Perché sedersi al tavolo del negoziato quando si può invadere via
terra un paese? I paesi membri della coalizione anti-Houthi guidata
dall’Arabia Saudita hanno mostrato di aver pochi dubbi in merito e
domenica, mentre con una mano rigettavano il dialogo proposto dall’Onu a
cui avevano aderito solo poche ore prima, con l’altra lanciavano una
vasta operazione terrestre per la riconquista del centro dello Yemen.
Le vittime di tale potenza di fuoco sono i civili yemeniti,
stremati: secondo l’Unicef sono quasi 100mila i bambini a serio rischio
di malnutrizione nella città di Hodeidah, un tasso di malnutrizione
triplicato rispetto a prima della guerra. Intanto l’80% della popolazione, 21 milioni di persone, sopravvive a stento, privata di cibo e acqua potabile.
Ma c’è un’altra vittima della guerra per procura saudita
contro l’asse sciita: sono le Nazioni Unite, scavalcate al momento di
lanciare l’operazione “Tempesta Decisiva” e oggi sbeffeggiate dai
continui tira e molla del governo in esilio del presidente Hadi. Che
prima dice di voler aderire al negoziato e poi lo rifiuta,
nascondendosi dietro la mancata accettazione da parte del movimento
ribelle Houthi della risoluzione Onu 2216 che impone il ritiro dalle
aree occupate.
È successo di nuovo domenica: con gli Houthi pronti al dialogo, Hadi
ha rifiutato la proposta Onu all’ultimo momento. Ma le Nazioni Unite
insistono, del tutto inascoltate: l’inviato Onu in Yemen Ismail Ould
Cheikh Ahmed volerà a Riyadh per “ulteriori consultazioni con il governo
yemenita, rappresentanti yemeniti e paesi della regione”. Perché,
aggiunge, “non c’è soluzione militare al conflitto”.
Una visione lontana da quella della coalizione anti-Houthi che al negoziato preferisce gli strumenti militari. Nelle stesse ore la
coalizione – sostenuta da armamenti occidentali, veicoli blindati
statunitensi, elicotteri Blackhawk e Apache, F-16 e carri armati
francesi – mandava le truppe via terra, ormai abbondantemente presenti
in Yemen, a riprendersi Marib, città nel nord est del paese, in
vista della più ampia operazione per la riconquista della capitale
Sana’a. Ieri il generale Ali Saif al-Kaabi, responsabile militare delle
operazioni, ha annunciato l’ingresso a Marib e la “messa in sicurezza”
della città: “La città è nelle nostre mani, il nemico è nelle montagne”.
Riyadh si affretta a dire di non voler occupare lo Yemen. Ma
gioca con il fuoco: l’operazione contro un paese poverissimo e
dipendente dai soldi sauditi ha risvegliato movimenti interni e spinte
secessioniste. Quando il conflitto finirà, lo Yemen si
ritroverà nella pratica diviso in nuove autorità, tra zone controllate
dai movimenti secessionisti del sud – che per garantire i propri
interessi sostengo le forze governative di Hadi – e zone controllate da
gruppi armati jihadisti, a cominciare da Al Qaeda nella Penisola Arabica
che non cederà facilmente la provincia di Hadramaut, ufficiosamente
conquistata nei mesi scorsi.
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