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17/04/2014

Obama e il primato delle deportazioni

di Michele Paris

Il lungo elenco delle promesse mancate del candidato alla presidenza degli Stati Uniti Barack Obama una volta giunto alla Casa Bianca include la riforma dell’immigrazione e lo stop alle drastiche misure adottate per contrastare gli ingressi illegali nel paese dall’amministrazione Bush.
Dopo più di cinque anni dal suo insediamento, infatti, non solo nessuna delle due promesse è stata mantenuta dal presidente democratico, ma il suo governo si è addirittura distinto come il più spietato della storia recente americana in materia di immigrazione.

A confermarlo sono i numeri record di espulsioni di coloro che sono entrati negli USA senza permesso e la lievità dei reati a loro attribuiti - quando qualche reato lo hanno effettivamente commesso - per giustificare un provvedimento così drastico.

Entrambi gli aspetti legati alla politica immigratoria dell’amministrazione Obama sono stati al centro di una recente approfondita indagine del New York Times, dalla quale risulta evidente come, a partire dal 2009, quasi i due terzi delle deportazioni abbiano riguardato immigrati che non hanno commesso alcun atto illegale o soltanto infrazioni trascurabili, come violazioni del codice stradale. Solo il 20% dei provvedimenti totali, invece, è seguito a gravi violazioni, come quelle legate al narco-traffico.

Il confronto con gli ultimi cinque anni dell’amministrazione Bush fornisce dunque l’occasione per mettere in risalto la crescente severità dell’agenzia governativa deputata al controllo dell’immigrazione (ICE, Immigration and Customs Enforcement) dopo il passaggio di consegne alla Casa Bianca.

I casi di espulsione di immigrati coinvolti in violazioni del codice stradale sono ad esempio passati da 43 mila tra il 2004 e il 2009 a 193 mila nei cinque anni successivi sotto Obama. Triplicate sono state invece le deportazioni dovute a rientri illegali negli Stati Uniti dopo un precedente provvedimento di espulsione.

Inoltre, l’amministrazione democratica ha sempre più frequentemente incriminato in maniera formale gli immigrati irregolari espulsi, fino al 90% del totale che ha lasciato forzatamente il paese nell’anno 2013. Questa decisione fa in modo che gli immigrati in questione non possano rientrare negli USA per almeno cinque anni e, nel caso dovessero essere sorpresi nel paese senza documenti, sono certi di finire direttamente dietro le sbarre.

“Per anni”, ha spiegato al New York Times la direttrice del National Immigration Law Center, Mariaelena Hincapié, “l’amministrazione Obama ha sostenuto che le deportazioni riguardavano soltanto gli irregolari criminali, ma i numeri parlano da soli. In realtà, questa amministrazione - più di qualsiasi altra - ha provocato la devastazione di comunità di immigrati nel paese, separando famiglie i cui membri sono stati fermati soltanto per avere guidato senza patente o per avere cercato di rientrare negli Stati Uniti nel tentativo disperato di riunirsi con i propri familiari”.

La Casa Bianca, da parte sua, attribuisce le responsabilità di queste politiche sempre più inflessibili all’incapacità del Congresso di approvare una riforma dell’immigrazione per offrire un percorso verso la legalità ad almeno una parte degli 11,5 milioni di irregolari che vivono negli Stati Uniti.
I due rami legislativi, secondo Obama, nell’ultimo decennio sarebbero stati al contrario solerti nel produrre misure più severe nei confronti degli immigrati senza permesso, così che il governo si troverebbe, suo malgrado, nella posizione di dovere mettere in atto le leggi esistenti.

Obama, peraltro, aveva annunciato una propria iniziativa un paio di anni fa per provare a regolarizzare una parte degli immigrati ed evitare la deportazione, anche se rivolta solo a coloro che erano giunti da bambini negli Stati Uniti. La proposta si è però ben presto arenata in un Congresso dove soprattutto i repubblicani considerano ogni provvedimento vagamente indulgente sulla questione dell’immigrazione come un cedimento inaccettabile ad un’orda di irregolari, visti come una minaccia mortale all’identità americana.

Il percorso verso la regolarizzazione così proposto prevedeva in ogni caso una lunga serie di procedure gravose e costose, le quali si sarebbero risolte anche in un autentico programma di schedatura degli immigrati irregolari nel paese.

Per il momento, di fronte alle critiche provenienti da più parti e in vista delle elezioni di “metà termine” a novembre che fanno prevedere una pesante sconfitta per i democratici, l’amministrazione Obama sta cercando di correre ai ripari, visto che ha appena annunciato una revisione del processo di espulsione, così da renderlo “più umano”.

Dietro alla retorica repubblicana dell’invasione di immigrati irregolari, quasi sempre identificati con criminalità e delinquenza, e alle deportazioni spesso indiscriminate del governo, in ogni caso, si celano realtà drammatiche come quelle raccontate dal New York Times nella località di Painesville, nell’Ohio.

In questa cittadina, dove gli immigrati hanno lavorato per decenni nelle sue fabbriche, il quotidiano riporta ad esempio la vicenda dell’immigrata “irregolare” Anabel Barron, a rischio di espulsione dopo essere stata fermata per eccesso di velocità ed essendo stata trovata senza patente di guida. Dal momento che la donna era già stata deportata in passato, la sua situazione risulta particolarmente delicata, anche perché vive da quasi vent’anni negli Stati Uniti, dove sono nati i suoi quattro figli da cui ora potrebbe essere separata.

Ancora più agghiacciante è poi il caso di Arlette Rocha, suicidatasi ad appena 11 anni nella propria abitazione nell’aprile del 2010, alcuni mesi dopo che il padre era stato deportato in Messico. In seguito al provvedimento delle autorità, la madre aveva trovato un lavoro in fabbrica per sostenere la famiglia, lasciando la giovane a custodire i suoi tre fratelli più piccoli.

L’impennata delle deportazioni di immigrati irregolari, in ogni caso, era iniziata già nelle fasi finali dell’amministrazione Bush, tanto che durante la campagna elettorale per la Casa Bianca del 2008 Barack Obama aveva frequentemente criticato il presidente repubblicano su tale questione.

Dopo il successo alle urne, Obama aveva in realtà posto fine ad alcune pratiche odiose, come i raid nelle fabbriche e nelle aziende agricole del paese per verificare la regolarità dei lavoratori.
Il giro di vite contro gli immigrati non si è però attenuato con l’arrivo alla Casa Bianca di un presidente democratico ma, semplicemente, le modalità di persecuzione sono state in parte cambiate per limitare le pratiche più controverse.

Ad esempio, l’amministrazione Obama ha intensificato le operazioni degli agenti dell’immigrazione direttamente alle frontiere, mentre all’interno del paese - dove gli irregolari sono spesso insediati da più tempo e hanno stabilito legami più profondi - si è cercato talvolta di agire con maggiore cautela. Allo stesso tempo, tuttavia, un progetto pilota studiato durante l’era Bush è stato ampliato per estendere i controlli di polizia sulla regolarità dei permessi di residenza negli USA a qualsiasi individuo fermato o arrestato.

Fonte

Non c'è che dire, quelle di Obama resteranno alla storia come le amministrazioni americane più peracottare degli ultimi due decenni almeno, tanto le merdate si fanno sempre sulla pelle dei poveri cristi.

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