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30/04/2014

Dall’Ucraina alle Filippine


di Manilo Dinucci

Il presidente Obama e la sua squadra per la sicurezza nazionale, guardando al di là della crisi ucraina, sono impegnati a «forgiare una versione aggiornata della strategia della guerra fredda per contenere la Russia». Lo fanno sapere funzionari dell’amministrazione, specificando che l’obiettivo su cui si concentra il presidente è «isolare la Russia di Putin recidendo i suoi legami economici e politici col mondo esterno». Il primo passo è ridurre sempre più, fino a interromperla, la fornitura di gas russo all’Europa per sostituirlo con quello fornito soprattutto da compagnie Usa sfruttando i giacimenti medio orientali, africani e altri, compresi quelli degli Stati Uniti che si preparano a esportare gas liquefatto ricavato da scisti bituminosi.

Qui Washington scopre le carte.

Il margine di superiorità economica degli Stati Uniti su scala globale si sta sempre più riducendo. La Cina è salita al secondo posto mondiale con un pil in forte crescita già pari alla metà di quello Usa, seguita da Giappone e Germania, e il pil complessivo dei 28 paesi della Ue ha superato quello degli Stati Uniti.

Per conservare la supremazia economica, essi si basano sempre più sul settore finanziario, in cui mantengono un netto vantaggio, e sulla capacità delle loro multinazionali di conquistare nuovi mercati e fonti di materie prime.

A tale scopo Washington getta sul piatto della bilancia la spada della propria superiorità militare e di quella della Nato sotto comando Usa. In tale quadro rientrano la demolizione sistematica, con strumenti militari, di interi stati (Jugoslavia, Libia e ora Siria) e l’annessione tramite la Nato di tutti quelli dell’ex Patto di Varsavia, più due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss. Anzi quattro, perché l’Ucraina era già di fatto sotto controllo Nato prima della crisi. Bastava aspettare le elezioni del 2015 per avere in Ucraina un presidente che avrebbe accelerato il suo ingresso ufficiale nell’Alleanza.

Perché allora la decisione, presa a Washington, di organizzare il putsch che ha rovesciato il presidente eletto Yanukovich (tutt’altro che ostile all’Occidente), insediando a Kiev gli esponenti più ostili alla Russia e ai russi della Crimea e dell’Ucraina orientale? Evidentemente per spingere Mosca a reagire e dare il via alla strategia di isolamento. Cosa non facile: la Germania, ad esempio, è il maggiore importatore di gas russo e verrebbe danneggiata da una interruzione delle forniture.

Washington ha però deciso di non aspettare i governi europei per imporre alla Russia sanzioni più dure. Ha già l’ok di Roma (la cui «fedeltà» è nota) e si sta accordando con Berlino e altre capitali. Obiettivo strategico è quello di un fronte antirusso Usa-Ue, consolidato da un accordo di libero scambio che permetterebbe agli Usa di accrescere la loro influenza in Europa.

Stessa strategia nella regione Asia/Pacifico, dove gli Usa puntano al «contenimento» della Cina. Questa, riavvicinatasi alla Russia, esercita un crescente peso su scala non solo regionale ma globale e può vanificare le sanzioni contro Mosca aprendole ulteriori sbocchi commerciali ad est, in particolare per le esportazioni energetiche.

A tale scopo il presidente Obama ha appena effettuato una visita ufficiale in Asia. Il Giappone, però, ha rifiutato di firmare l’accordo di libero scambio che avrebbe aperto il suo mercato ai prodotti agricoli statunitensi. In compenso, le Filippine hanno concluso con Washington un nuovo accordo decennale che permette agli Usa di accrescere la loro presenza militare nell’arcipelago in chiara funzione anticinese.

Dove non può il dollaro, può la spada.

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