di Michele Giorgio
A inizio settimana il quotidiano libanese al Akhbar aveva salutato con favore il maggior coinvolgimento militare della Russia a sostegno del presidente Bashar Assad
e delle forze governative siriane in affanno contro la galassia di
formazioni jihadiste e qaediste – dall’Isis ad al Qaeda (al Nusra) – ben
armate e finanziate dalle generose donazioni che arrivano dai Paesi del
Golfo. Secondo il quotidiano, l’intervento militare di Mosca impedirà o
almeno ostacolerà futuri attacchi aerei israeliani in Siria e invia un
segnale preciso al leader turco Erdogan, nemico giurato di Assad. Al
Akhbar vola troppo alto, immagina una Russia decisa in Siria ad opporsi
anche militarmente allo Stato di Israele, dal quale, peraltro, ha appena
comprato una decina di droni per tenere sotto controllo la frontiera
con l’Ucraina. Allo stesso tempo è evidente che, come ha scritto Amos Harel, autorevole analista militare del quotidiano israeliano Haaretz, «L’ingresso della Russia nella scena siriana cambia le regole del gioco».
Le missioni dei caccia russi nei cieli della Siria, ha spiegato
Harel, automaticamente pongono dei «vincoli» alla libertà di azione dei
jet da combattimento israeliani. Di fronte a ciò, indica l’analista,
Israele dovrà in qualche modo adeguarsi alla nuova situazione e
modificare in parte la sua strategia. Restrizioni alla libertà di
movimento dell’aviazione israeliana sono previsti anche dal quotidiano Yediot Ahronot.
Saranno richieste nuove “regole d’ingaggio” ha lasciato intendere Ram
Ben-Barak, direttore generale del ministero dell’intelligence di
Israele, mentre Amos Gilad, un consigliere del ministro
della difesa Moshe Yaalon, sostiene che è troppo presto per parlare di
«ostacoli» alle operazioni in Siria delle forze aeree israeliane. Da
parte sua Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence
militare, esclude che le due parti andranno in rotta di collisione.
Faranno in modo di «non incontrarsi», ha commentato ricordando che Mosca
e Tel Aviv non sono nemiche.
Gli israeliani gettano acqua sul fuoco, ridimensionano i riflessi
dell’intervento russo in Siria, almeno per ciò che riguarda gli
interessi dello Stato ebraico. Ed escludono che i caccia russi si
spingeranno verso il sud della Siria, dove Israele concentra buona parte
dei suoi attacchi contro l’esercito siriano e i combattenti di
Hezbollah. Sanno però che dovranno fare i conti con una situazione
nuova, che complica, e non poco, i loro piani militari a sostegno, ormai
evidente, delle milizie islamiste radicali – quelle che in Occidente
descrivono ancora come “ribelli moderati” – che operano nel sud della
Siria e a ridosso del Golan. Israele già offre assistenza medica a
questi “guerriglieri della libertà” con i quali, secondo un rapporto
degli osservatori dell’Onu, mantiene contatti più o meno regolari.
Da quando è cominciata la guerra civile siriana l’aviazione
con la stella di Davide ha avuto il completo dominio dei cieli e
compiuto frequenti attacchi nel Golan e lungo la frontiera tra Libano e
Siria, ma anche vicino Damasco. Ufficialmente per bloccare
convogli con armi sofisticate e razzi destinati a Hezbollah e per
impedire che il sud della Siria, in particolare la fascia di territorio a
ridosso del Golan, si trasformi, sempre secondo Tel Aviv, in un
“avamposto iraniano” per osservare lo Stato ebraico e attaccarlo.
Tuttavia, osservando sulla cartina gli obiettivi colpiti negli ultimi
mesi dai bombardieri israeliani, i raid non paiono più indirizzati a
bloccare i presunti convogli di armi. Piuttosto danno una mano alle
formazioni armate che combattono contro l’esercito siriano impegnato,
assieme agli alleati di Hezbollah, a riprendere il controllo del Qalamoun, di Zabadani e del confine con il Libano, un’area strategica alla quale Damasco non può rinunciare se vuole garantirsi la sopravvivenza.
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