più alto valore aggiunto e di mercato). Visto il livello di gestione della manutenzione messo in atto dalla Mittal, ma anche dalla successiva AS, è realistico prevedere la necessità di eseguire importanti e costosi interventi di manutenzione e messa in sicurezza.
4) Facciamo chiarezza inoltre sulla questione “acciaio green”; la “completa decarbonizzazione” al momento è un’utopia o comunque non c’è alcuna garanzia che si possa attuare nei tempi previsti dall’Accordo di programma perché:
4.1) Tutti i progetti europei di siderurgia a idrogeno stanno fallendo o almeno rallentando per l’eccessivo costo di produzione dello stesso idrogeno.
4.2) Solo NIPPON STEEL sta iniziando a programmare la produzione di preridotto da ossidi di ferro utilizzando, al posto del gas naturale, l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili (eolica o fotovoltaica) tramite elettrolizzatore.
4.3) È il futuro ma non ancora alla portata dei produttori di acciaio sul piano tecnologico-industriale-imprenditoriale nemmeno per le siderurgie più evolute come quella giapponese. Infatti la stessa NIPPON STEEL continua ad investire nelle miniere di carbone da coke.
5) Per inciso inoltre ricordiamo che, per errori procedurali, DRI d’Italia dovrà rifare la gara di appalto per la progettazione e costruzione a Taranto dell’Impianto di preridotto che servirà ad alimentare i futuri forni elettrici.
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