Dopo un attentato a Baghdad (foto AP) |
Un voto che mette in luce la realtà di un Paese che possiede enormi riserve di petrolio in grado di assicurare un futuro di sviluppo e di benessere ai suoi abitanti e che invece riesce a coprire solo il 50% dei bisogni energetici nazionali, a cominciare dall’elettricità, e che non offre servizi essenziali come una efficace distribuzione dell’acqua nei centri abitati. Dove finiscono le ingenti entrate frutto dell’esportazione di greggio ben pochi lo sanno. Certo anche nelle casse delle multinazionali del petrolio che “aiutano” il Paese nell’estrazione dell’oro nero.
Ieri il premier sciita Nuri al Maliki, duramente contestato dalla minoranza sunnita, ha lanciato un appello agli elettori affinché vadano in massa alle urne per scegliere i 328 deputati del nuovo Parlamento. Maliki, al potere dal 2006, chiede un terzo mandato. In un’intervista alla televisione al Iraqia si è detto sicuro di poter trovare le intese per formare una maggioranza basata “sull’unità dell’Iraq e la rinuncia al settarismo”.
Un impegno davvero ambizioso di fronte alla frammentazione del panorama politico, che vede sciiti e sunniti divisi anche al loro interno e che renderà necessarie lunghe trattative per riuscire a formare il nuovo esecutivo. Senza dimenticare che l’Iran per un verso e l’Arabia Saudita per l’altro faranno sentire la loro pesante influenza su qualsiasi sviluppo politico iracheno.
Oggi ci saranno 800 mila agenti di polizia e soldati a presidiare i seggi elettorali ma ben pochi credono nella loro capacità di tenere sotto controllo il paese. Anche nelle ultime ore sono stati numerosi gli attacchi dei gruppi qaedisti contro gli sciiti e le forze di sicurezza. Almeno 88 i morti da domenica scorsa, che portano ad oltre 3 mila il totale delle vittime dall’inizio dell’anno. La provincia dell’Anbar, altre zone del Paese e persino alcuni quartieri della capitale Baghdad restano fuori dal controllo delle forze di sicurezza governative.
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