di Michele Paris
Nel pieno del cosiddetto
dibattito in corso negli ambienti ufficiali degli Stati Uniti attorno al
problema delle crescenti disuguaglianze di reddito, due studi
autorevoli negli ultimi giorni hanno nuovamente messo in luce come la
crisi economica in corso stia premiando enormemente la ristretta cerchia
al vertice della piramide sociale a discapito della grande maggioranza
della popolazione americana.
La prima delle due indagini è stata
condotta dal più grande sindacato statunitense - AFL-CIO - e fotografa
una realtà ormai fuori da qualsiasi logica, con gli amministratori
delegati delle 350 principali compagnie USA che nel 2013 hanno ottenuto
compensi in media 331 volte superiori a quelli dei lavoratori medi.
In
termini concreti, l’anno scorso la crema dell’aristocrazia
economico-finanziaria d’oltreoceano è stata cioè premiata per i propri
servizi con una media di 11,7 milioni di dollari, a fronte di un salario
medio ricevuto dai meno privilegiati pari a poco più di 35 mila
dollari.
Ancora più sbalorditivo, anche se tutt’altro che
sorprendente, risulta poi il divario tra gli stessi 350 “CEO” americani e
i lavoratori costretti a sopravvivere con il salario minimo federale,
fissato alla miseria di 7,25 dollari l’ora (circa 15 mila dollari
l’anno). In questo caso, i primi hanno fatto segnare, sempre nel 2013,
introiti 774 volte superiori alla paga minima.
Per comprendere la
portata di dati simili è sufficiente confrontarli con il passato. Nel
1950, infatti, il rapporto tra i guadagni dei manager più pagati negli
USA e i lavoratori medi era di 20 a 1, mentre nel 1980, alla vigilia
della controrivoluzione reaganiana, sarebbe salito a 42 a 1.
L’incremento
vertiginoso dei compensi garantiti agli amministratori delegati giunge
poi spesso in situazioni aziendali segnate da licenziamenti e
congelamento delle retribuzioni dei lavoratori nonostante i frequenti
aumenti dei profitti.
Nell’attuale sistema capitalistico, in
definitiva, la più devastante crisi economica dal dopoguerra si è
tradotta in una drammatica regressione delle condizioni di vita per le
fasce più povere della popolazione, mentre contemporaneamente i ricchi e
i super-ricchi (negli Stati Uniti come altrove) stanno facendo
registrare livelli di agiatezza senza precedenti.
I
due processi, com’è ovvio, sono strettamente legati tra di loro, visto
che impoverimento di massa, disoccupazione, compressione dei salari e
peggioramento delle condizioni di lavoro sono componenti fondamentali
del colossale trasferimento di ricchezza in corso, favorito da politiche
economiche e sociali deliberate di una classe politica che è
espressione unica dei poteri forti.
Qualche giorno prima della
pubblicazione del rapporto dell’AFL-CIO, il centro studi californiano
Equilar aveva a sua volta reso noti i dati sui compensi degli
amministratori delegati più potenti degli Stati Uniti. Secondo questa
seconda indagine, la media dei guadagni ai vertici delle prime 100
corporations americane nel 2013 ha sfiorato i 14 milioni di dollari, con
un incremento rispetto all’anno precedente.
A guidare la
speciale classifica è ancora una volta il co-fondatore e CEO di Oracle,
Larry Ellison, in grado di portarsi a casa nei dodici mesi ben 78,4
milioni di dollari tra stipendio, azioni e “stock options”.
Ellison
è l’incarnazione stessa della moderna aristocrazia che ha accumulato
ricchezze da favola nel pieno della devastazione sociale con cui il
resto della popolazione deve fare i conti. I suoi beni sono stimati
attorno ai 48 miliardi di dollari - pari alla somma dei PIL di svariate
decine di paesi - e lo collocano al quinto posto tra gli individui più
ricchi del pianeta. Alle centinaia di proprietà immobiliari a sua
disposizione, Ellison nel 2012 ha aggiunto nientemeno che un’intera
isola, quella di Lanai, alle Hawaii, la sesta per estensione
dell’arcipelago del Pacifico, acquistata al 98% per una somma compresa
tra i 500 e i 600 milioni di dollari.
La concentrazione delle
ricchezze nelle mani di pochissimi è confermata anche da altri dati. Tra
il 1978 e il 2012, ad esempio, lo 0,5% della popolazione ha visto
aumentare la propria percentuale della ricchezza complessiva negli Stati
Uniti dal 17% al 35%. Se si considera poi la ristrettissima cerchia di
super-ricchi, vale a dire lo 0,1% della popolazione americana, la quota
di ricchezza nelle sue mani ammonta addirittura al 20% del totale.
I
due rapporti di AFL-CIO ed Equilar sono stati accolti dalla stampa
americana con il consueto disinteresse, tutt’al più riproponendo
l’illusione che essi serviranno a convincere la classe dirigente della
necessità di intervenire con provvedimenti concreti per invertire la
tendenza e porre un freno alle disparità sociali e di reddito.
Come
è già avvenuto negli ultimi anni, tuttavia, simili propositi verranno
disattesi anche in questa occasione, e tra dodici mesi i nuovi studi sui
compensi negli USA metteranno in luce con ogni probabilità un ulteriore
allargamento del gap tra ricchi e poveri.
La
politica di Washington e gli stessi ambienti finanziari internazionali,
in ogni caso, vedono con crescente apprensione le conseguenze in
termini di tensioni sociali create da una distribuzione sempre più
irrazionale delle ricchezze.
Combinandosi a scrupoli elettorali
in vista del voto di novembre per il rinnovo di gran parte del
Congresso, questi timori hanno da qualche tempo convinto la stessa
amministrazione Obama della necessità di promuovere improbabili e
insignificanti iniziative populiste per combattere le disuguaglianze
sociali e di reddito. Questa presunta battaglia intrapresa dalla Casa
Bianca, tra una raccolta fondi alla presenza di donatori miliardari e
l’altra, è stata addirittura definita dal presidente democratico come
“la sfida più importante dei nostri tempi”.
Le già scarse
iniziative di legge proposte per ridurre le disuguaglianze - come il
limitato innalzamento dello stipendio orario minimo avanzato da Obama -
rischiano inoltre di sparire del tutto nel prossimo futuro. Infatti, il
dominio dei poteri forti sulla politica di Washington potrebbe, se
possibile, anche aumentare in seguito ad una recente sentenza della
Corte Suprema USA, la quale ha cancellato i limiti sui contributi totali
che un singolo individuo può erogare alle campagne elettorali di
candidati a cariche pubbliche.
Come già ricordato, questi livelli
di disparità economica stanno già provocando profonda frustrazione ed
esplosive tensioni sociali tra la grande maggioranza della popolazione.
Per questa ragione, la classe dirigente americana (e non solo) oltre a
creare continue crisi internazionali per dirottare verso l’esterno i
propri conflitti interni, ha da tempo costruito un apparato di controllo
da stato di polizia per reprimere ogni forma di dissenso o ribellione,
come hanno rivelato i documenti della NSA resi noti grazie a Edward
Snowden. Simili disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza nelle
società capitalistiche moderne, d’altra parte, risultano sempre meno
compatibili con un sistema autenticamente democratico.
Fonte
Quella in grassetto può tranquillamente considerarsi la definizione enciclopedica della lotta di classe ma dall'alto verso il basso.
La prossima volta che incontrate qualcuno (c'è pieno tanto in rete quando nel mondo "reale") che vi millanta quanto è bello il modello americano, non perdete tempo a discuterci, mandatelo immediatamente a fanculo!
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