L’Iran è peggio dello Stato Islamico, mentre Hamas è come lo Stato
Islamico. I jihadisti dell’Isil (lo Stato islamico dell’Iraq e del
Levante) che stanno mettendo in subbuglio il Medio Oriente, sono
diventati il termine di paragone preferito dal premier israeliano
Benjamin Netanyahu che ieri è intervenuto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con un discorso privo di novità e aperture verso i palestinesi.
Un discorso che l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha definito una “lampante manipolazione dei fatti” e in cui il premier israeliano ha riproposto il
solito assioma resistenza (palestinese) uguale terrorismo, affossando
(di nuovo) la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Senza
dimenticare il nemico a Teheran, il governo iraniano che ha intrapreso
un faticoso dialogo con Washington e con altre potenze occidentali sul
proprio programma nucleare. Un’apertura che Tel Aviv ha sempre osteggiato.
Netanyahu è intervenuto all’indomani del discorso del presidente dell’Anp, Mahmud Abbas, che aveva accusato Israele di crimini di guerra durante l’offensiva estiva contro Gaza (oltre 2.000 morti),
e ha lanciato i suoi strali anche contro gli amici occidentali,
prendendosela contro quei governi che hanno condannato la campagna
militare israeliana e oggi sostengono quella statunitense contro i
jihadisti in Iraq e in Siria. Si tratta della medesima causa, ha
detto Netanyahu, affermando che Isil e Hamas sono “i rami dello stesso
albero velenoso” e che il Movimento islamico palestinese ha usato i
civili come scudi e che vuole instaurare il terrore nel mondo, proprio
come i “nazisti”.
Per la dirigente dell’Olp, Hanan Ashrawi, Netanyahu “ha
perso il senso della realtà, rifiutandosi di comprendere che
l’occupazione in sé e tutti gli atti che comporta da parte dell’esercito
israeliano sono crimini di guerra”. Il discorso del premier,
ha aggiunto Ashrawi, è “un tentativo di fuorviare la platea attraverso
una combinazione di linguaggio odioso e di calunnie”. Il Movimento
islamico che governa Gaza ha rigettato l’accostamento con lo Stato
Islamico per bocca del portavoce Sami Abu Zuhri che ha ribadito che
“Hamas è un movimento di liberazione nazionale”.
L’accostamento Stato islamico-Hamas è sembrato troppo anche a
Washington. La portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, ha
espresso, con un pizzico di sarcasmo, le sue riserve a riguardo: “Entrambi
sono definiti organizzazioni terroristiche, ma ovviamente l’Isil pone
una minaccia diversa da Hamas, e questo è un fatto. Non penso che
Netanyahu o qualche altro israeliano stia suggerendo che gli Stati Uniti
lancino una campagna militare contro Hamas”.
Netanyahu non ha risparmiato l’altro nemico regionale, Teheran, e ha
avvertito gli amici occidentali di non farsi abbindolare dalla
“ammaliante offensiva” del presidente Hassan Rouhani. Un Iran con armi
nucleari potrebbe essere una minaccia peggiore dello Stato Islamico, ha
detto: “Sconfiggere lo Stato islamico e ignorare l’Iran sarebbe come
vincere la battaglia e perdere la guerra”.
Una stoccata agli amici di Washington che hanno aperto il dialogo con
Teheran sul programma nucleare iraniano. Un negoziato in stallo, dopo i
progressi iniziali, che rischia di arenarsi definitivamente prima della
scadenza di novembre. Anche su questo, la signora Psaki non si è
trovata del tutto d’accordo con il premier israeliano e ha messo in
chiaro che gli Usa non si fanno ammaliare e che ogni accordo con l’Iran
si baserà sui fatti.
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