di Michele Paris
Il lungo elenco delle
promesse mancate del candidato alla presidenza degli Stati Uniti Barack
Obama una volta giunto alla Casa Bianca include la riforma
dell’immigrazione e lo stop alle drastiche misure adottate per
contrastare gli ingressi illegali nel paese dall’amministrazione Bush.
Dopo più di cinque anni dal suo insediamento, infatti, non solo
nessuna delle due promesse è stata mantenuta dal presidente democratico,
ma il suo governo si è addirittura distinto come il più spietato della
storia recente americana in materia di immigrazione.
A
confermarlo sono i numeri record di espulsioni di coloro che sono
entrati negli USA senza permesso e la lievità dei reati a loro
attribuiti - quando qualche reato lo hanno effettivamente commesso - per
giustificare un provvedimento così drastico.
Entrambi gli
aspetti legati alla politica immigratoria dell’amministrazione Obama
sono stati al centro di una recente approfondita indagine del New York Times,
dalla quale risulta evidente come, a partire dal 2009, quasi i due
terzi delle deportazioni abbiano riguardato immigrati che non hanno
commesso alcun atto illegale o soltanto infrazioni trascurabili, come
violazioni del codice stradale. Solo il 20% dei provvedimenti totali,
invece, è seguito a gravi violazioni, come quelle legate al
narco-traffico.
Il confronto con gli ultimi cinque anni
dell’amministrazione Bush fornisce dunque l’occasione per mettere in
risalto la crescente severità dell’agenzia governativa deputata al
controllo dell’immigrazione (ICE, Immigration and Customs Enforcement)
dopo il passaggio di consegne alla Casa Bianca.
I casi di
espulsione di immigrati coinvolti in violazioni del codice stradale sono
ad esempio passati da 43 mila tra il 2004 e il 2009 a 193 mila nei
cinque anni successivi sotto Obama. Triplicate sono state invece le
deportazioni dovute a rientri illegali negli Stati Uniti dopo un
precedente provvedimento di espulsione.
Inoltre,
l’amministrazione democratica ha sempre più frequentemente incriminato
in maniera formale gli immigrati irregolari espulsi, fino al 90% del
totale che ha lasciato forzatamente il paese nell’anno 2013. Questa
decisione fa in modo che gli immigrati in questione non possano
rientrare negli USA per almeno cinque anni e, nel caso dovessero essere
sorpresi nel paese senza documenti, sono certi di finire direttamente
dietro le sbarre.
“Per anni”, ha spiegato al New York Times
la direttrice del National Immigration Law Center, Mariaelena Hincapié,
“l’amministrazione Obama ha sostenuto che le deportazioni riguardavano
soltanto gli irregolari criminali, ma i numeri parlano da soli. In
realtà, questa amministrazione - più di qualsiasi altra - ha provocato
la devastazione di comunità di immigrati nel paese, separando famiglie i
cui membri sono stati fermati soltanto per avere guidato senza patente o
per avere cercato di rientrare negli Stati Uniti nel tentativo
disperato di riunirsi con i propri familiari”.
La Casa Bianca, da
parte sua, attribuisce le responsabilità di queste politiche sempre più
inflessibili all’incapacità del Congresso di approvare una riforma
dell’immigrazione per offrire un percorso verso la legalità ad almeno
una parte degli 11,5 milioni di irregolari che vivono negli Stati Uniti.
I due rami legislativi, secondo Obama, nell’ultimo decennio sarebbero
stati al contrario solerti nel produrre misure più severe nei confronti
degli immigrati senza permesso, così che il governo si troverebbe, suo
malgrado, nella posizione di dovere mettere in atto le leggi esistenti.
Obama,
peraltro, aveva annunciato una propria iniziativa un paio di anni fa
per provare a regolarizzare una parte degli immigrati ed evitare la
deportazione, anche se rivolta solo a coloro che erano giunti da bambini
negli Stati Uniti. La proposta si è però ben presto arenata in un
Congresso dove soprattutto i repubblicani considerano ogni provvedimento
vagamente indulgente sulla questione dell’immigrazione come un
cedimento inaccettabile ad un’orda di irregolari, visti come una
minaccia mortale all’identità americana.
Il percorso verso la
regolarizzazione così proposto prevedeva in ogni caso una lunga serie di
procedure gravose e costose, le quali si sarebbero risolte anche in un
autentico programma di schedatura degli immigrati irregolari nel paese.
Per
il momento, di fronte alle critiche provenienti da più parti e in vista
delle elezioni di “metà termine” a novembre che fanno prevedere una
pesante sconfitta per i democratici, l’amministrazione Obama sta
cercando di correre ai ripari, visto che ha appena annunciato una
revisione del processo di espulsione, così da renderlo “più umano”.
Dietro
alla retorica repubblicana dell’invasione di immigrati irregolari,
quasi sempre identificati con criminalità e delinquenza, e alle
deportazioni spesso indiscriminate del governo, in ogni caso, si celano
realtà drammatiche come quelle raccontate dal New York Times nella località di Painesville, nell’Ohio.
In
questa cittadina, dove gli immigrati hanno lavorato per decenni nelle
sue fabbriche, il quotidiano riporta ad esempio la vicenda
dell’immigrata “irregolare” Anabel Barron, a rischio di espulsione dopo
essere stata fermata per eccesso di velocità ed essendo stata trovata
senza patente di guida. Dal momento che la donna era già stata deportata
in passato, la sua situazione risulta particolarmente delicata, anche
perché vive da quasi vent’anni negli Stati Uniti, dove sono nati i suoi
quattro figli da cui ora potrebbe essere separata.
Ancora più agghiacciante è poi il caso di Arlette Rocha, suicidatasi ad appena 11
anni nella propria abitazione nell’aprile del 2010, alcuni mesi dopo che
il padre era stato deportato in Messico. In seguito al provvedimento
delle autorità, la madre aveva trovato un lavoro in fabbrica per
sostenere la famiglia, lasciando la giovane a custodire i suoi tre
fratelli più piccoli.
L’impennata
delle deportazioni di immigrati irregolari, in ogni caso, era iniziata
già nelle fasi finali dell’amministrazione Bush, tanto che durante la
campagna elettorale per la Casa Bianca del 2008 Barack Obama aveva
frequentemente criticato il presidente repubblicano su tale questione.
Dopo
il successo alle urne, Obama aveva in realtà posto fine ad alcune
pratiche odiose, come i raid nelle fabbriche e nelle aziende agricole
del paese per verificare la regolarità dei lavoratori.
Il giro di vite contro gli immigrati non si è però attenuato con
l’arrivo alla Casa Bianca di un presidente democratico ma,
semplicemente, le modalità di persecuzione sono state in parte cambiate
per limitare le pratiche più controverse.
Ad esempio,
l’amministrazione Obama ha intensificato le operazioni degli agenti
dell’immigrazione direttamente alle frontiere, mentre all’interno del
paese - dove gli irregolari sono spesso insediati da più tempo e hanno
stabilito legami più profondi - si è cercato talvolta di agire con
maggiore cautela. Allo stesso tempo, tuttavia, un progetto pilota
studiato durante l’era Bush è stato ampliato per estendere i controlli
di polizia sulla regolarità dei permessi di residenza negli USA a
qualsiasi individuo fermato o arrestato.
Fonte
Non c'è che dire, quelle di Obama resteranno alla storia come le amministrazioni americane più peracottare degli ultimi due decenni almeno, tanto le merdate si fanno sempre sulla pelle dei poveri cristi.
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