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28/04/2014

Il monopolio della sofferenza e la questione palestinese

La questione palestinese – spesso rimossa o liquidata dall’agenda politica come una seccatura – è tornata ad imporsi all’attenzione di tutti, fin dentro casa nostra, con i gravi fatti avvenuti a Roma alla manifestazione del 25 aprile. Fatti che segnalano il crescente “nervosismo” delle autorità israeliane e di conseguenze dei loro terminali attivi nei vari paesi, Italia inclusa.

In pochi giorni abbiamo assistito ad una dinamica che ha riaperto i giochi nella regione ma che sta anche investendo il dibattito sulla memoria storica europea, italiana e mediorientale.

1) Dopo quasi otto anni di scontro, quasi una guerra civile a Gaza e divisioni profonde, le due maggiori organizzazioni palestinesi – Al Fath e Hamas – hanno raggiunto un accordo che dovrebbe portare alle elezioni e produrre una nuova leadership dell’Autorità Nazionale Palestinese. L’accordo in questione ha fatto saltare i nervi del governo israeliano e degli Stati Uniti che, evidentemente preferivano di gran lunga la divisione interna ai palestinesi e il mantenimento dello stallo negoziale. Uno stallo del quale Israele ha approfittato sistematicamente per costruire nuovi insediamenti coloniali e mettere tutti di fronte al fatto compiuto.

2) Il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen in una dichiarazione ha condannato lo sterminio nazista degli ebrei in Europa. La cosa sembra “aver colto di sorpresa” molti osservatori piuttosto distratti. Il movimento di liberazione nazionale palestinese infatti non ha mai negato lo sterminio o le persecuzioni naziste contro gli ebrei in Europa. Ne ha contestato la strumentalizzazione da parte delle organizzazioni sioniste per legittimare l’espansione del colonialismo israeliano. Ma è cosa sostanzialmente diversa e ampiamente documentabile.

3) L’uno/due palestinese di questi giorni sta mettendo in serissima difficoltà il governo israeliano. Appare difficile sostenere che adesso non si può più negoziare perché i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania si stanno riunificando dopo otto anni di divisioni. Al contrario questo offrirebbe un interlocutore negoziale più rappresentativo. In secondo luogo il riconoscimento delle sterminio nazista priva la propaganda israeliana di uno dei suoi strumenti preferiti sia nella coesione interna che nella politica internazionale.

4) Viene da chiedersi, e se lo chiedono molti anche in Palestina, che cosa e su cosa oggi sia ancora possibile negoziare tra palestinesi e israeliani. Gaza, dopo il colpo di stato in Egitto,  somiglia sempre più ad un carcere a cielo aperto, la Cisgiordania è un territorio strappato, disgregato e forato in più punti da vecchi e nuovi insediamenti coloniali israeliani che creano intorno a sé “zone di sicurezza” sempre più ampie a tutto discapito della vita e della mobilità dei palestinesi. E’ una trattativa ancora totalmente asimmetrica, costretta dentro ad un impari gioco a tre (Israele - Anp - Stati Uniti) che esclude del tutto altri soggetti internazionali e che vede un arbitro – gli Usa – del tutto sbilanciato sul versante degli interessi israeliani.

5) Eppure il debolissimo e indebolito potere negoziale palestinese sta facendo saltare i nervi agli apparati ideologici israeliani. La smaccata aggressione dei gruppi sionisti romani contro i manifestanti con le bandiere palestinesi lo scorso 25 aprile, ne è un indicatore evidente. A evidenziarlo erano gli argomenti usati dai sionisti: “cosa c’entrano le bandiere palestinesi con il 25 aprile?”. Qui si apre la pagina della memoria storica

6) Nelle manifestazioni del 25 aprile – da sempre – sono state ospitate delegazioni e bandiere di tutti i paesi e i popoli in lotta per la loro liberazione o che hanno portato a conclusione la loro autodeterminazione: da quelle del Vietnam e del Cile a quelle palestinesi o kurde. Nella giornata che celebra la Liberazione ottenuta attraverso la Resistenza contro l’occupazione, queste bandiere non possono che trovare ospitalità, consenso, empatia, solidarietà. Negli ultimi dodici anni, invece, la presenza delle bandiere della Brigata Ebraica (un reparto arruolato nelle forze armate anglo-americane che hanno combattuto in Italia contro i nazifascisti) sono diventate lo strumento per estendere questa presenza alle bandiere dello Stato di Israele e qui la contraddizione è diventata insanabile.

7) Agli occhi della comunità internazionale le bandiere dello Stato di Israele rappresentano ancora oggi quelle dell’oppressione coloniale contro il popolo palestinese. Per quanti sforzi siano stati fatti dagli apparati ideologici dello Stato israeliano (ambasciate, giornalisti amici, occupazione del sistema massmediatico) quelle bandiere non riescono ad essere vissute come emblemi di libertà e autodeterminazione. La memoria delle persecuzioni e dello sterminio nazisti contro gli ebrei in Europa è una memoria condivisa con l'antifascismo nel nostro e in altri paesi. Ma sta diventando insopportabile il tentativo degli apparati ideologici di Stato israeliani di monopolizzare e autocentrare su se stessi il monopolio della sofferenza e della memoria storica sulle tragedie dovute al nazifascismo e alla Seconda Guerra Mondiale, soprattutto quando questo viene strumentalizzato come fattore di sostegno alla politica dello Stato di Israele oggi. In questi anni abbiamo assistito ad una occupazione della storia che non rende giustizia alle sue vittime ma, al contrario, le allontana dall’empatia e dal senso comune della Resistenza come momento di rottura dell’occupazione nazifascista e dei suoi orrori. Soprattutto sulle nuove generazioni questo ha contribuito a indebolire la coscienza antifascista che dovrebbe essere il patrimonio comune di tutti coloro che lottano contro l’oppressione. I fischi che stavolta si è beccato in piazza il minoritario e oltranzista presidente della comunità ebraica romana dopo l’occupazione del palco, hanno segnato un punto di rottura che dovrebbe indurre a seria riflessione gli ambienti progressisti ebraici oggi troppo timidi, intimiditi o troppo indulgenti.

Viene spesso da chiedersi se la ruota della storia stia ancora girando in avanti o si stia fermando per tornare indietro. L’Europa che elegge se stessa a tempio della democrazia, vede crescere ancora una volta al suo interno – e per precise responsabilità delle sue classi dominanti – mostri e mostriciattoli del passato. Le profezie convergenti di Primo Levi e Bertold Brecht che invitavano a non ritenere ormai morta e sepolta “la bestia ancora feconda”, dovrebbe guidare la riflessione e l’azione di chi vede nella lotta di liberazione e nella Resistenza dei valori fondativi dell’umanità, anche in Palestina. Hegel afferma che diventa tragedia quando sono in lotta tra loro "due ragioni". Assistiamo invece ad un continuo rovesciamento della storia e del presente (vedi l'Ucraina). Ormai siamo abbondantemente oltre la tragedia. Prima ce se ne accorge, meglio è per tutti.

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