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29/04/2014

Ultima colata alla Lucchini: la parola ai lavoratori

Si sta concludendo, in questi giorni, e probabilmente per sempre, l’attività delle acciaierie di piombino, uno storico stabilimento le cui origini possono essere fatte risalire alla fine dell’800 con la costruzione dei primi impianti per la produzione dell’acciaio e, per dimensioni, il secondo polo siderurgico italiano.

La chiusura di questo stabilimento fa registrare la perdita di un altro pezzo del comparto produttivo del paese, mostrando ancora una volta l’incapacità di fare industria nella competizione globale dei capitalisti italiani che, incapaci di reggere la concorrenza della siderurgia Cinese e Tedesca (in un circolo vizioso di sfruttamento in cui  gli operai sono spesso messi di fronte alla scelta tra un peggioramento delle condizioni di lavoro e la perdita del lavoro stesso con la chiusura delle fabbriche) si limitano a spremere quel che rimane delle aziende del paese con la complicità della politica e dei governanti; andando solamente ad ingrossare le bolle finanziarie come quella che poi è scoppiata nel 2008 e quella che sta gonfiando attualmente.

Mentre il capitale fa i suoi giochi di prestigio che fanno fiorire la ricchezza dal nulla, ma anche dallo smantellamento delle fabbriche e dalla distruzione di posti di lavoro, gli operai lavorano in condizioni sempre più disastrose e vivono nell’incertezza sul proprio futuro.

Intervista ad un operaio addetto al treno rotaie nello stabilimento siderurgico.

Come si lavorava alla Lucchini?

Era un posto di lavoro molto tranquillo, mai in vita mia ho lavorato in un luogo dove potevo permettermi di guardare film, giocare e fare le grigliate coi colleghi durante i turni. Da un certo punto di vista era fantastico, un ambiente conviviale e divertente, con i classici personaggi assurdi del mondo operaio su cui fiorivano leggende e scherzi tra colleghi, nel complesso molto umano e non alienante. Dal punto di vista produttivo era però uno sfacelo, c’erano sprechi in ogni cosa: lavoratori senza alcuna formazione spesso impiegati in mansioni inutili, capireparto raccomandati e nullafacenti, mezzi di lavoro obsoleti o di pessima qualità. Ogni cosa non strettamente inerente alla produzione siderurgica veniva appaltata a ditte esterne con enorme spreco di denaro: per farti un esempio, se bisognava spostare qualcosa da una parte all’altra dello stabilimento bisognava chiamare una ditta appaltatrice in quanto i camion dell’azienda o non erano funzionanti o non venivano utilizzati.

Raccontami un po’ la vicenda che ha portato alla chiusura.

Tutto secondo me è cominciato con l’acquisto della fabbrica nel 2005 da parte dei russi della Severstal, uno dei più grandi gruppi mondiali dell’acciaio, capitanato dall’oligarca Aleksej Mordašov. A quei tempi la crisi economica non era ancora scoppiata e l’acciaio vendeva bene, i russi hanno spremuta l’azienda fino in fondo, facendo produrre il massimo possibile e spendendo il minimo. Fino a quando, nel 2011, con l’avanzare della crisi e la necessità sempre più pressante di fare sostanziosi investimenti per continuare la produzione, se ne sono elegantemente sfilati lasciando la fabbrica con un debito di 700 milioni di euro.

Ora la Lucchini è in mano alle banche creditrici che l’hanno affidata in amministrazione straordinaria al commissario Piero Nardi con il compito di “sistemare” l’azienda, in modo da renderla appetibile per un compratore. Il compito è però molto difficile a causa della situazione ormai degradata dell’azienda ma comunque mi sembra che manchi anche la volontà di portarlo a termine. In questi anni di amministrazione straordinaria la Lucchini è andata sempre più in sfacelo, i suoi conti sono peggiorati e la produzione è diventata sempre più scadente, tanto che, qualche tempo fa, abbiamo inviato una nave di rotaie in Turchia che è stata rispedita al mittente in quanto i pezzi erano tutti difettati o comunque di pessima qualità.

Insomma in queste condizioni sarà molto difficile trovare il tanto sospirato acquirente che rilevi l’azienda mantenendo la produzione e i posti di lavoro.

Impossibile, nonostante l’accordo statale degli ultimi giorni e la farsa dell’altoforno acceso in bianco (cioè che brucia solo carbone coke senza metallo perché è finito, non ne hanno più) fino al 30 Maggio, giorno di chiusura della presentazione delle offerte vincolanti. Infatti i 250 milioni messi a disposizione da stato e regione nella speranza che aiutino a indorare la pillola per un investitore non sono niente: sono solo una goccia nel mare di investimenti che andrebbero fatti per fare un serio piano industriale. Quell’altoforno che stanno tenendo acceso è finito, è da rifare completamente da nuovo e la gran parte degli altri impianti è da sistemare o ammodernare.

In queste condizioni gli unici acquirenti possibili sono quelli interessati ai pochi comparti dell’azienda ancora produttivi come i laminatoi o, al massimo, al proseguimento della produzione su scala più ridotta con l’impianto di un forno elettrico come nella proposta della ditta indiana Jsw. L’unico a fare una proposta di acquisto di tutta l’azienda, senza esuberi e mantenimento di tutta l’area a caldo, è stato l’arabo ma fin da subito mi era sembrato un gambler.

Chi è l’arabo? In che senso un gambler ?

Un truffatore, un personaggio losco. Ti racconto tutta la storia che secondo me è meravigliosa. Praticamente il sindaco di piombino Gianni Anselmi avrebbe contattato un ex caporeparto della Lucchini, Renzo Capperucci, che, dopo aver lavorato in giro per il mondo come set manager e consulente nella costruzione di impianti siderurgici, adesso è in pensione a Piombino. Il Capperucci, cresciuto nell’azienda ma ormai con contatti in tutto il mondo, ha a cuore le sorti dello stabilimento e convince un magnate giordano – che, a suo dire, non ha mai investito nell’acciaio ma è innamorato della Toscana – che la Lucchini è un affarone. Il manager della società Msc, Khaled al Habahneh, ha promesso mari e monti: acquisto di tutta l’area industriale con un piano di rimodernamento degli impianti, spostamento di parti della lavorazione e bonifica dell’area della fabbrica più interna alla città con costruzione di un albergo di lusso, un centro congressi e delle villette. Un lavoro colossale con una spesa di tre miliardi di euro.

Quando è venuto fuori che l’arabo faceva solo promesse senza poi impegnarsi realmente e la società Msc del capitale dichiarato di tre miliardi ne aveva in realtà solo mezzo sono incominciati a nascere dubbi. L’arabo pensava di poter chiudere l’affare in fretta, senza essersi reso conto, inizialmente, di essere nel mezzo di una gara di acquisto, probabilmente nella speranza di riuscire ad intascare qualche centinaio di milioni messi a disposizione dalla comunità europea e dallo stato italiano per poi sparire col malloppo. Qualche indagine sul suo passato in cui si è scoperto che si è fatto tre anni di galera per truffa e commercio di metanfetamine negli USA tra il 2001 e il 2004 ha evidenziato che Khaled è un uomo dai pochi scrupoli e di non specchiata onestà. Gli organi di informazione della destra sono ovviamente andati a nozze con la vicenda dell’amministrazione locale Pd che si fa fregare da un avventuriero finanziario mediorientale.

Prima parlavi di un aggravamento della situazione della fabbrica nel periodo di amministrazione speciale, quali interessi, secondo te, hanno portato a questo?

In fabbrica gira voce che il commissario speciale Paolo Nardi, già amministratore delegato della fabbrica nel periodo parastatale, sia un uomo legato alla lobby italiana dell’acciaio, cioè i gruppi siderurgici del Nord Italia come Duferco, Feralpi e Marcegaglia con cui ha collaborato durante la sua carriera. Questi punterebbero alla definitiva morte dell’industria piombinese in modo da poterne acquistare per un tozzo di pane i bocconi migliori e prenderne il posto sul sempre più stretto mercato dell’acciaio.

Qual’è stato il ruolo dei sindacati?

In fabbrica sono presenti tutti e tre i sindacati confederali CGIL,CISL e UIL con le rispettive divisioni metalmeccanici, si sono mossi in modo unitario e coordinato, ma troppo tardi, solo adesso si sono davvero mobilitati, coi riflettori puntati sulla fabbrica per assistere allo show della sua morte. Raccogliendo qualche briciola per gli operai in modo da garantirgli un più morbido atterraggio nel mondo della disoccupazione, ma soprattutto garantirsi visibilità televisiva e notorietà pubblica. Le richieste di mantenimento della produzione e dei posti di lavoro sono ad oggi irrealizzabili, quando, ancora pochi anni fa esistevano le possibilità e i soldi non hanno mai alzato la testa per costringere i padroni a fare un vero piano industriale che garantisse un futuro alla fabbrica. I sindacati si sino resi  in tal modo complici del protrarsi della situazione di speculazione da parte dei capitalisti e di continua incertezza sul proprio futuro per gli operai che ormai va avanti da anni.

L’ultima splendida iniziativa da parte della CGIL è stato l’appello al Papa da parte degli operai, la cui risposta è stata tanto apprezzata dal presidente della regione Enrico Rossi, sembra più che altro un affidare la soluzione del problema alla divina provvidenza.

Ci sono state iniziative autonome da parte degli operai?

Praticamente nessuna. Una delle poche è stato lo sciopero della fame nei giorni di Pasqua e Pasquetta eseguito sugli scalini dello stabilimento dall’operaio Paolo Francini. Tra noi colleghi il gesto individualista non è stato molto apprezzato; come del resto non è molto apprezzato il personaggio che, consigliere comunale Sel a Castagneto Carducci, cavalca l’onda di interesse per le vicende legate alla chiusura delle acciaierie per portare avanti la propria carriera politica. La Lucchini è diventata la tribuna elettorale (le elezioni europee sono alle porte) e il palcoscenico di tutti, da Beppe Grillo a Renzi, dal Papa ai sindacati.

Manca, tra gli operai, una coscienza sindacale, per non parlare di una coscienza politica o di classe. C’è stato un forte ricambio generazionale nell’acciaieria, quasi tutta la vecchia guardia di operai che aveva vissuto il periodo delle lotte e rivendicazioni sindacali è andata in pensione, sostituita da giovanotti senz’arte né parte, immigrati meridionali e disperati di vario genere, perché nessuno vuole più lavorare alla Lucchini. Nessuno che ne ha appena la possibilità vuole lavorare in questo stabilimento dove il lavoro è fatto male, i macchinari obsoleti e pericolosi nel loro utilizzo, le norme di sicurezza trascurate e il futuro ogni giorno più incerto.

Il 24 è stato firmato un accordo di programma per Piombino. Cosa prevede?

L’accordo mette a disposizione 250 milioni di euro provenienti dalla regione e dallo stato, fondi che verranno impiegati per la bonifica del territorio, l’ampliamento del porto dove saranno dismesse le navi della difesa e il rifacimento della bretella che collega il porto di Piombino alla superstrada Aurelia. Tutti lavori di contorno che non vanno a toccare la questione dello stabilimento siderurgico che, in mancanza di un investitore privato chiuderà definitivamente e le promesse di Rossi di riattivazione dell’impianto entro due o tre anni saranno parole al vento.

Per gli operai della Lucchini sarà garantito un lavoro in queste opere di bonifica con contratti di solidarietà, posticipandone ancora per un po’ la disoccupazione, mentre per i quasi 2000 lavoratori dell’indotto ci sarà solo la cassa integrazione.

Come te la vivi l’imminente fine della fabbrica preannunciata dall’ultima colata di acciaio fuso?

Male. Ormai da anni ci troviamo in una situazione di precarietà insostenibile e snervante, il nostro posto di lavoro in preda alle imponderabili vicende del libero mercato, non sai fino a quando avrai un lavoro, non sai se ti pagheranno il tfr (giacché parte di quei soldi li hanno utilizzati per far andare avanti l’azienda negli ultimi tempi) e non puoi fare progetti sul tuo futuro.

Ogni tanto al lavoro dico ai colleghi: “Non sentite una sensazione strana, come di essere su una barca alla deriva?”, ma molti sembrano non capire tanto sono assuefatti allo stato di cose. La cosa paradossale è che mentre la barca sta andando a sbattere sugli scogli tutti fanno finta di niente, i capi pretendono di far andare avanti la produzione e mantenere gli stessi ritmi lavorativi facendo fare agli operai anche lavori completamente inutili.

Mi sento in una situazione irreale, assurda. Ormai spero che quest’agonia finisca presto per poter andare a fare il pizzaiolo.

Fonte

Sembra di rivedere una storia già vissuta qualche anno prima e qualche chilometro più a nord, a Genova, dove (forse) è finita soltanto parzialmente meglio, fermo restando la desertificazione industriale di quello che un tempo fu vertice di spicco della produttività industriale nazionale.

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