Due camion imbottiti di esplosivo e una bomba hanno fatto strage ieri
sera al comizio del partito sciita Lista dei Cittadini nella capitale
irachena Bagdad: almeno 31 i morti e decine le persone ferire
nell’attacco rivendicato dal gruppo qaedista Stato islamico dell’Iraq e
del Levante (Isil) che dallo scorso dicembre ha occupato parte
della provincia occidentale dell’Anbar, roccaforte sunnita dove sono
iniziati i movimenti di opposizione al governo a guida sciita, repressi
nel sangue, e dove non si voterà a causa dell’insicurezza.
La campagna elettorale per le parlamentari di mercoledì prossimo (30
aprile) è segnata dalle violenze e dalle divisioni settarie che stanno
spingendo il Paese sull’orlo della guerra civile. Da oltre un
anno l’Iraq è teatro di uno scontro confessionale tra sciiti saliti al
potere dopo la caduta di Saddam Hussein e sunniti, che da gennaio ha già
fatto oltre duemila morti negli attentati con autobombe e kamizake ai
mercati, alle moschee, ai caffè, ai ristoranti, alle caserme.
L’anno scorso i morti sono stati quasi 9.000. Un bollettino di guerra
che fa tornare alla memoria il bagno di sangue del 2008, quando migliaia
di persone morirono nelle violenze settarie.
È in questo clima che gli iracheni sono chiamati a votare mercoledì
per scegliere 328 deputati che designeranno il nuovo presidente e il
prossimo primo ministro. Ci sono 9.000 candidati. L’attuale
premier sciita Nouri al Maliki, in cerca del terzo mandato, sembra avere
la vittoria in tasca, ma non gode più dell’ampio sostegno che lo ha
riconfermato al potere nel 2010. La sfida a Maliki arriva dal
campo sciita, più che dai sunniti: sia il Consiglio supremo islamico
dell’Iraq (Isci) sia il movimento sadrista del religioso Moqtada al
Sadr, che a febbraio ha annunciato il ritiro dalla scena politica, hanno
apertamente criticato il suo operato, soprattutto riguardo alla
situazione della sicurezza del Paese.
Questa tornata elettorale, la prima dopo il ritiro delle truppe
statunitensi tre anni fa, sarà quindi molto diversa dalle altre due
tenutesi dal 2005. Il Paese è diviso, anche il blocco sciita non è più
compatto e al suo interno si levano voci critiche contro la politica di
Maliki. Divisioni su cui fanno leva i candidati, come ha fatto notare di
recente Nikolay Mladenov, inviato speciale delle
Nazioni Unite per l’Iraq, che ha biasimato i partiti che fanno appello
alle appartenenze confessionali invece che al dialogo, mentre le
violenze sono all’ordine del giorno in un Paese con enormi problemi che
alimentano rivalità mai sopite: mancano i servizi essenziali - dall’acqua
all’elettricità, alla sanità - la disoccupazione è a livelli altissimi e
c’è una corruzione diffusa nell’amministrazione.
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