Partnership antica e consolidata
quella che lega militarmente l’Italia a Israele. Un’alleanza cresciuta
all’ombra di Washington e della Nato, ma che specie negli ultimi anni anni ha conseguito
sempre maggiori spazi di autonomia, nel nome e per conto dei rispettivi
complessi finanziari-industriali nazionali, affermati produttori ed esportatori
di sofisticati sistemi di distruzione e morte a livello mondiale.
Una data in particolare consacra
l’affermazione di quello che è oggi il patto
strategico d’acciaio Roma-Tel Aviv: il 16
giugno 2003, quando i governi italiano e israeliano firmarono il
“memorandum” d’intesa in materia di cooperazione nel settore militare. Il
“memorandum” è a tutti gli effetti un accordo quadro generale, cioè non solo un
accordo tecnico, ma regola la reciproca collaborazione nel settore della
difesa, con particolare attenzione all’interscambio di materiale di armamento, all’organizzazione
delle forze armate, alla formazione e all’addestramento del personale e alla
ricerca e sviluppo in campo industriale-militare. L’accordo quadro prevede
inoltre la realizzazione di “scambi di esperienze tra esperti delle due parti”
e la “partecipazione di osservatori a esercitazioni militari”. Esso è stato
approvato con voto quasi unanime del Parlamento italiano nel maggio 2005 e pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale il 7 giugno 2005.
In
verità, le Camere avrebbero dovuto rigettare l’accordo bilaterale in quanto palesemente
in contrasto con la legge n. 185 del 1990 che regola l’esportazione di
armamenti italiani e vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui
governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali
dei diritti umani. Israele rientra a pennello tra gli Stati che dovrebbero
essere messi al bando in campo strategico-politico-economico e militare dall’Italia.
Da sempre le forze armate di Tel Aviv sono impegnate, come aggressori, su più
fronti di guerra e dal 1967 occupano ancora buona parte della West Bank.
Inoltre il regime d’apartheid instaurato contro la popolazione palestinese e
gli stessi cittadini israeliani di origine araba è stigmatizzato dalle
principali organizzazioni non governative internazionali. Non ultimo, Tel Aviv
non ha mai firmato il Protocollo di Non
Proliferazione Nucleare e da tempo immemorabile, anche grazie la
collaborazione tecnico-scientifica di Stati Uniti ed Unione europea, a Dimona,
nel deserto del Negev, si costruiscono armi nucleari (secondo alcuni istituti
di ricerca indipendenti, Israele sarebbe già in possesso di più di 200
testate).
Il “memorandum” Italia-Israele
nel campo della difesa ha pure avuto il “merito” di anticipare di più di cinque
anni il nuovo corso delle relazioni tra l’Alleanza Atlantica e il governo
israeliano. Il 2 dicembre 2008, tre
settimane prima circa della famigerata operazione di guerra “Piombo Fuso”
contro la Striscia di Gaza, la Nato ha ratificato il cosiddetto “Programma di
cooperazione individuale” con Tel Aviv, comprensivo di “scambio di informazioni
tra i servizi d’intelligence; connessione di Israele al sistema elettronico dell’Alleanza;
cooperazione nel settore degli armamenti; aumento delle esercitazioni militari
congiunte; allargamento della cooperazione contro la proliferazione nucleare…”.
A non impensierire i paesi della Nato neanche l’uso massiccio a Gaza da parte
israeliana di armi sconosciute o vietate dalle Convenzioni internazionali
(fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito).
A seguito della ratifica
dell’accordo-quadro del giugno 2003 e dello sviluppo del programma di
cooperazione Nato-Israele del dicembre 2008, le relazioni tra le forze armate
italiane e israeliane sono cresciute esponenzialmente, mentre si è registrata
una vera e propria escalation nelle importazioni ed esportazioni di sistemi
d’arma. Le tappe più significative e più recenti della partnership militare Roma-Tel
Aviv hanno visto nel novembre 2009 il
vertice tra l’allora ministro della difesa Ignazio La Russa, l’omologo
israeliano Ehud Barak e il premier Benjamin Netanyahu; la visita a Roma nel luglio 2010 del Capo di Stato maggiore
delle forze armate israeliane, generale Gabi Ashkenazi; la visita del dicembre 2010 a Tel Aviv del Capo di Stato
maggiore italiano, generale Vincenzo Camporini, in cui si discusse di “rafforzamento
della collaborazione strategica a livello politico, militare e
tecnico-industriale, consolidamento della conoscenza dei reciproci apparati
militari e sviluppo di strumenti di raccordo e coordinamento delle attività di
pace italiane nelle aeree d’interesse per lo stato israeliano (vedi missione
Unifil in Libano N.d.A.)”.
Il 7 e 8 febbraio 2011 si svolsero a Roma gli “Air-to-Air Talks” tra i
comandi dell’Aeronautica militare italiana e dell’Israel Air Force. Le due
delegazioni si soffermarono sulle “esperienze maturate nei rispettivi teatri di
operazione” e su “alcune attività addestrative congiunte”, svolte l’anno
precedente sia in Italia che in Israele. I colloqui hanno riguardarono inoltre i
principali programmi di cooperazione avviati in ambito industriale, specie
nella ricerca, sperimentazione e produzione dei droni (velivoli a pilotaggio
remoto), nella gestione logistica integrata del cacciabombardiere strategico
multiuso “Joint Strike Fighter F-35” (di prossima introduzione in entrambe le forze
aeree) e del velivolo d’addestramento M-346 di produzione Alenia Aermacchi (gruppo
Finmeccanica), poi acquisito dagli israeliani. Sempre in ambito aeronautico,
settore guida dell’asse strategico tra Roma e Tel Aviv, il 14 giugno 2011, il comandante delle forze aeree israeliane,
generale Ido Nehushtan, giunse in Italia per un vertice con i responsabili
dell’Aeronautica e visitare i reparti di volo di Pratica di Mare, Lecce e
Grosseto. Quattro mesi più tardi i cacciabombardieri israeliani operarono per
15 giorni nei principali poligoni della Sardegna nell’ambito dell’esercitazione
“Vega 2011”, a cui parteciparono pure le forze aeree di Italia, Germania e
Olanda. Per l’occasione, due squadroni con cacciabombardieri F-15 ed F-16 ed un
velivolo radar di nuova produzione “Eitam” furono trasferiti nello scalo di
Decimomannu (Cagliari), centro di comando e coordinamento dell’intero ciclo
addestrativo. L’esercitazione in Sardegna fu seguita con particolare interesse
dalla stampa di Tel Aviv: le missioni dei caccia israeliani furono finalizzate
infatti a simulare un attacco agli impianti nucleari iraniani.
Il 16 dicembre 2011 si concluse nel deserto del Negev l’esercitazione
“Desert Dusk” a cui parteciparono 25 velivoli, tra cui gli “Eurofighter” e i
“Tornado” dell’Aeronautica militare italiana e gli F-15 ed F-16 israeliani.
L’esercitazione, sviluppatasi attraverso veri e propri duelli aerei e lanci di
missili e bombe contro obiettivi a terra, fu finalizzata ad “affinare le
procedure e le tecniche di azione in missioni di controllo delle crisi (Crisis
Response Operations)”. L’Italia
schierò nello scalo meridionale di Uvda (Eilat, mar Rosso) 150 militari; furono
inviati in Israele pure i velivoli KC-767A del 14° Stormo di Pratica di Mare e
C130J della 46ª Brigata Aerea di Pisa. L’esercitazione “Desert Dusk” seguì di
poco meno di un mese l’operazione “Pilastro di difesa”, scatenata dalle forze
armate israeliane contro Gaza. In soli otto giorni di bombardamento, i caccia
israeliani colpirono 1.500 obiettivi, il doppio di quelli attaccati nei 34
giorni della guerra in Libano nel 2006. Oltre 170 palestinesi rimasero uccisi
mentre furono distrutte circa 450 abitazioni e danneggiate oltre 8.000.
Dal 3 all’8 novembre 2012, si tenne invece nelle acque prospicienti la
città di Haifa, la prima edizione dell’esercitazione congiunta delle Marine
militari Rising Star, a cui parteciparono i palombari artificieri del
Gruppo operativo subacquei del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) di La
Spezia e i Divers, specialisti
sommozzatori israeliani. L’esercitazione ebbe come fine il “contrasto
della minaccia costituita dagli ordigni esplosivi improvvisati” e la “bonifica a bordo delle unità navali e subacquee”.
“Le minacce terroristiche o i fenomeni di pirateria stanno portando le Forze di
sicurezza ed in particolare le Marine militari dei paesi occidentali a studiare
assetti e procedure efficaci”, spiegò
il Comando italiano nel comunicato di presentazione della missione. La
seconda edizione di Rising Star si tenne
ancora ad Haifa esattamente un anno dopo (dal 4 al 8 novembre 2013). Stavolta però fu potenziato l’assetto
militare italiano: con i palombari del
COMSUBIN giunse in Israele pure la fregata lanciamissili “Grecale”,
unità impegnata da tempo negli scacchieri di guerra in Medio Oriente, Nord
Africa e Corno d’Africa, nelle missioni Ue e Nato anti-pirateria e, da qualche
mese, nell’operazione aeronavale di contrasto alle migrazioni “Mare Nostrum”.
Gli israeliani furono rappresentati a Rising
Star 2013 dalla corvetta “Eilat”,
da una serie di unità minori di supporto e dal gruppo subacqueo nazionale. Temi principali dell’esercitazione sono
stati il “soccorso e la salvaguardia della vita in mare, il controllo del traffico mercantile e la
reazione ad attacchi asimmetrici”. Secondo quanto si legge nel sito del
Ministero della difesa italiano, “oltre alle attività subacquee, Rising Star ha permesso lo svolgimento
di una serie di lezioni e conferenze da parte dei palombari italiani sulle
esperienze maturate nei recenti interventi condotti sul relitto del Costa Concordia, a Genova sulla torre del porto e,
ultimamente, a Lampedusa”.
Negli stessi giorni in cui ad
Haifa si svolgeva l’esercitazione bilaterale, a Roma, il Capo di Stato Maggiore
della difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, riceveva l’omologo israeliano,
generale Binyamin Gantz. Al centro dei colloqui, lo sviluppo della cooperazione
bilaterale, in particolare “nell’ambito dell’addestramento congiunto, delle
capacità Cyber Warfare e degli equipaggiamenti militari e dello scambio
informativo nel contrasto ai traffici illeciti e al terrorismo internazionale,
in particolare nell’area mediorientale, anche con riferimento alla missione
UNIFIL”. Sempre nel mese di novembre
2013, nel deserto del Negev si tenne la più grande esercitazione di guerra
aerea mai svolta in Israele. Denominata “Blue Flag”, ha visto protagonisti un
centinaio di velivoli e un migliaio di militari di Israele, Usa, Italia e
Grecia. Nella base aerea di Ovda, l’Aeronautica italiana rischierò stavolta 140
militari, 8 tra cacciabombardieri Tornado ECR ed AM-X (provenienti
rispettivamente dal 50° stormo di Piacenza e dal 51° Stormo di Istrana), nonché
i velivoli KC-767A di Pratica di Mare e C130J della Brigata Aerea di Pisa. Nel
corso delle esercitazioni a fuoco, furono impiegati massicciamente bombe e
missili a guida di precisione, simulando attacchi in profondità in un
“territorio nemico dotato di forti difese aeree”. Alla vigilia di “Blue Flag”,
il generale Amikam Norkin dell’Aeronautica israeliana rese noto che Tel Aviv aveva
avviato la sperimentazione di “nuove procedure per abbreviare la durata delle
future guerre” e “accrescere di dieci volte il numero di obiettivi da individuare
e distruggere”. Inoltre furono condotti lunghi periodi di addestramento
finalizzati all’esercizio del rifornimento in volo e all’esecuzione di missioni
a lungo raggio, in modo da consentire alle forze aeree israeliane di poter
intervenire a livello intercontinentale.
L’ultima tappa del rafforzamento
dei legami politico-strategici e militari tra Italia e Israele porta la data
del 2 dicembre 2013, quando a Roma
si tenne il vertice tra il primo ministro Benjamin
Netanyahu e il premier Enrico Letta. L’incontro bilaterale fu preceduto da un
meeting alla Farnesina tra
i rappresentanti dei due governi al fine d’identificare i settori prioritari di
cooperazione su cui puntare in futuro. Al primo posto, secondo il resoconto
dell’ICE di Tel Aviv, ci
sarebbe lo sviluppo del settore
energetico “soprattutto tenendo conto delle recenti scoperte di nuovi
immensi giacimenti di gas nelle acque territoriali israeliane”. “A breve –
sempre secondo l’ICE - Israele potrebbe produrre il doppio dell’energia che
consuma, e si trova ad affrontare il problema di trasformare ed esportare il
proprio gas in eccesso. Oggetto della collaborazione tra i due paesi potrebbero
quindi essere la costruzione di pipeline, porti, impianti per la liquefazione e
la rigassificazione. Tra gli accordi in divenire anche la possibilità di
utilizzare la Trans Adriatic Pipeline
(TAP)”. Sempre in ambito energetico, gli israeliani hanno espresso l’interesse
per la cosiddetta “metanizzazione del parco veicoli” nazionale. Altro settore
“prioritario” della partnership tra Roma e Tel Aviv è quello aerospaziale, dalle spiccate ricadute
in campo bellico, già al centro di un accordo di cooperazione scientifico-accademico
ed industriale del 2011 che ha permesso all’Italia di diventare il principale
partner di Israele dopo la NASA. Per l’ICE di Tel Aviv, la sfida è quella di
lanciare “iniziative congiunte per poi trovare sbocco comune sul mercato Usa”.
Altro settore chiave per l’interscambio tra i due paesi è quello della cyber-security in cui gli israeliani
sono tra i leader mondiali.
Al vertice di Roma del 2 dicembre
2013 sono stati sottoscritti 12 accordi bilaterali,
dall’energia alla sanità, alla sicurezza
fino alla cultura e alla ricerca. In particolare, sono stati siglati un accordo sulla pubblica sicurezza che
prevede un “reciproco scambio di informazioni per prevenire e reprimere la
criminalità organizzata e missioni periodiche di funzionari e tecnici degli
enti dei due Paesi in materia di sicurezza informatica”; un memorandum d’intesa sulla Protezione civile;
un memorandum relativo allo sviluppo del mercato del gas liquefatto e dei
gasdotti. Sono state siglate pure due dichiarazioni congiunte sull’istruzione e
l’high-tech, un accordo di cooperazione e coproduzione cinematografica, un
protocollo sanitario tra la Regione Abruzzo e il governo israeliano, una
lettera d’intenti tra il policlinico Gemelli e due istituti israeliani. Firmati
infine un memorandum d’intesa tra il Politecnico di Torino e l’Israel
institute of technology e un memorandum d’intesa sull’acqua che ha
coinvolto Acea.
Nell’ultimo decennio, è
soprattutto nell’area della
co-produzione e dell’esportazione di sistemi d’arma che si è consolidato
l’asse Roma - Tel Aviv. Anche stavolta può essere individuata una data-chiave,
il 18 novembre 2004, quando al summit
di Roma tra l’allora ministro della difesa del governo Sharon, Shaul Mofaz,
l’omologo italiano Antonio Martino e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi,
fu annunciato lo stanziamento congiunto di 181
milioni di dollari per “lo sviluppo di un nuovo sistema di guerra
elettronica progettato per inabilitare i velivoli nemici”. Da allora, gli
affari per i mercanti di morte dei due paesi si sono fatti sempre più fitti:
secondo una ricerca dell’Archivio Disarmo
basata su dati ISTAT, nel 2005 il
governo italiano autorizzò contratti di vendita ad Israele, in base alla legge
185, per circa 1,3 milioni di euro.
Più recentemente, come evidenzia la Rete
Italiana per il Disarmo, le vendite autorizzate al governo di Tel Aviv
superano complessivamente i due milioni
di euro l’anno, e riguardano in particolare armi di calibro superiore ai
12,7mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature
elettroniche. Tra le holding e le imprese italiane maggiormente coinvolte
spiccano Finmeccanica, Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman
Italia, Elettronica S.p.A.. Quest’ultima,
con sede a Roma, nel giugno 2009, ha costituito una joint venture con
l’industria militare israeliana “Elbit” per sviluppare un sistema direzionale di
“contromisura” a raggi infrarossi (Directional
Infrared Countermeasure System - DIRCM), da implementare su elicotteri e
velivoli da trasporto militari e “neutralizzare” la minaccia proveniente dai “Manpads”,
i missili terra-aria
che possono essere lanciati con sistemi a spalla. Per la cronaca,
l’italiana Elettronica compare tra
gli sponsor (insieme ad IBM e Finmeccanica) del convegno internazionale
tenutosi nel novembre 2012 presso l’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di
Roma, dal titolo Armi cibernetiche e
processo decisionale, ed organizzato dal Centro
Interdipartimentale di Studi Strategici Internazionali e Imprenditoriali
(CSSII) dell’Università di Firenze, diretto da Umberto Gori, docente di Scienze politiche dell’ateneo toscano e
membro del comitato scientifico dell’azienda privata israeliana “Maglan Information Defense Technologies”.
Ci sono poi le aziende che
operano in settori d’alta tecnologia “civile” ma con ricadute in campo militare:
tra esse ST Microelectronics, il
gigante italo-francese dei semiconduttori, che nel 2000 ha acquisito la società
israeliana “Waferscale” con investimenti pari a circa 70 milioni di dollari; Telecom Italia che nel 1998 ha acquisito il 26,4% di “Golden
Lines” (una delle tre società israeliane autorizzate ad operare nella telefonia
internazionale) e che insieme al alcuni partner israeliani ha costituito nel
1999 la società “Med 1” per la posa e la gestione di un cavo a fibre ottiche
tra Mazara del Vallo e Tel Aviv, oggi la principale arteria per le
comunicazioni telefoniche tra Israele e l’Europa. Nel maggio 2000, ancora Telecom Italia ha varato il “progetto
Nautilus” per la realizzazione di circa 7.000 km di cavi a fibre ottiche nel
Mediterraneo: il primo tra Catania e Haifa via Creta; il secondo tra Catania e Tel
Aviv, con potenziale estensione ad Alessandria d’Egitto; il terzo da Creta
verso Atene ed Istanbul. Nel 2005 Telecom
Italia è divenuta l’unica proprietaria del Consorzio, dopo aver acquistato
le restanti quote dai partner israeliani. Sempre nel campo della telefonia
cellulare e delle tecnologie satellitari, di recente il gruppo israeliano Polar Investments ha acquisito l’italiana Telit con sede a Trieste.
A rendere ancora più intricato
l’interscambio in campo militare tra le aziende italiane e quelle israeliane ci
sono poi i contratti stipulati all’estero da società controllate dalle maggiori
holding nazionali, non considerati nei rapporti annuali del governo italiano
sull’export di armi. Nel dicembre 2007, ad esempio, DRS Technologies Inc., azienda del gruppo Finmeccanica con sede a Parsippany, New Jersey, ha
sottoscritto un contratto di 6 milioni di dollari con l’U.S. Army’s
Tank-Automotive and Armaments Command (TACOM) per produrre autoarticolati da 80
tonnellate per il trasporto dei carri armati “Merkava” in dotazione alle forze
armate israeliane.
Il 2012 passerà certamente alla storia come un anno chiave nelle
relazioni tra i complessi militari industriali dei due paesi. Risale a febbraio,
infatti, la decisione da parte d’Israele di sottoscrivere l’accordo preliminare
per l’acquisto di 30 caccia M-346 “Master” di Alenia Aermacchi da assegnare
alle Tigri volanti del 102° squadrone
dell’Aeronautica militare per addestrare i piloti alla guida dei cacciabombardieri
di nuova generazione come “Eurofighter”, “Gripen”, "Rafale", F-22 ed F-35, ma che
potranno essere utilizzati anche per
attacchi al suolo con bombe e missili aria-terra o antinave. I “Master” sono in
via d’assemblaggio nello stabilimento Alenia di Venegono Inferiore (Varese); Northrop Grumman Italia fornirà invece il
sistema per la misura di assetto e direzione “LISA 200”, basato su giroscopi a
fibre ottiche realizzati nello stabilimento di Pomezia. Il giro d’affari della
commessa si attesta intorno al miliardo di dollari ma prevede vantaggiose
contropartite per le industrie israeliane. “Elbit Systems”, azienda
specializzata nella produzione di tecnologie avanzate, svilupperà il nuovo
software che sarà caricato sugli addestratori per consentire ai piloti di
esercitarsi alla guerra elettronica, alla caccia alle installazioni radar e
all’uso di sistemi d’arma all’avanguardia.
In cambio dei caccia, Tel Aviv ha
imposto la vendita alle forze armate italiane di due velivoli di pronto allarme
(Early warning and control - AEW&C)
“Eitam” del tipo “Gulfstream 550”, prodotti dalle
aziende Israel Aerospace Industries - IAI ed Elta Systems, con relativi centri
di comando, controllo e sistemi elettronici avanzati (valore complessivo 800
milioni di dollari circa). Selex Elsag (Finmeccanica), s’incaricherà per conto
delle aziende israeliane di fornire i sottosistemi di comunicazione dei
velivoli e i link tattici secondo gli standard Nato. Le forze armate italiane
dovranno pure acquistare un sistema satellitare elettro-ottico ad alta
risoluzione di seconda generazione “Optasat 3000”, in grado di operare in ogni
condizione atmosferica, anch’esso di produzione di IAI ed Elbit Systems. Prime contractor degli israeliani sarà
Telespazio, azienda controllata da Finmeccanica e dalla
holding francese Thales, che assicurerà la costruzione del segmento terrestre,
il lancio e la messa in orbita del nuovo sistema satellitare tra il novembre
2015 e il dicembre 2016. Telespazio ha sottoscritto con il Ministero della
difesa italiano un contratto del valore di 270 milioni di dollari. Personale
della società sarà dislocato in Israele durante le fasi di preparazione al
lancio del satellite, nonché presso il Centro di Controllo di Tel Aviv durante
le fasi di post-lancio. Il completamento dei test in orbita sarà realizzato
successivamente dal Centro Spaziale del Fucino di Telespazio e il nuovo
apparato militare sarà poi pienamente integrato nel sistema satellite e radar “Cosmo-Skymed”
in uso alle forze armate italiane.
Sempre nel corso del 2012,
l’Aeronautica militare ha deciso di dotare i propri elicotteri EH101 e gli
aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” con il nuovo sistema di contromisure a
raggi infrarossi DIRCM co-prodotto da Elettronica
e da “Elbit”, con una spesa complessiva di 25 milioni e mezzo di euro. Inoltre
è stato raggiunto l’accordo perché a partire dal 2013 i missili israeliani
aria-terra a corto raggio “Spike” armino gli elicotteri d’attacco AW-129
“Mangusta” di AugustaWestland, altra azienda di punta del gruppo Finmeccanica. I
missili, prodotti dall’israeliana “Rafael”, hanno una gittata tra gli 8 e i 25
km, e possono esseri equipaggiati con tre differenti tipologie di testata
bellica a seconda dell’uso: anticarro, antifanteria e per la distruzione di
bunker.
La collaborazione per i programmi “Optsat 3000”, M-346 ed “Eitam”
consentirà alle aziende d’armi italo-israeliane di rafforzare la propria
presenza nei mercati internazionali. Selex
ES ed AEL Sistemas S.A, società
controllata da Elbit Systems e dalla brasiliana Embraer, hanno costituito nel
2013 una joint venture per la
produzione di tecnologie e sistemi radar a scansione meccanica da destinare ai
velivoli d’attacco e di trasporto delle forze armate del Brasile e di altri
paesi sudamericani. Inizialmente la joint venture s’incaricherà della
manutenzione e del supporto dei radar “Gabbiano T20” prodotti da Selex, che
saranno montati entro la metà del 2014 sui velivoli di sorveglianza aerea
Embraer KC-390 e molto probabilmente anche sui nuovi velivoli senza pilota che
saranno acquisiti dalle forze armate brasiliane. La partnership tra Selex e AEL
potrà allargarsi in futuro anche nel campo dell’avionica di precisione e dei
sistemi di sicurezza avanzati.
Roma e Tel Aviv puntano inoltre a cooperare nella produzione e nella gestione logistica del nuovo cacciabombardiere multiruolo
a capacità nucleare F-35, uno dei programmi più costosi della storia
mondiale dell’aviazione da guerra. Nell’ottobre 2010, Israele
ha firmato un accordo con il governo degli Stati Uniti per l’acquisizione,
secondo procedura Foreign Military Sales,
di 20 F-35A “Lightning II” di Lockheed Martin, versione a decollo e atterraggio
convenzionale del JSF, con opzione per altri 55, sempre mediante aiuti Usa.
Israele sarà quindi il primo paese, non parte del consorzio che ne ha curato lo
sviluppo, a ricevere il cacciabombardiere. Le consegne sono previste a partire
dal 2016 fino al 2018. L’accordo per un valore di 2,75 miliardi di dollari (ma
che potrebbe superare i 10 miliardi di dollari se sarà esercitata l’opzione),
prevede la partecipazione alla produzione di industrie locali, prime fra tutte
IAI e Elbit Systems.
Le aziende del gruppo
Finmeccanica e quelle israeliane puntano infine a sviluppare congiuntamente
nuovi velivoli a pilotaggio remoto UAV (i famigerati droni), il settore del
marcato aerospaziale che ha generato i fatturati e i profitti maggiori degli
ultimi anni. Insieme ai sofisticati sistemi missilistici anti-missile, quello
dei droni è certamente il campo dove Israele ha mietuto i maggiori
riconoscimenti internazionali. Un rapporto pubblicato il 19 maggio 2013 dalla società
di consulting statunitense Frost &
Sullivan ha rilevato che Israele è oggi il principale esportatore al mondo
di velivoli senza pilota, superando i giganti aerospaziali con sede negli
States. Frost & Sullivan ha
calcolato che i contratti d’esportazione di droni israeliani hanno generato
fatturati per 4,62 miliardi di dollari nel periodo 2005-2012. Il principale mercato dei droni israeliani è l’Europa, con
più della metà delle vendite. Subito dopo seguono i paesi del Sud Est asiatico
con il 33.3% delle esportazioni, seguiti da Sud America, Nord America e Africa.
Ben sette paesi della coalizione internazionale ISAF in Afghanistan utilizzano
oggi droni made in Israele, tra cui Australia, Canada, Francia, Germania e
Spagna.
Uno dei modelli di aerei senza
pilota che ha riscosso grande successo sui mercati mondiali è l’“Heron” delle
Israel Aerospace Industries, un drone che viaggia a medie altitudine per tempi
medio-lunghi, simile alla classe “MQ-1 Predator” in dotazione alle forze armate
Usa e italiane. L’“Heron” è utilizzato prevalentemente per la sorveglianza e le
attività d’intelligence contro obiettivi terrestri e marittimi; può essere
equipaggiato con una serie di radar modulari, sensori e attrezzature di
telerilevamento altamente sofisticate, ma come accaduto durante la guerra in Libano
del 2006, può essere armato con missili aria-terra e convertito in spietato drone-killer.
Il velivolo è già stato acquistato dalle forze aeree israeliane, indiane, turche
e francesi, mentre Canada e Australia hanno firmato protocolli per futuri acquisti. Pure il Comando di US SOUTHCOM lo impiega in attività di
contrasto delle imbarcazioni di migranti e al traffico di stupefacenti; Unione
europea e l’agenzia Frontex per il “controllo” delle frontiere hanno espresso l’interesse
per un suo uso nelle crociate anti-migrazione lanciate nel Mediterraneo. Qualche
mese fa, il
governo britannico ha firmato invece un accordo per lo sviluppo del nuovo drone
“Watchkeeper”, prodotto dalla compagnia israeliana Elbit System a partire dal
modello “Hermes 450” che l’aviazione israeliana ha più volte utilizzato
contro la Striscia di Gaza.
In Israele ben 6.784 imprenditori privati si
occupano di esportazione di armi. Un numero a
cui va aggiunta l’industria statale e che insieme ad essa ha consentito ad
Israele di raggiungere il sesto posto
nella classifica dei maggiori esportatori di armi al mondo, scavalcando Canada,
Cina, Svezia e Italia. Nel 2012, secondo un rapporto del quotidiano israeliano
Ha’aretz, il valore totale delle
esportazioni israeliane di armi è stato pari a 7 miliardi di dollari (+20%
rispetto al 2011).
L’Italia, oltre ad
essere un esportatore di armamenti è un cliente preferenziale di Israele: negli
ultimi due anni le importazioni di
tecnologie militari hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di euro. Tra le principali
aziende acquirenti compaiono l’industria Simmel
che si rifornisce in Israele di componenti per bombe e la Beretta (componenti per armi automatiche, pistole e mitragliatori).
A ciò si aggiungono le acquisizioni di materiale bellico realizzate con fondi
non provenienti dal ministero della difesa, come avvenuto ad esempio con una
decina di radar fissi e mobili EL/M-2226
ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar)
realizzati da “Elta Systems”. I radar dovevano entrare a far parte della nuova Rete di sensori di profondità per la
sorveglianza costiera che la Guardia di finanza sta implementando per
contrastare gli sbarchi dei migranti in Sicilia, Puglia e Sardegna, ma le
proteste dei Comitati No radar hanno impedito sino ad oggi la piena operatività
del programma. Acquistati grazie alle risorse del “Fondo europeo per le
frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori, le
apparecchiature israeliane hanno una portata di oltre 50 chilometri e sono
appositamente progettate per individuare imbarcazioni veloci di piccole
dimensioni. Gli EL/M-2226 fanno parte della famiglia di trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave
(LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza), che operano emettendo
microonde estremamente pericolose per l’uomo, la fauna e la flora. Per la loro
installazione, la Guardia di finanza ha scelto alcune importanti aree protette
e riserve naturali. Quasi a riprova di come la partnership italo-israeliana
incarni appieno le contraddizioni della globalizzazione neoliberista: un
crimine contro l’uomo, il diritto e l’ambiente; generatrice di militarizzazioni
e guerre infinite, globali e permanenti; un business di morte che si alimenta
trasferendo ingenti risorse pubbliche a favore del capitale finanziario
privato, con pesanti tagli al welfare e ai diritti sociali.
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