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03/04/2014

Siria, oltre 150.000 morti

Almeno 150.000 persone sono morte in Siria nei tre anni di guerra civile. Almeno un terzo di questi sono civili. Sono i terribili numeri diffusi dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, Ong britannica vicina all’Opposizione al regime di Damasco.
L’Osservatorio, che attraverso una rete di attivisti, forze di sicurezza e dottori monitora le violenze nel Paese, ha dichiarato ieri che il numero delle vittime dovrebbe essere in realtà più alto e dovrebbe collocarsi intorno alle 220.000 persone.

Gli ultimi dati raccolti dall’Onu sugli effetti della guerra in corso in Siria, invece, risalgono allo scorso luglio e sono perciò fermi a 100.000 morti. Lo scorso gennaio l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato che avrebbe smesso di aggiornare il lugubre conteggio perché “le condizioni sul campo non permettono di fare stime accurate”.

Dunque l’unica fonte al momento è rappresentata dall’Osservatorio che ha registrato finora 38.000 vittime tra i ribelli (inclusi i combattenti del qa’edista Fronte al-Nusra, e del gruppo scissionista di al-Qa’eda “Stato islamico d’Iraq e del Levante”). Più di 58.000 sono i combattenti pro-regime assassinati (truppe dell’esercito siriano e le varie milizie pro-Assad). Secondo l’Ong, 364 guerriglieri del libanese Hezbollah e 605 militanti sciiti di altre formazioni sono morti per combattere a fianco di Damasco. Accanto alle vittime ci sono poi i dispersi il cui numero è altrettanto inquietante. Secondo l’Osservatorio sarebbero 18.000 le persone scomparse dopo essere state detenute dalle forze di sicurezze siriane. Sarebbero invece 8.000 i prigionieri dei ribelli.

A peggiorare la mattanza quotidiana è poi lo scontro interno tra gruppi di Opposizione. Iniziata a fine dicembre, la lotta tra ribelli “moderati” ed “estremisti” ha già causato migliaia di vittime e ha agevolato il compito di “riconquista” del Presidente siriano che negli ultimi mesi ha registrato leggeri ma costanti progressi dal punto di vista militare.

Ma questi numeri sono provvisori perché a questo bagno di sangue non si vede ancora una fine. I tentativi di giungere ad una pacificazione del conflitto sono stati tardivi, svogliati e fallimentari. La recente conferenza internazionale di pace (Ginevra 2) si è chiusa con un prevedibile fiasco, nonostante diversi analisti abbiano parlato di “leggero progresso” poiché “il fatto che le due parti in lotta almeno si sono incontrate è un segnale positivo”. Troppe le distanze tra il regime di Damasco e i ribelli della “Coalizione nazionale siriana” sostenuti dall’Occidente. Se questi ultimi vedono come condizione fondamentale la caduta del Presidente Assad prima di sedersi al tavolo delle trattative, i primi respingono categoricamente questa opzione ritenendo invece prioritaria la “battaglia al terrorismo” (nel linguaggio di Damasco l’Opposizione).

A gettare la spugna è stato recentemente anche l’inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la Siria, Lakhdar Brahimi. La scorsa settimana da Kuwait City, Brahimi è stato chiaro: “è improbabile in questo momento che possano riprendere i negoziati a Ginevra tra il regime siriano e le opposizioni”. Ad aumentare la distanza tra governo e ribelli, secondo Brahimi, saranno le prossime elezioni che vedranno la vittoria di Assad, fattore che spingerà le opposizioni sempre più lontane dal tavolo del negoziato. Pertanto, in questo contesto, sembrano insensate le parole di Ban Ki Moon che, intervenendo ieri ad una conferenza stampa a Bruxelles, ha parlato di una Ginevra 3.

Intanto i combattimenti continuano ad infuriare. Secondo la Commissione Generale della Rivoluzione Siriana (SRGC) il governo siriano ha ucciso ieri 50 persone in differenti parti del paese soprattutto nel nord della provincia di Aleppo. Una fonte militare ha detto all’Agenzia di stampa Fars che Damasco avrebbe ucciso 1.000 “terroristi” nella regione di Latakia dallo scorso 21 marzo, da quando, cioè, è stata lanciata la campagna militare dei ribelli nel nord ovest del Paese.

Ma in questi tre anni di guerra a morire in Siria non sono state solo persone ma anche l’informazione. Il caso dell’Osservatorio 45 ne è un altro (e non ultimo) esempio. L’Osservatorio 45 è la sommità di una collina nel nord della provincia di Latakia la cui conquista è strategicamente importante perché consente di controllare diverse aree abitate dalla comunità alawita (la stessa del Presidente Assad). La televisione siriana ha annunciato ieri che il regime l’aveva riconquistata e aveva mostrato i cadaveri di alcuni “terroristi” morti in battaglia. Tuttavia, la notizia è smentita categoricamente da attivisti locali e dall’Osservatorio dei Diritti umani: i ribelli avrebbero respinto l’attacco

Chi stia guadagnando o perdendo territorio nel nord ovest del Paese è difficile stabilirlo con certezza considerata la guerra di propaganda che ciascuna delle due parti fa. Quello che è certo, però, è che i ribelli, dopo aver subito sconfitte devastanti a Qusair nel 2013 e perso recentemente il controllo della frontiera con Libano nella battaglia di Yabroud, hanno colto di sorpresa l’esercito siriano lanciando un’offensiva a Kasab, un valico sulla frontiera tra Siria e Turchia.

L’attacco oltre ad essere simbolico (avviene nella roccaforte degli alawiti e della famiglia Assad) è importante dal punto di vista militare. In primo luogo crea una testa di ponte in una zona strategica che può fornire all’opposizione un passaggio stabile per i rifornimenti di armi e di equipaggiamenti compensando così la perdita del controllo della frontiera siro-libanese. In secondo luogo impegnare il regime nella provincia di Latakia vuol dire anche obbligare il governo a concentrare parte delle sue forze nell’area e, di conseguenza, a sguarnire la difesa nel sud del Paese dove al-Nusra, l’Esercito siriano libero e una cinquantina di gruppi islamisti si sono uniti in una nuova alleanza militare e si preparano a lanciare un attacco massiccio verso la vicina Damasco.

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