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22/04/2014

Due conti (veri) sugli effetti del Fiscal Compact

Da un po’ di tempo a questa parte, riappare qua e la l’ombra del fiscal compact e dei 50 miliardi all’anno per cinquant’anni* che tutti i governi succedutesi hanno sottoscritto e messo in costituzione in un batter di ciglia. (Ma non si deve togliere il Senato o quantomeno esautorarlo perché rallenta l’attività decisionale del parlamento?)

Naturalmente il riapparir dell’incubo è da parte di qualche bontempone che si sforza, ahimè, a dimostrare che è un falso problema. Ma non fa che peggiorare le cose perché a ragionare sulle ipotesi in campo non si fa che confermare il disastro che ci attende dietro l’angolo (nel 2016 scade la prima rata)

Rinfreschiamoci la memoria.

Il Fiscal Compact è sostanzialmente quel patto che obbliga, indipendentemente dai governi che si succederanno (infatti l’Italia l’ha messo in Costituzione) i paesi aderenti (e l’Italia lo è) non solo ad avere un bilancio statale in pareggio, ma che il deficit da calcolare è quello nominale (compreso quindi di eventi eccezionali e transitori). Mentre se si fa riferimento al deficit strutturale  il bilancio deve segnare un segno positivo dello 0,5%.

Ma non è finita qua.

Il rapporto deficit/PIL deve raggiungere il 60% del PIL entro vent’anni, attraverso una riduzione annua pari ad un ventesimo della quota eccedente il 60%.

Da un calcolo rapido facendo riferimento al bilancio dell’Italia la quota annua che noi dovremo pagare si aggira intorno ai 50 miliardi annui per vent’anni, appunto.

I bontemponi si affrettano a dire che questa non è una cifra assoluta, ma frutto di un rapporto fra deficit e PIL e che il PIL è riferito al suo valore nominale. Ora, siccome il Pil nominale è uguale al Pil reale più l'inflazione, se ne deduce che un aumento dell'inflazione renderebbe il percorso di rientro del debito più facile. Certo! Ma la politica della BCE in tutti questi anni è stata quella di favorire l’inflazione o quella di scoraggiarla? E questo è tanto vero che ci stiamo dirigendo con la velocità della luce verso la deflazione. Per cui il ragionamento che fanno i bontemponi è solo teorico, e nella pratica non si realizzerà mai.

Ma volendo stare al gioco e supponendo possibile un aumento dell’inflazione, questa farebbe lievitare il Pil nominale, ma si trascinerebbe dietro i tassi di interesse, che (al netto dei fattori speculativi), tenderebbero a seguire la crescita dell'inflazione. I cui "vantaggi" verrebbero così annullati, sia pure tendenzialmente e non immediatamente. E saremmo daccapo a tredici! Da questo piccolo ragionamento se ne deduce che si è vero che quel numero (i 50 miliardi) non è una cifra fissa ma variabile, ma più tendenzialmente verso l’alto che verso il basso!

Come si vede, come la si giri e la si volti le cifre in gioco sono enormi, e tutti i sacrifici fatti dai lavoratori italiani sono quasi niente rispetto a quelli che ci attendono.

Sempre i bontemponi, sperano in Renzi e nel suo FARE. Ma ora, obbiettivamente portare entro il 2015 il bilancio dello STATO allo 0% e solo raggiungendo questo obbiettivo sperare di poter pagare “solo” 50 miliardi annuii per vent’anni e tutto questo vendendo le auto blu su e-bay, o riducendo lo stipendio dei manager o eliminando il Senato mi sembra pura è semplice presa per i fondelli.

Qui non si tratta di ottimismo, di credere-obbedire-combattere; qui si tratta di fare due sporchi e maledetti conti!

Fonte

* gli anni dovrebbero essere 20, non 50.

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