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04/03/2014

Granarolo. La lotta paga. Intervista ad Aldo Milani

Dopo dieci mesi di pic­chetti, bloc­chi, denunce, trat­ta­tive e accordi non rispet­tati, la lotta dei 51 fac­chini licen­ziati da Sgb, un con­sor­zio di coo­pe­ra­tive che lavora in subap­palto per Gra­na­rolo e Coge­frin, sem­bra essere arri­vata ad una svolta. Venerdì 28 feb­braio, in con­tem­po­ra­nea allo scio­pero gene­rale della logi­stica, il Si Cobas ha incon­trato in Pre­fet­tura a Bolo­gna Lega­coop che con Giu­liano Poletti al mini­stero del lavoro è diven­tata pila­stro del governo. Le coo­pe­ra­tive si sono dette dispo­ste ad accet­tare tutto o quasi: rias­sun­zione dei lavo­ra­tori entro giu­gno, ricol­lo­ca­mento o solu­zione eco­no­mica per i lavo­ra­tori di Coge­frin, ritiro delle denunce.

Aldo Milani, coor­di­na­tore nazio­nale S. I. Cobas, la strana armata di lavo­ra­tori migranti, sindaca­li­sti di base, col­let­tivi mili­tanti, stu­denti e pre­cari è a un passo da una straor­di­na­ria vittoria?

I gior­nali par­lano di nostra eufo­ria dopo l’incontro di venerdì, ma non è così. Però è un risul­tato politico forte. Su que­sta deci­sione ha influito il fatto che Poletti sia diventato mini­stro del lavoro. Lega­coop ci rico­no­sce sulla base della lotta e dei rap­porti di forza che abbiamo costruito. Il piano del con­flitto è ora nazio­nale e non più solo aziendale.

Quando avete per­ce­pito che era in arrivo una svolta?

Già nei giorni pre­ce­denti, dall’incontro in pre­fet­tura della set­ti­mana scorsa, ave­vamo avuto l’impressione che le cose matu­ras­sero in que­sta dire­zione, ave­vano cioè grande dif­fi­coltà a non trovare alcuna solu­zione. Abbiamo fatto un comu­ni­cato in cui dice­vamo che la lotta andava avanti in modo duro e i padroni hanno fatto le loro valu­ta­zioni. Sono ormai dieci mesi di lotta: c’è stata una radi­ca­liz­za­zione e un allar­ga­mento, ci sono anche le fati­che e le dif­fi­coltà dei lavo­ra­tori che la stanno facendo, quindi dob­biamo tenere conto di tutto. In un incon­tro recente alcuni com­pa­gni pone­vano il pro­blema di riu­scire a chiu­dere la ver­tenza velo­ce­mente; anche all’interno del nostro sin­da­cato c’era chi met­teva in evi­denza l’attacco duro, pure sul piano ammi­ni­stra­tivo. Pos­siamo essere con­dan­nati eco­no­mi­ca­mente per i danni che pro­vo­chiamo all’azienda, alla fac­cia del diritto di scio­pero. Io ho insi­stito sul fatto che c’erano le con­di­zioni per vin­cere, quindi biso­gnava fare uno sforzo ulte­riore: alla fine abbiamo deciso di andare avanti.

Quali sono i prin­ci­pali ele­menti di que­sto ciclo di lotte della logistica?

È stato il risul­tato di un con­ca­te­narsi di ele­menti, dalle rela­zioni sog­get­tive alle con­crete situa­zioni ter­ri­to­riali. Ci siamo carat­te­riz­zati per aver fis­sato le lotte non su risul­tati imme­diati nell’azienda, ma facen­dole girare tra diversi ambiti di lavo­ra­tori, ripren­dendo così i tratti posi­tivi di alcune espe­rienze sto­ri­che: dagli Indu­strial Wor­kers of the World (Iww) agli anni Ses­santa. Noi arri­viamo da una coopera­tiva all’altra per infor­ma­zioni e con­tatti che ci danno gli stessi lavo­ra­tori. I lavo­ra­tori immigrati si sen­ti­vano abban­do­nati, parec­chi erano entrati in con­tatto con i con­fe­de­rali per il permesso di sog­giorno o come tra­mite dell’ufficio di col­lo­ca­mento. Noi abbiamo dato quello che loro chia­mano la dignità, che poi ha pagato anche nei risul­tati con­trat­tuali. È bastato stap­pare la situa­zione che è fuo­riu­scito que­sto liquido di lotta.

Qual è stato il ruolo del sin­da­cato di base?

Il Si Cobas è un sin­da­cato che, pur par­tendo dalla for­ma­zione leni­ni­sta di alcuni, è il più anar­chico dal punto di vista del suo svi­luppo, per­ché non abbiamo strut­ture troppo for­mali. Nella logi­stica abbiamo incon­trato una con­di­zione par­ti­co­lare, con una volontà sog­get­tiva radi­cale dal punto di vista poli­tico e sin­da­cale. Que­sto set­tore è carat­te­riz­zato dal sistema della coo­pe­ra­tive, con ipersfruttamento della forza lavoro e basso inve­sti­mento tec­no­lo­gico. Alcuni grandi gruppi, ovviamente non Lega­coop, ma Tnt o Dhl, si pon­gono il pro­blema che le coo­pe­ra­tive diven­tano ora un costo più che una pos­si­bi­lità. Non pos­sono però supe­rarlo per i rap­porti stretti con un sistema gestito da mafia, camorra e ’ndran­gheta. Tra noi e l’Adl-Cobas orga­niz­ziamo 10 mila lavo­ra­tori, men­tre i dipen­denti della logi­stica sono 150 mila. Toc­chiamo quindi il nucleo cen­trale, ma il set­tore è molto stra­ti­fi­cato. Biso­gna dun­que avere una moti­va­zione poli­tica stra­te­gica per spin­gere avanti, creando anche le con­di­zioni affin­ché altri sog­getti si mobi­li­tino, dai pre­cari agli stu­denti. Teniamo conto che si tratta di lotte in con­tro­ten­denza, den­tro la reces­sione e non in una fase di sviluppo.

La lotta alla Gra­na­rolo ha toc­cato un gan­glio cen­trale. Se si rie­sce a vin­cere qui, quanto si può deter­mi­nare un effetto a cascata?

Qui si rompe un qua­dro con­so­li­dato di rela­zioni poli­ti­che e sin­da­cali: la lotta entra a gamba tesa in una realtà che sem­brava con­trol­lata da salde strut­ture di potere. Si può così dav­vero deter­mi­nare un pro­cesso di allar­ga­mento e gene­ra­liz­za­zione. È un grande risul­tato aver costretto i padroni di que­sto colosso a un “armi­sti­zio”, in cui il “forte” con­cede tutto; abbiamo cioè mostrato la debo­lezza della controparte.

In che modo que­ste lotte si sono intrec­ciate con quelle all’Ikea?
All’Ikea abbiamo sbloc­cato la situa­zione quando è stato col­pito il brand, per­fino con ini­zia­tive in Sve­zia. Poi, a dif­fe­renza di altre fasi, gli immi­grati che arri­vano qui hanno livelli di sco­la­riz­za­zione, com­pe­tenze e for­ma­zioni intel­let­tuali spesso ele­vate, anche dal punto di vista comu­ni­ca­tivo. I padroni pen­sano di avere a che fare con schiavi igno­ranti e restano spiaz­zati di fronte a figure in grado di soste­nere il con­fronto. I luo­ghi di lavoro e di vita dei sog­getti delle lotte della logi­stica sono nelle peri­fe­rie urbane, ma nella misura in cui stanno accer­chiando le città e si stanno gene­ra­liz­zando, pos­sono diven­tare un ele­mento di traino.

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