Secondo le notizie diffuse dal Ministero degli interni del Tagikistan, nelle scorse ore sono stati catturati 31 dei militari che, tre giorni fa, avevano preso parte a una sorta di golpe, guidati – ma la faccenda non è del tutto chiara – dal vice Ministro della difesa Abdukhalim Nazarzoda. Altri 13 insorti sarebbero rimasti uccisi. Il gruppo di militari ribelli, dopo il fallito tentativo, venerdì scorso, di assaltare il Comando centrale del Ministero della difesa e nel corso del quale 8 poliziotti erano rimasti uccisi, si era rifugiato nella gola di Ramit, una quarantina di chilometri dalla capitale Dušambe. Contemporaneamente, un altro gruppo di insorti aveva attaccato la cittadina di Vakhdat, venti chilometri a est della capitale.
Nel bollettino diramato venerdì dal Ministero degli interni subito dopo i due attacchi terroristici, Abdukhalim Nazarzoda veniva descritto come “membro del Partito del rinascimento islamico, ex combattente dell'Opposizione unita tagika che, dopo la firma dell'accordo di pace del 1997 era stata inserita con una quota del 30% nelle forze armate del Tagikistan”. Dal gennaio 2014 Nazarzoda era vice Ministro della difesa e sembra che il Presidente Emomali Rakhmon lo avrebbe destituito dalla carica solo venerdì pomeriggio, dopo l'attacco del mattino. Ancora ieri le agenzie scrivevano che mentre Nazarzoda guidava il blitz nella capitale, un altro alto ufficiale, il colonnello Zieraddin Abdulloev, anche lui ex combattente del Partito islamico, era a capo dei militari che assaltavano il comando della milizia di Vakhdat. Mentre il gruppo impegnato in questo secondo attacco era stato completamente liquidato sul momento, Nazarzoda e oltre 130 incursori erano riusciti a sganciarsi dal combattimento e a rifugiarsi, appunto, tra le montagne che circondano Ramit. La Tass ricorda come la città, negli anni della guerra civile tra il 1992 e il 1997, fosse una delle basi d'appoggio più forti dell'opposizione islamista.
Ma non mancherebbe un piccolo giallo: stamattina Interfax riferiva che il sito di opposizione Tajinfo.org smentiva la partecipazione di Nazarzoda all'attacco di venerdì. Sarebbe stato lo stesso generale, con una telefonata a un militare a lui prossimo, ad aver negato il fatto, sembra, dopo aver saputo dell'arresto di vari ex comandanti dell'Opposizione tagika unita. Nazarzoda accuserebbe anzi il Governo di aver organizzato l'attacco a Dušambe, per incolparne poi gli ex comandanti dell'opposizione.
Al momento, sembra che le operazioni per snidare il gruppo di soldati che ancora resiste nelle gole fuori la capitale, continuino. Non è chiaro se l'ambasciata statunitense, che venerdì era rimasta chiusa temendo un attacco del gruppo terroristico, abbia riaperto i battenti. Da parte di Mosca, Putin si era subito messo in collegamento con Rakhmon, ribadendo l'appoggio russo al presidente.
Ad ogni buon conto, la confinante Kirghizija ha rinforzato oggi le frontiere ed è stato intensificato lo scambio di informazioni operative tra le guardie di confine kirghise e tagike.
Forte contrapposizione, al momento non armata, anche in un'altra ex repubblica sovietica, la Moldavia. Continua nella capitale Kišinëv, pur se non nelle dimensioni di ieri – si erano riunite diverse decine di migliaia di persone – il meeting dei manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente e del governo. Il meeting è organizzato dalla cosiddetta piattaforma civile “Demnitate si adevar“ (Dignità e giustizia) e dal “Blocco rosso” – anche se i primi sostengono di non aver nulla in comune con gli obiettivi dei secondi – che accusano la leadership del paese di essere agli ordini dei gruppi oligarchici e di far solo finta di perseguire l'integrazione europea. Messa in questi termini, la faccenda ricorda qualcosa?! Tanto più che, pare, tra i prossimi passi dei manifestanti, ci sarebbe quello di trasformare il movimento “Dignità e verità” in partito politico, alla cui guida dovrebbe essere Maja Sandu, ex Ministro dell'istruzione, ex pretendente alla carica di primo ministro, protégé della fondazione "Soros" e dell'ambasciata USA e di altre più o meno note organizzazioni a stelle e strisce.
Comunque, il premier Valerij Strelts si è incontrato ieri con una delegazione di manifestanti, che gli hanno consegnato la lista delle proprie richieste: elezioni parlamentari anticipate da tenersi non più tardi del marzo 2016, dimissioni del presidente della repubblica Nicolae Timofti ed elezione diretta del nuovo capo dello stato, confisca del miliardo di euro che sarebbe stato sottratto alle banche. A loro volta, Timofti e il portavoce del parlamento Andrian Kandu hanno detto di essere disposti a incontrare i manifestanti nei prossimi giorni.
Stamattina la polizia avrebbe fermato alcuni leader della protesta, tra cui il capo di “Blocco rosso” Grigorij Petrenko.
La Tass ricorda come la piattaforma “Dignità e verità” avesse già organizzato grosse manifestazioni la primavera scorsa, con la partecipazione di forze politiche diverse, tra cui anche quelle favorevoli alla liquidazione dello stato moldavo e della sua unione alla Romania.
Anche qui, un caso nel caso: gli inviati della rete televisiva russa Lifenews sono stati fermati all'aeroporto di Kišinëv ed è stato impedito loro l'ingresso nel paese, col pretesto che non sono accreditati presso il Ministero degli esteri moldavo. Lo stesso era accaduto l'aprile scorso quando i corrispondenti di un'altra rete russa, Zvezda non erano stati ammessi in territorio moldavo, allorché avevano dichiarato di volersi recare in Transdnestria, regione indipendentista non riconosciuta da Kišinëv.
In quell'occasione, in cui anche al direttore di Rossija Segodnija era stato negato l'accesso in Moldavia, il Ministero degli esteri russo aveva dichiarato che “a quanto pare, non soddisfatta del "rastrellamento" nello spazio dei media nazionali richiesto dai canali tv russi, la Moldavia ha deciso di seguire la strada dell'Ucraina, importandone l'arsenale dei metodi di lotta con i giornalisti russi”.
Lo scorso 2 settembre Kišinëv aveva espresso la propria contrarietà in occasione della parata organizzata a Tiraspol per il 25° dell'indipendenza della Transdnestria dalla Moldavia, ottenuta ancor prima della fine dell'Urss e abitata per il 60% da russi e ucraini.
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