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13/09/2015

Rifugiati siriani, l'Arabia Saudita da i numeri

Forse colpita dalle critiche internazionali per la mancata accoglienza dei rifugiati siriani, l’Arabia Saudita ieri ha risposto dando i numeri: da quattro anni a questa parte, dall’inizio della guerra civile in Siria, Riyadh ha accolto 2,5 milioni di profughi. Lo ha riportato una fonte interna al Ministero degli Affari Esteri.

Numeri che non hanno fondamento: da anni le Nazioni Unite e numerose altre organizzazioni internazionali monitorano il flusso verso l’esterno dei siriani in fuga dalle violenze. Chissà come questi 2,5 milioni sono “sfuggiti” al dettagliato conteggio. Secondo la fonte la ragione va ricercata nel particolare status riconosciuto ai profughi siriani: non vengono trattari come rifugiati e messi in campi profughi così da“tutelarne la dignità”. Ovvero sarebbero stati ben integrati nel paese, una politica di cui – aggiunge – “il regno non ha voluto parlare perché ha affrontato la questione da una prospettiva religiosa e umana, evitando la copertura dei media”.

Media che finora, secondo la petrolmonarchia in modo colpevole, avrebbero riportato solo delle chiusure saudite. O delle originali proposte, come quella di finanziare la costruzione di 200 moschee in Germania per garantire ai profughi siriani in fuga un luogo per pregare.

Quindi dove sono questi due milioni e mezzo? Secondo Riyadh, molti se ne sarebbero già andati, altri – qualche centinaio di migliaia – sono rimasti ricevendo lo status di residente, utile a ottenere copertura sanitaria ed educativa. Sarebbero, dice il governo, 100mila gli studenti siriani nelle scuole saudite.

Così si giustifica il paese che più di ogni altro ha infiammato la guerra civile siriana, finanziando gruppi sunniti estremisti – a partire, più o meno direttamente, dall’Isis – e garantendogli libertà di movimento e reperimento di armi. Stesso dicasi per il resto del Golfo: nessuna delle ricche petrolmonarchie ha firmato la Convenzione Onu sui Rifugiati, tenendosi le mani libere per manovrare la guerra contro il nemico Bashar al-Assad.

Le scuse accampate per giustificare la mancata accoglienza sono state delle più varie: un clima troppo caldo per i profughi, un diverso ambiente culturale a cui si adatterebbero con difficoltà, un costo della vita eccessivo che non gli permetterebbe di integrarsi. Scuse che reggono poco: nel Golfo, prima della guerra civile, vivevano e lavorano molti siriani, sia come manodopera non specializzata che come esperti e professionisti. Un normale scambio di domanda di lavoro, tra paesi che parlano la stessa lingua e che hanno radici culturali e religiose simili.

Tant’è: secondo il Golfo, gli arabi siriani si troverebbero molto più a loro agio in Europa che in un altro paese arabo. A smontare le giustificazioni delle ricche petrolmonarchie ci ha pensato Amnesty Internazional che in un rapporto recente ha mostrato come Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi non hanno garantito l’accoglienza a nessuno nonostante un’estrema ricchezza finanziaria, economica ed energetica. Al contratio, paesi più poveri come Libano e Giordania sopportano il peso dell’accoglienza della stragrande maggioranza dei rifugiati siriani, milioni di persone che – per un paese piccolo come quello dei Cedri – sono un elemento d'instabilità non indifferente.

Fonte

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