Jibril Rajub prova a lanciare segnali concilianti, invita alla calma.
Il futuro governo di consenso nazionale palestinese che uscirà
dall’accordo Fatah-Hamas siglato mercoledì a Gaza, ha spiegato ieri il
dirigente di Fatah ed ex capo dell’intelligence palestinese, si
riconoscerà nella linea del presidente Abu Mazen. Ossia darà continuità
al negoziato con Israele. Non solo, poche ore fa i vertici di
Ramallah hanno fatto sapere che la riconciliazione con Hamas andrà a
compimento solo se il nuovo governo ribadirà il riconoscimento di
Israele e della soluzione di “due Stati”.
Parole che vanno oltre la ripetizione della posizione dell’Anp. Dopo
le minacce israeliane di sanzioni contro i palestinesi – ieri il
governo Netanyahu ha deciso di sospendere le trattative con l’Anp – e
gli avvertimenti al limite del ricatto economico giunti
dall’Amministrazione Obama, dietro le quinte forse stanno maturando
intese non scritte. Si sussurra che in cambio di un atteggiamento più
morbido di Israele e Usa nei confronti di un esecutivo Fatah-Hamas
(ancora da concretizzare), l’Anp potrebbe accettare il proseguimento
delle trattative bilaterali con Israele senza porre condizioni.
Pare che Abu Mazen si sia convinto che la riunificazione
politica tra Fatah e Hamas, tra Cisgiordania e Striscia di Gaza, dopo
sette anni di scontri e scambi di accuse, sia un risultato
irrinunciabile, più importante del blocco completo dell’espansione delle
colonie ebraiche in Cisgiordania, la condizione avanzata per andare
avanti con i colloqui. Non sono passate inosservate peraltro le
dichiarazioni della portavoce del “ministro degli esteri” dell’Unione
europea Catherine Ashton che sottolineano che per Bruxelles la
riconciliazione palestinese è positiva ma la priorità rimane il
proseguimento del negoziato. Anche le parole della storica portavoce
palestinese, Hanan Ashrawi, indicano che qualcosa bolle in pentola.
«Governo di unità nazionale e negoziati non sono in antitesi: anzi, la
nostra posizione sarebbe rafforzata perché ci presenteremmo al tavolo
delle trattative come un blocco unico e compatto», ha detto la Ashrawi.
In attesa di conoscere tutte le sanzioni israeliane, gli Stati Uniti si sono affrettati a minacciare il taglio dell’assistenza economica alla Palestina.
«Se un nuovo governo palestinese sarà formato, valuteremo in base alla
sua adesione alle disposizioni note, le sue politiche, le sue azioni e
determineranno ogni implicazione per la nostra assistenza», ha detto un
funzionario Usa a varie agenzie di stampa, facendo riferimento alle
condizioni poste negli anni passati dal Quartetto per il Medio Oriente
(Usa, Russia, Onu, Ue): riconoscimento di Israele, fine della lotta
armata, accettazione degli accordi raggiunti in passato. «Siamo stati
chiari circa i principi che devono guidare un governo palestinese in
modo che possa svolgere un ruolo costruttivo nel raggiungimento della
pace e la costruzione di uno Stato palestinese indipendente», ha
insistito il funzionario americano.
In Israele ieri si è riunito il gabinetto di sicurezza per decidere
la ritorsione alla riconciliazione Fatah-Hamas. Ieri sera non erano
ancora note tutte le decisioni ma difficilmente Netanyahu deciderà
l’interruzione permanente dei colloqui con i palestinesi. Piuttosto
opterà per una sospensione. L’esecutivo israeliano non vuole
passare come la parte che ha bloccato le trattative, piuttosto intende
addossare ad Abu Mazen la responsabilità del fallimento del negoziato e
sottrarsi dall’accusa di aver avvelenato per nove mesi il clima delle
trattative con continui annunci di progetti di espansione delle colonie
ebraiche nei Territori occupati e, a fine marzo, con la
decisione di Netanyahu di non far scarcerare l’ultimo gruppo di
prigionieri politici che si era impegnato a liberare lo scorso luglio,
all’avvio del negoziato mediato dal Segretario di stato John Kerry.
Contro Abu Mazen ieri è partita una nuova raffica di accuse
israeliane. A prendere di mira il presidente palestinese è stato il
ministro degli esteri Avigdor Lieberman. Mentre Hamas praticherebbe
verso Israele un terrorismo classico, Abu Mazen ricorre a un terrorismo
politico: ha tuonato Lieberman. «Abu Mazen – ha aggiunto – conduce verso
Israele una politica di non pace e non guerra», ha poi aggiunto il
ministro, che ha anche accusato il presidente dell’Anp di essere
sfuggente pur di non prendere impegni.
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