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04/03/2014

Il dollaro ostaggio della crisi ucraina

L'imperialismo diventa avventurista quando è in profonda crisi – non solo economica, anche di “senso” – ma mantiene ancora una forte primazia militare. Questo è il caso degli Stati Uniti, nella vicenda ucraina.

Ma è altrettanto avventurista quando, oltre alla crisi economica e di consenso sociale interno, presenta anche un “equipaggiamento militare” inadeguato alle ambizioni. E questo è il caso dell'Unione Europea, ansiosa di trovare un “ruolo nel mondo” che persuada meglio le popolazioni continentali alle prese con il settimo anno di crisi; ma costretta ancora a giocare di sponda con chi – gli Stati Uniti – possiede gli atout che le mancano.

E' puro avventurismo infilarsi, com'è stato fatto, nelle vicende interne all'Ucraina – sollecitando anche finanziariamente la rivolta dei nazionalisti locali contro il governo a prevalenza russofona – senza calcolare il peso di interessi contrastanti e vitali come quelli russi. Persino un conservatore intelligente come Sergio Romano (certo non sospettabile di simpatie per Putin) ha dovuto ricordare dalle colonne del Corriere della Sera che l'”imprudenza” è stata davvero eccessiva.

La Russia ha a sua volta ambizioni di tornare ad essere un mezzo impero. È relativamente debole sul piano economico, ma possiede quantitativi di gas e petrolio da cui l'Europa soprattutto non può prescindere. La cautela tedesca ed italiana si spiega senza difficoltà con la dipendenza dagli idrocarburi del Caspio, al momento insostituibili con altri (se pure ce ne fossero, di disponibili).

Ma non è inerme ed ha nel suo arsenale armi migliori di quelle militari, in buona parte obsolete. Alla prima occasione l'ha sfoderata, sia pure a livello di minaccia, e senza nemmeno toccare il tasto “fine di mondo”, ovvero un rallentamento o un blocco delle forniture energetiche ai clienti dell'Europa occidentale.

Se gli Usa introdurranno sanzioni contro la Russia, Mosca si sentirà infatti “costretta” a lasciare il dollaro adottando altre valute per i suoi scambi commerciali, nonché a creare un proprio sistema di calcolo e pagamenti, completamente sganciato dal circuito “dollarizzato”. L'annuncio del consigliere economico del Cremlino Serghiei Glaziev, citato da Ria Novosti, ha fatto immediatamente il giro del mondo, allarmando le cancellerie – e i mercati finanziari – molto più di quanto non abbiano capito i media mainstream (mancando di spirito critico e autonomia intellettuale, arrivano a capire solo quando da qualche “potere fortissimo” arriva l'input giusto).

Va ricordato che la Russia è attualmente il primo produttore di petrolio al mondo. Nel 2013 ha estratto una media di 10,9 milioni di barili al giorno; uno più dell'Arabia Saudita, 2,5 più degli Stati Uniti. Ed è così ormai da qualche anno. Questo straordinario sforzo produttivo è stato riversato sui circuiti internazionali e pagato in dollari. Così che la Russia risulta seconda soltanto alla Cina, forse alla pari con l'Arabia Saudita, nella classifica dei detentori di dollari nelle proprie riserve valutarie.

La sola minaccia di “abbandonare il dollaro” disegna scenari fin qui scartati come “apocalittici” dagli analisti finanziari globali. Il valore del dollaro, come si dovrebbe ormai sapere, è un mistero glorioso; di certo, non c'è più alcun rapporto tra valore della moneta e riserve auree (almeno a far data dal 1971...). E la “fiducia” riposta in quei pezzi di carta è in realtà più un timore reverenziale verso chi li stampa: gli Stati Uniti e i loro armamenti. La sola ipotesi che di qui a poco tempo possa uscire un fiume di dollari dalle riserve russe (e probabilmente anche da quelle cinesi, a quel punto, se non altro per “riequilibrare” la composizione delle riserve stesse) è una minaccia diretta al valore della moneta statunitense.

Va infatti ricordato che da qualche tempo sia la Cina sia altri paesi “emergenti” propongono nelle istituzioni economiche internazionali l'adozione di un “paniere di monete” o una “unità di conto” diversa dal dollaro. Per il buon motivo che gli Stati Uniti da oltre 40 anni stampano moneta a volontà – unico paese al mondo che possa permettersi di farlo senza vedere crollare il suo valore – scaricando per questa via le proprie ricorrenti crisi sul resto del mondo.

L'avventurismo imperialista sull'Ucraina si fonda dunque su basi assai fragili. Anche senza arrivare a un confronto armato – nessuno dei protagonisti è tanto deficiente da rischiarlo, viste le reciproche dotazioni di testate nucleari – basterà poco a scatenare una nuova battaglia nella “guerra delle monete” aperta ormai da oltre un anno sui mercati globali. Un altro tipo di guerra, certamente, meno spettacolare e sanguinolenta di quella classica. Ma niente affatto indolore.

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