Sono saliti a 278 i palestinesi uccisi in questi giorni di escalation militare israeliana contro la Striscia di Gaza.
Ai raid aerei che hanno fatto piovere centinaia di bombe e missili su uno dei luoghi più affollati del mondo e senza vie di fuga, si sono aggiunte le incursioni terrestri delle truppe di Tel Aviv a nord, a sud, al centro della Striscia (vedi la mappa a fianco) e poi i bombardamenti e i pattugliamenti delle navi militari dal mare.
Le foto ci mostrano migliaia di palestinesi in fuga dalle zone dei combattimenti (gli sfollati sono saliti da 22mila a 40mila) ma il problema è che da Gaza e a Gaza non si può fuggire. La sua dimensione di carcere a cielo aperto, chiuso su tutti i lati e densamente abitato da più di un milione e mezzo di palestinesi in un fazzoletto di terra con uno sbocco al mare da sempre vietato e colpito dalle navi israeliane, rendono impossibile “fuggire” per sottrarsi ai bombardamenti o alle incursioni di tank israeliani.
Bisognerebbe aprire il valico di Rafah e consentire la fuga dei profughi, in gran parte civili, donne e bambini. Ma l’Egitto punisce i palestinesi di Gaza tenendo chiuso il valico e Israele concentra anche su Rafah parte della sua offensiva di terra. Non c’è scampo dunque. Gaza è una trappola, un mattatoio dal quale non si può sfuggire. La tenaglia israeliana si stringe come già avvenuto, con esiti tragici nel 1982 in Libano intorno ai campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, un assedio che ci ha consegnato due stragi rimasti nella storia. Non serve neanche rifugiarsi nelle scuole o negli uffici delle Nazioni Unite. A Cana, in Libano nel 1996 e poi successivamente, gli aerei israeliani colpirono gli edifici dell’Onu con i profughi che vi si erano rifugiati, altri due stragi. E poi c’è il ricordo di Piombo Fuso, sempre a Gaza, il massacro di 1400 palestinesi nelle due settimane a cavallo tra il Natale del 2008 e il gennaio del 2009 da parte dei bombardamenti a tappeto israeliani.
Per molto meno altri paesi, diversi da Israele, hanno subito sanzioni, embarghi, talvolta interventi militari punitivi. Ma ad Israele tutto continua ad essere consentito senza reazioni di dignità e di efficacia da parte della “comunità internazionale”.
Questa volta il pretesto del nuovo mattatoio su Gaza è stato il rapimento e l’uccisione di tre ragazzi israeliani avvenuto però in Cisgiordania. Un pretesto stranamente già scomparso dalla manipolazione politica e mediatica che da sempre chiude gli occhi o plaude alla ferocia israeliana perché sostituito da un altro più consolidato e visibile: il lancio di razzi da Gaza sul territorio israeliano. Una minaccia di una inefficacia decisamente straordinaria ma che viene ritenuta attendibile per chiudere nel mattatoio e infierire contro una milione e mezzo di palestinesi.
A questo pretesto si affiancano altre giustificazioni sui quali in pochissimi si interrogano: Hamas usa i civili come scudi umani ed ha rifiutato la tregua proposta dall’Egitto. Messi insieme entrambi legittimano la punizione collettiva contro la popolazione palestinese. Il feroce candore con cui una giovane parlamentare israeliana (ma con un incarico importante alla Knesset) ritiene i bambini palestinesi dei “serpenti” ai quali occorre uccidere le madri per impedire che li partoriscano non ha provocato le ondate di sdegno o le sanzioni che abbiamo visto per le Pussy Riot.
Contro i palestinesi sembra funzionare la maledizione che si abbattuta sugli ebrei in Europa. Contro di loro tutto era ammesso, tutto diventava possibile e giustificabile, fino a quando la storia è girata ed ha affermato che non era accettabile. Cosa deve ancora accadere a Gaza prima che nessuno si senta con la coscienza a posto pur essendo un volenteroso carnefice dei palestinesi?
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