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20/04/2014

Un reticente appello pro-Euro

Tg3 – Fuori Tg, 17 aprile 2014. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee la discussione sui destini della Unione monetaria europea appare sempre più  dominata da una logica da tifo da stadio, tra ultras anti-euro e pasdaran pro-euro. Abbiamo più volte messo in evidenza i limiti delle attuali posizioni anti-euro, tra cui una sottovalutazione degli effetti deleteri che deriverebbero dall’adozione di un cambio flessibile affidato al libero gioco delle forze del mercato valutario internazionale. Tuttavia negli ultimi tempi sono soprattutto i sostenitori della permanenza dell’eurozona a cimentarsi in una propaganda tesa a infondere nella popolazione il convincimento che l’uscita dall’euro darebbe luogo a una “grande inflazione” e a una immane catastrofe economica. A ben vedere, tuttavia, gli argomenti a sostegno di questa idea non trovano sempre dei riscontri storici adeguati. Nelle loro analisi costi-benefici, dunque, i pasdaran pro-euro esaltano le conseguenze negative di un eventuale abbandono della moneta unica e al tempo stesso sembrano voler trascurare i danni provocati dalla soggezione alle attuali politiche dell’Unione. Ma soprattutto, essi appaiono reticenti su un fatto messo in chiaro anche dal “monito degli economisti” pubblicato a settembre sul Financial Times: le attuali politiche europee non contribuiscono alla stabilizzazione dell’Unione ma tendono per certi versi ad aggravare la situazione debitoria dei paesi più deboli. Le reticenze su questo punto decisivo caratterizzano anche un appello contro l’uscita dall’euro pubblicato sul Corriere della Sera e sottoscritto, tra gli altri, dagli economisti Lorenzo Bini Smaghi, Marcello De Cecco, Marcello Messori, Jean-Paul Fitoussi e Fabrizio Saccomanni. Che De Cecco, Messori e Fitoussi accettino di sottoscrivere un testo così lacunoso suscita in effetti non poca sorpresa. Nel caso di Bini Smaghi, invece, simili omissioni non dovrebbero meravigliare troppo: dopo avere mitigato il suo entusiasmo per le politiche di austerity, l’ex membro del direttorio BCE aderisce oggi all’idea secondo cui ulteriori riforme del mercato del lavoro determinerebbero la flessibilità dei costi necessaria per accrescere la competitività e permettere ai paesi più deboli dell’Unione di pagare i debiti. Anche in tal caso si tratta di un’idea che non trova riscontro: basti notare che negli ultimi cinque anni in Grecia i salari nominali sono caduti di 16 punti percentuali e i salari reali sono crollati di venti punti, eppure il debito continua ad aumentare. Pensare di salvare l’Unione con simili politiche è dunque un’illusione, ed è molto pericolosa. Ne discutono Angelo Baglioni (Università Cattolica di Milano) ed Emiliano Brancaccio (Università del Sannio). Conduce Maria Rosaria de’ Medici.


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