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15/09/2015

Yemen - Ripresa Marib, le petromonarchie puntano a Sana'a

Perché sedersi al tavolo del negoziato quando si può invadere via terra un paese? I paesi membri della coalizione anti-Houthi guidata dall’Arabia Saudita hanno mostrato di aver pochi dubbi in merito e domenica, mentre con una mano rigettavano il dialogo proposto dall’Onu a cui avevano aderito solo poche ore prima, con l’altra lanciavano una vasta operazione terrestre per la riconquista del centro dello Yemen.

Le vittime di tale potenza di fuoco sono i civili yemeniti, stremati: secondo l’Unicef sono quasi 100mila i bambini a serio rischio di malnutrizione nella città di Hodeidah, un tasso di malnutrizione triplicato rispetto a prima della guerra. Intanto l’80% della popolazione, 21 milioni di persone, sopravvive a stento, privata di cibo e acqua potabile.

Ma c’è un’altra vittima della guerra per procura saudita contro l’asse sciita: sono le Nazioni Unite, scavalcate al momento di lanciare l’operazione “Tempesta Decisiva” e oggi sbeffeggiate dai continui tira e molla del governo in esilio del presidente Hadi. Che prima dice di voler aderire al negoziato e poi lo rifiuta, nascondendosi dietro la mancata accettazione da parte del movimento ribelle Houthi della risoluzione Onu 2216 che impone il ritiro dalle aree occupate.

È successo di nuovo domenica: con gli Houthi pronti al dialogo, Hadi ha rifiutato la proposta Onu all’ultimo momento. Ma le Nazioni Unite insistono, del tutto inascoltate: l’inviato Onu in Yemen Ismail Ould Cheikh Ahmed volerà a Riyadh per “ulteriori consultazioni con il governo yemenita, rappresentanti yemeniti e paesi della regione”. Perché, aggiunge, “non c’è soluzione militare al conflitto”.

Una visione lontana da quella della coalizione anti-Houthi che al negoziato preferisce gli strumenti militari. Nelle stesse ore la coalizione – sostenuta da armamenti occidentali, veicoli blindati statunitensi, elicotteri Blackhawk e Apache, F-16 e carri armati francesi – mandava le truppe via terra, ormai abbondantemente presenti in Yemen, a riprendersi Marib, città nel nord est del paese, in vista della più ampia operazione per la riconquista della capitale Sana’a. Ieri il generale Ali Saif al-Kaabi, responsabile militare delle operazioni, ha annunciato l’ingresso a Marib e la “messa in sicurezza” della città: “La città è nelle nostre mani, il nemico è nelle montagne”.

Riyadh si affretta a dire di non voler occupare lo Yemen. Ma gioca con il fuoco: l’operazione contro un paese poverissimo e dipendente dai soldi sauditi ha risvegliato movimenti interni e spinte secessioniste. Quando il conflitto finirà, lo Yemen si ritroverà nella pratica diviso in nuove autorità, tra zone controllate dai movimenti secessionisti del sud – che per garantire i propri interessi sostengo le forze governative di Hadi – e zone controllate da gruppi armati jihadisti, a cominciare da Al Qaeda nella Penisola Arabica che non cederà facilmente la provincia di Hadramaut, ufficiosamente conquistata nei mesi scorsi.

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