di Michele Giorgio – il Manifesto
E’ andata come
previsto. Barack Obama ieri non ha mancato di usare l’elogio funebre di
Shimon Peres, al cimitero del Monte Herzl di Gerusalemme, davanti ai leader di una ottantina di Paesi
(non c’era Putin, perchè?), per indirizzare una condanna indiretta
della politica nazionalista e oltranzista del premier israeliano
Benyamin Netanyahu. Quando il presidente americano ha preso la parola,
dopo gli interventi del capo dello stato Rivlin, dello scrittore Amos
Oz, di Bill Clinton, dei familiari di Peres e di Netanyahu, mentre
ancora riecheggiavano le note del brano “Avinu Malkeinu” cantato da
David D’or, il premier israeliano ha ostentato tranquillità.
Sapeva però che Obama si sarebbe tolto qualche altro sassolino dalla
scarpa dopo otto anni di rapporti personali a dir poco difficili.
«Il popolo ebraico non è nato per governare un altro popolo», ha
proclamato Obama in evidente riferimento all’occupazione militare
israeliana dei Territori palestinesi. «Non credo che Peres fosse un
ingenuo – ha aggiunto – Israele ha vinto tutte le guerre ma non quella
maggiore: quella di non aver più bisogno di vincere».
Obama, tracciando la figura di Peres, di fatto ha voluto
rimarcare la differenza tra l’idea dei palestinesi che aveva l’ex
presidente israeliano morto tre giorni fa e quella di Netanyahu.
Peres, ha spiegato, «insisteva nel vedere tutti gli esseri umani come
aventi diritto alla medesima dignità, inclusi i palestinesi i quali,
secondo lui, hanno diritto all’eguaglianza e alla sovranità». Poi ha
ammorbidito, ma solo un po’, l’attacco esaltando l’impegno di Peres per
la sicurezza e la difesa di Israele. «Per il suo senso di giustizia – ha
proseguito Obama – e per la sua analisi delle condizioni di sicurezza
di Israele, Peres comprese che per la difesa di Israele i palestinesi
devono avere un proprio Stato».
Con la morte di Shimon Peres, ha concluso Obama, «per Israele
si chiude un periodo storico e il suo futuro è ora affidato nelle mani
della nuova generazione». Poi si è avvicinato al feretro, ha
appoggiato la mano e ha pronunciato in ebraico «Todà rabbà, haver yakar
(Grazie tanto, caro amico)», echeggiato la frase di addio che l’allora
presidente Usa Bill Clinton rivolse a Yitzhak Rabin assassinato nel 1995
da un nazionalista religioso ebreo. Tornando al suo posto il presidente
americano si è limitato ad un saluto gelido del premier israeliano e di
sua moglie Sara.
Netanyahu che poco prima aveva scambiato, dopo anni, una
stretta di mano con il presidente dell’Anp, Abu Mazen, unico leader
arabo presente ai funerali di Peres – non c’erano neanche i rappresentanti dei palestinesi d’Israele –, ha provato ad anticipare e ad ammortizzare l’urto delle parole che dopo qualche minuto avrebbe pronunciato Obama,
accreditando una sua recente e profonda amicizia con il presidente
scomparso dopo anni di scontri e di far apparire Peres più un garante
della sicurezza di Israele che un negoziatore e un uomo di pace. «Lo
splendido Shimon Peres – ha affermato – ha fatto cose incredibili per
garantire il nostro potenziale di difesa ma in parallelo ha fatto tutto
quanto gli era possibile per raggiungere la pace con i nostri vicini».
Non ha negato le differenze politiche con Peres ma, ha detto, «nel corso
degli anni siamo diventati amici. Shimon, ti ho amato».
Il risveglio tardivo di un Obama determinato, in apparenza, a
regolare qualche conto aperto con Netanyahu, è il segnale di quel “colpo
di coda” del presidente americano che tanto temono, almeno a dar
credito al quotidiano Haaretz, nell’ufficio del primo ministro
israeliano? È difficile dirlo. L’inquilino della Casa Bianca ormai è
agli sgoccioli del suo mandato e difficilmente, per ragioni
istituzionali, vorrà o potrà vendicare sino in fondo lo sgarbo che gli
fece Netanyahu a marzo 2015 quando, aggirando l’Amministrazione, rivolse
davanti al Congresso un attacco durissimo all’accordo sul programma
nucleare iraniano tanto cercato da Obama nonostante la posizione
fortemente contraria di Israele.
E comunque, sgambetti di Netanyahu a parte, il presidente Usa ha
assicurato allo Stato ebraico un accordo decennale di aiuti militari per 38 miliardi di dollari. Tuttavia il contenuto
politico dell’elogio funebre di Peres, potrebbe anticipare un nuovo
passo di Obama, dopo le elezioni che proclameranno nuovo presidente
Hillary Clinton o Donald Trump, e prima della fine dell’anno.
Si parla di un via libera dell’Amministrazione uscente alla conferenza
internazionale su Israele e Palestina che il presidente francese
Hollande intende convocare entro il 2016 e che è vista come fumo negli
occhi da Netanyahu che insiste per un negoziato (peraltro inesistente)
soltanto bilaterale con i palestinesi.
Mentre i funerali assumevano, come prevedibile, un carattere
politico, Shimon Peres è stato sepolto non lontano dalla Tomba del suo
compagno di partito e rivale Yitzhak Rabin.
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