Dallo studio dell’ISS sull’ILVA di Taranto e la terra dei fuochi emerge il quadro di un Paese da terzo mondo.
L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato giovedì l’aggiornamento dello studio SENTIERI per la cosiddetta "Terra dei fuochi"(TdF) e per il SIN (Sito d’Interesse Nazionale) di Taranto per adempiere alla Legge n°6 del 6 febbraio 2014, legge che stanzia la cifra non indifferente di 50 milioni di euro in due anni per Puglia e Campania. Il Ministro Lorenzin ha sottolineato più volte come questi fondi andrebbero spesi a favore delle popolazioni locali per attività di screening diagnostico, ma il quadro che emerge dallo studio e le esigenze reali di chi in queste regioni combatte tutti i giorni contro i continui tagli dei Governi per assicurare un servizio sanitario decente ai cittadini, sembrano dare indicazioni diverse.
La vicenda dell’Ilva è ormai a noi tutti tristemente
nota con i suoi devastanti effetti sulla salute delle popolazioni che
risiedono nei quartieri a ridosso di questo “mostro industriale”; la
questione legata alla “Terra dei fuochi” invece presenta ancora maggiori
contraddizioni. La legge individua come cosiddetta “Terra dei fuochi”
55 comuni che si trovano tra la provincia di Napoli e Caserta, ma non
esistono studi che individuino questo insieme di comuni come i più a
rischio in termini di “pressione ambientale”. Infatti lo studio dell’ISS
afferma che “La situazione ambientale dell’area c.d. “Terra dei Fuochi”
(TdF) è peculiare e complessa, data la presenza di diversi sorgenti di
contaminazione ambientale, e la mancanza di una specifica
caratterizzazione sistematica delle diverse matrici. In relazione alla
contaminazione del territorio dovuta allo smaltimento illegale dei
rifiuti pericolosi e alla combustione incontrollata di rifiuti sia
pericolosi sia solidi urbani, identificare i comuni interessati da
queste pratiche è difficoltoso”. Il primo quesito da porsi è quindi
perché solo questi 55 comuni godranno del beneficio finanziario della
Legge? Va inoltre considerato che questi 50 milioni sbandierati dal
governo come la soluzione al dramma di queste terre saranno solo per 2
anni, e poi? In assenza di un complessivo ed efficiente piano di
bonifica, è ovvio che qualsiasi intervento sanitario non sarebbe
risolutivo, ma che almeno sia utile e strutturale visto che la
situazione nel territorio non è destinata a cambiamenti nel breve
termine.
Lo studio evidenzia un “gruppo di patologie per le
quali sussiste un eccesso di rischio in entrambi i generi per tutti e
tre gli indicatori utilizzati (mortalità, ricoveri, incidenze tumorali)
costituito da: “tumori maligni dello stomaco, del fegato, del polmone,
della vescica, del pancreas, della laringe, del rene, linfoma non
Hodgkin”. Dati drammatici che però impongono una domanda: esistono
screening di popolazione per queste patologie? E se si, a cosa
servirebbero? La risposta dei ricercatori è no, non esistono ad oggi
screening scientificamente validi per la maggior parte di queste
malattie ed inoltre un eventuale screening che portasse ad una diagnosi
precoce di alcune di queste malattie (tumore del polmone, del fegato…)
non è detto che ne ritarderebbe la progressione. Gli unici screening
raccomandabili su determinate fasce di popolazione sono già definiti dai
LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) del Servizio Sanitario Nazionale per
il Tumore della Mammella e del Colon-retto, quindi teoricamente già
dovrebbero essere fatti. Da questo si deduce che in queste terre, come
nel resto del nostro Paese non servono “interventi straordinari” utili
solo per fare annunci ad effetto, ma occorrerebbe salvaguardare
l’ordinario e potenziare stabilmente un Servizio Sanitario Nazionale che
è da anni sotto attacco dei vari governi e che con le politiche della
“spending review” si è visto progressivamente tagliare risorse
(lavoratori, posti letto...) arrivando a non riuscire più a garantire ai
cittadini un livello minimo di assistenza. Le risposte alle pressioni
dei movimenti locali e in taluni casi al pressing mediatico risultano
assolutamente inadeguate e decise spesso solo a scopo pubblicitario.
Un trend grave per tutto il Paese che in zone a rischio diventa assolutamente drammatico e forse è utile aggiungere un ultimo dato che colpisce ancora di più. La parte di popolazione destinata a pagare di più decenni di politiche asservite alle logiche di mercato e contro i cittadini sono i bambini, infatti lo studio presenta un quadro del danno alla salute infantile che lancia un allarme, condiviso a livello scientifico internazionale: “Vi è piena consapevolezza nella comunità scientifica e nelle istituzioni internazionali (Organizzazione Mondiale della Sanità OMS, Conferenza dei Ministri dell’Ambiente e della salute dei paesi membri della regione Europea dell’OMS) sulla maggiore vulnerabilità dei bambini nei confronti dell’esposizione agli agenti inquinanti presenti nelle diverse matrici ambientali”. Lo studio parla di 21% di mortalità in eccesso nella popolazione 0-14 anni a Taranto e 20% (nel primo anno di vita) con un contributo rilevante di mortalità per alcune condizioni morbose di origine perinatale (+45%). Nella provincia di Napoli si evidenzia inoltre un eccesso di incidenza per tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nelle classi d’età 0-14 anni. Lo studio inoltre evidenzia un altro aspetto ossia il legame tra la salute infantile e la deprivazione socioeconomica; cita lo studio “Nel nostro Paese circa 5.5 milioni di persone e circa un milione di bambini e giovani (<20 44="" anni="" bonifiche="" di="" font="" in="" interesse="" le="" nazionale="" nei="" per="" risiedono="" sentieri="" sin="" siti="" studiati="">20>– (60% appartengono ai gruppi socio-economicamente più svantaggiati)”.
Il destino segnato di questi bambini nati poveri e in
un ambiente malsano ci racconta di un Paese sottosviluppato nel bel
mezzo dell’Europa, un dato scientifico sul quale riflettere, non solo
scientificamente.
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