Nella crisi generalizzata del sistema
bancario, una di quelle che non si risolveranno né a breve né
facilmente, la situazione livornese non pare affatto chiara alle forze
politiche locali. Per il centrosinistra la rete del potere bancario è
sempre stata uno di quei segreti da custodire gelosamente, nella bocca
degli addetti ai lavori.
Il muro di informazioni su questo tema ha sempre separato chi era convinto di detenere il potere reale dal resto della città.
Ed è stata talmente diffusa l’omertà su questi temi tanto che, non
molto tempo fa, in seguito ad una intervista a scopo scientifico
(lontana da temi scottanti e fatta con ricercatori non livornesi) un
passato esponente della politica livornese è arrivato a negare qualsiasi
legame tra politica e banche in città. Anche su fatti di un quarto di
secolo fa. Quando si dice la gelosia di certe informazioni e di certi
ruoli.
Non è un caso, quindi, che la Fondazione Livorno abbia recentemente nominato, a luglio, Riccardo Vitti come presidente.
Un nome in continuità con l’establishment politico-finanziario del
recente passato, compresa la gestione di Spil del famoso parcheggio da
26 milioni che ha silurato la funzionalità della partecipata e
sinistrato le casse pubbliche. E’ proprio questo sistema, che pensa di
essere ancora classe dirigente e di cui Vitti è oggettivamente
espressione, che fa pensare, a molti, che a Livorno presto anche il
potere formale, espresso materialmente e simbolicamente in palazzo
Civico, tornerà nelle mani di sempre.
Nel frattempo registriamo due fatti e una tendenza di cambiamento. Per intendersi, complessivamente, su una cosa: le reti di potere politico-bancario a Livorno contano, sono potere di governance reale.
Ma, è questo l’aspetto che troppi sottovalutano, le ristrutturazioni
delle banche incideranno, e sul serio, negli assetti di potere come li
conosciamo.
Andiamo, brevemente, per gradi. Prima di
tutto per vedere l’attuale penetrazione, a rete, del sistema bancario è
paradigmatica la vicenda Interporto. La rinegoziazione del debito Interporto,
che prevede la dismissione di alcuni asset pubblici per ristrutturare
il debito, ha visto protagonisti, oltre alla Regione e alla Autorità
portuale, ben 15 istituti di credito e un advisor. Una rete di soggetti
di governo (Regione) e di governance infrastrutturale (Autorità
Portuale) e bancario-finanziaria (i 15 istituti di credito) che è
sovradimensionata, barocca rispetto alle trasformazioni del mondo
politico e finanziario in corso. Basta pensare che, visto che l’esempio
piace, dove si attraggono capitali i soggetti per una ristrutturazione
del genere in campo sarebbero tre, massimo quattro non una ventina.
Questo per far capire che il processo di esubero, definito sempre come
ineluttabile per i lavoratori si avvicina anche per i soggetti
politico-finanziari. I quali, sul territorio, non perdono però occasione
per farsi la guerra.
E’ notizia della scorsa settimana il fatto che l’asta per i servizi finanziari della tesoreria comunale è andata deserta.
A parte le polemiche, sulle cifre dell’avanzo di cassa, tra vecchia e
nuova amministrazione il fatto suscita una certa curiosità politica. Perché chi vince l’appalto per la Tesoreria del comune diventa un
soggetto privilegiato per l’amministrazione in materia di politiche
finanziarie. Perché quindi l’appalto è andato deserto?
Ci risulta che la gara d’appalto accorpasse Tesoreria e partecipate.
Mentre il primo servizio è considerato ancora appetibile, il secondo
molto meno. C’è stato quindi un accordo di cartello, tra le possibili
banche partecipanti, per far saltare la gara in modo da far separare la
Tesoreria, la polpa, dal resto? A questa domanda sarebbe meglio
rispondessero le forze politiche che hanno approvato la gara, che ci
risulta passata dal consiglio comunale. Ma, si sa, parlare di un
servizio essenziale per regolare i rapporti tra amministrazione e banche
locali è nulla in confronto a polemiche come le mitiche multe di
Marzovilla o le denunce sui consiglieri che devono pagare il divieto di
sosta. Eppure questa vicenda ci fa capire come sia cambiato il rapporto
tra banche e amministrazione. Qui il colore dell’amministrazione
non c’entra: sia le banche sia il comune sono alla ricerca di margini
di profitto essenziali per la loro sopravvivenza. Le prime sono
alle prese con una dura ristrutturazione (che è appena agli inizi...),
il comune dal punto di vista finanziario è alla ricerca di ogni margine
possibile di ottenimento risorse. Impensabile, per tornare all’inizio,
che di fronte a tali mutazioni il passato si possa riproporre così,
senza scosse.
E veniamo quindi ad un punto
paradigmatico, esemplare. Che ci fa capire come stanno cambiando i
poteri bancari e quindi quelli del territorio.
Probabilmente qualche tifoso del guitto
di Rignano pensa che, siccome l’operazione è benedetta da Renzi, se
tutto va in porto niente in Toscana cambierà. Al contrario, MPS entrerà in una logica di redditività di scala che niente ha a che veder con la banca che abbiamo conosciuto.
Non molto tempo fa circolava un aneddoto, di un banchiere locale vicino
a Renzi, che diceva agli americani, non JP Morgan in questo caso, che
se volevano venire in Toscana dovevano “farsi conoscere dal territorio”.
Forse, dice chi racconta l’aneddoto, non si è capito chi sono questi
americani. A loro non interessano le operazioni che tengono assieme più
soggetti economico-finanziari, interessa la bruta trimestrale di cassa,
legge che sono in grado di imporre con la forza del denaro. E così, visto
che MPS conta molto in città (tanto da aver espresso due assessori col
precedente sindaco di cui uno al bilancio), se JP Morgan si impadronirà
del Monte dei Paschi vedremo molti mutamenti, in città ed in porto.
Non tutti graditi. O molto pochi. Ma è questione di pochi anni, le
mutazioni del potere bancario, e della stessa forma-banca, sono
destinate a produrre su Livorno choc maggiori della caduta del Pd al
comune. Nel frattempo la città, anche quella che presume di contare, è
molto lontana persino dall’inquadrare i problemi. Figuriamoci quanto è
lontana dal governarli. Ma questa è la realtà e sarebbe disonesto
tacerla.
Redazione, 12 ottobre 2016
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