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02/11/2016

Brasile. La sconfitta del “neo-desenvolvimentismo” lulista

Il secondo turno delle elezioni amministrative – realizzate il 30 ottobre – ha nuovamente messo a nudo le principali contraddizioni della congiuntura politica brasiliana, confermando i risultati elettorali del primo turno e le nuove tendenze degli elettori a partire dalle quali i partiti e i movimenti dovranno prendere posizione. Un contesto che, comunque, evidenzia: a) il completo asservimento della borghesia brasiliana agli interessi delle componenti dell’imperialismo; b) l’affermazione dell’interclassismo e della collaborazione con il capitale per conquistare spazi nelle istituzioni; c) la retrocessione della lotta di classe.

Contraddizioni che, in realtà, cominciarono ad apparire con rilevante evidenza nel giugno del 2013, quando le manifestazioni contro il costo della vita e la disoccupazione hanno sorpreso il governo di Dilma Rousseff, da troppo tempo abituato a tamponare le situazioni di crisi con accordi di vertice realizzati in Parlamento dai principali dirigenti del lulismo con accordi sottobanco. In seguito, nel 2015, gli effetti della crisi economica mondiale hanno fatto esplodere le suddette contraddizioni, grazie anche alle manipolazioni operate dai media, in particolare dalla TV Globo e con la conseguente mobilitazione della maggior parte dei deputati e dei senatori del Parlamento Federale per approvare l’impeachment nei confronti della presidentessa Dilma Rousseff.

Un contesto che ha contribuito ad affermare nella borghesia brasiliana i concetti di “classe padrona” ideologicamente avversa ai compromessi interclassisti dei governi del PT di Lula. Nello stesso tempo i media, utilizzando come parole d’ordine gli slogan: “No allo Stato delle tasse!”, “No alla corruzione del PT!” e “No all’incompetenza del governo di Dilma!”, in brevissimo tempo sono riusciti a ricucire le maglie della borghesia brasiliana per poi scagliarla contro il PT, il lulismo, la presidentessa Dilma e quindi contro ogni tipo di legge che beneficiasse i lavoratori e i poveri in generale. Di conseguenza, all’interno delle differenti componenti della borghesia e dalla classe media brasiliana si è affermata l’idea che un più stretto legame con gli Stati Uniti e uno stato meno spendaccione con i quaranta milioni di poveri avrebbe permesso al Brasile di uscire dalla crisi. Infatti, nel 2014, le manifestazioni ricominciarono a Sao Paulo, per poi dilagare in tutto il Brasile nel 2015, riuscendo in questo modo a ricompattare le differenti componenti della borghesia brasiliana, che non ha più esitato prendendo la decisione di rompere definitivamente con il PT e quindi con il governo di Dilma Rousseff. Una decisione che è stata sempre accompagnata, monitorata e stimolata dai rappresentanti delle “eccellenze” della Casa Bianca.

Purtroppo, la direzione del PT e della centrale sindacale CUT – interamente controllate dagli uomini del lulismo (1) –, hanno inizialmente sottovalutato l’ingerenza degli USA e poi quando si sono accorti di quello che stava succedendo, hanno preferito retrocedere, dimenticando di essere un governo eletto con il 57% dei voti delle classi popolari e di avere promesso un programma di riforme. Per questo nel primo e poi nel secondo governo di Dilma Rousseff, le rivendicazioni degli impresari e dei banchieri divennero priorità assolute del governo, a differenza di quelle del movimento popolare. Un comportamento che l’ex-portavoce del Presidente Lula, André Singer ha sintetizzato affermando: “...dal 2012 al 2015 c’è stato un concreto e irresponsabile rallentamento del programma neo-desenvolvimentista. Un arretramento giustificato per garantire la governabilità e la continuazione della pace sociale!”.

Praticamente, negli ultimi anni di governo il PT si è praticamente ammutolito, lasciando alla “TV Globo”, ai partiti dell’opposizione e quindi alle differenti componenti della borghesia brasiliana l’iniziativa politica. Basti pensare che le migliaia di giovani – in particolare quelli dello stato di Sao Paulo, – che ottennero un impiego grazie al sussidio che il governo dava alle industrie, in una grande inchiesta del giornale “Folha de Sao Paulo” realizzata poco prima le elezioni amministrative del 30 settembre, si vanagloriavano dicendo che “...erano stati assunti per la loro competenza...”, per poi accettare la spirale della disoccupazione affermando: “...oggi solo chi rispetta i tempi e i ritmi della catena di montaggio merita un nuovo contratto di lavoro...”.

Risposte che spiegano i risultati elettorali e l’arroganza dei padroni che nel 2015 hanno realizzato licenziamenti in massa, facendo crescere la percentuale della disoccupazione al 10,5%. Da sottolineare che questa percentuale si riferisce appena ai disoccupati tra quanti che avevano un contratto di lavoro regolare, mentre per i lavoratori senza contratto la disoccupazione, oggi, tocca il 37%, anche perché queste fasce di lavoratori non sono sindacalizzati.

Il motivo di questa drammatica situazione è l’affermazione delle tematiche interclassiste in quasi tutti i sindacati legati alla CUT lulista, le cui direzioni sono direttamente responsabili della completa spoliticizzazione dei lavoratori e dell’introduzione nelle fabbriche dei concetti della meritocrazia, determinando, in questo modo, una pericolosa frammentazione ideologica nella classe operaia. Una manipolazione perfetta che – associata al lavaggio cerebrale operato diametralmente dai mass media, in particolare dalla TV Globo e dalla TV Record dei pastori evangelici – ha fatto dimenticare a migliaia di giovani operai il peso delle lotte operaie del passato e lo sforzo del primo governo di Lula, per garantire nuovi contratti di lavoro nelle fabbriche.

Interclassismo istituzionale e collaborazione con il capitale

Grazie ad alcune posizioni esemplari a livello di politica internazionale, prese prima dalla direzione del PT e poi dal governo Lula – ultima delle quali l’asilo politico a Cesare Battisti – il lulismo è riuscito a garantirsi il titolo di “partito di sinistra” soprattutto nei media europei e statunitensi. Un’etichetta che, in realtà, è servita per attivare l’essenza ideologica bifronte del lulismo, grazie alla quale Lula è riuscito a imporre il silenzio nel PT, per poi, nel 2003, iniziare la scalata al potere operando un grande accordo con le eccellenze del capitalismo brasiliano.

Un’operazione complessa che ha richiesto da parte di Lula e del gruppo dirigente del PT lulista una forte dose di coraggio e, soprattutto di spregiudicatezza politica. Infatti, è quasi impossibile accreditare che quel PT lulista che si fece portavoce del Forum Mondiale in Porto Alegre, che riunì tutte le componenti progressiste dell’America Latina nel Foro di Sao Paulo per discutere il cammino dell’integrazione regionale e che, nel 2003, in Davos lanciò ai paesi ricchi un accalorato appello per risolvere gli effetti disastrosi della povertà nei paesi del Terzo Mondo, poi in termini di politica interna giochi il ruolo del “partito dell’ordine”.

Una conclusione che nel 2006 il professor Mário José Maestri Filho(2) sottopose all’attenzione della direzione del “Manifesto”, con un lungo articolo che, però, fu cestinato per essere “estremista”!

Oggi, quello che Mário José Maestri Filho scriveva nel 2006 è sulla bocca di tutta la sinistra brasiliana, per questo Vladimir Palmeira (3) riassume i principali errori del lulismo sottolineando:
“...hanno negoziato con le multinazionali l’introduzione in Brasile dei semi transgenici, hanno idolatrato gli oligarchi dell’agro-business, hanno accettato tutte le clausole dell’accordo militare proposto dagli USA, hanno trasformato il BNDES (Banca Nazionale di Sviluppo Economico e Sociale) nel “Babbo Natale Finanziario” dei grandi impresari brasiliani e nello stesso tempo hanno insabbiato la realizzazione delle riforme strutturali promesse in quattro campagne elettorali, prime fra tutte la riforma agraria, la riforma fiscale, la riforma politica e la falsa promessa di creare una Costituente. Hanno continuato a foraggiare la TV Globo con l’onerosa pubblicità del governo e di tutte le statali affossando la richiesta di una riforma che democraticizzasse i media!”
Persino la rivista “Carta Capital” – la più amica del lulismo – oggi rende evidenti le parole di Wladimir Palmeira e Tarso Genro (4) quando questi dicono che “…non è necessario essere intellettuali per avere seri dubbi sul progetto del neo-desenvolvimentismo lulista e soprattutto sulla narrativa petista secondo cui c’è stato l’Impeachment perché il programma di governo di Dilma Rousseff contrariava gli interessi delle oligarchie per privilegiare quelli dei poveri e dei lavoratori!...”.

L’errata retorica vittimistica del marketing elettorale del PT, più che un errore tattico si è rivelato l’inizio di un suicidio politico, di chi oltre a disdegnare l’autocritica per gli errori commessi, preferisce l’avventura del “tutto o niente”. Una forma arrogante di muoversi nella congiuntura politica del Brasile che, poi, si è rivelata la responsabile della disfatta elettorale del PT con la Non-Elezione di 2.272 consiglieri comunali (44%), la clamorosa sconfitta in ventidue capitali e in 352 città, alcune delle quali, come per esempio Guarulhos nello stato di Sao Paulo, bastione storico del PT amministrato dal 1990.

Non è casuale che anche il web giornale “Carta Maior” – anch’esso molto comprensivo con Lula e il PT lulista – recriminava la sfrontata decisione del PT di partecipare in queste elezioni senza aver fatto un minimo di autocritica, soprattutto dopo i fatti del “Mensalao” (5), dove i principali dirigenti del PT lulista sono stati tutti esautorati dalla politica con pesanti condanne per corruzione nell’ambito parlamentare.

Un’arroganza che sfiora il parossismo con Afonso Florence, leader del PT nella Camera dei Deputati, secondo cui, il 3 ottobre dichiarava al giornale O Globo:
“...il PT ha superato a testa alta questo periodo difficile perché il PT è un partito che ha vigore politico. E’ un partito forte che resiste a qualsiasi attacco sistemico. Per questo diciamo che questa è, appena, una situazione congiunturale!”.
Purtroppo le parole del deputato petista Afonso Florence sono un’autentica forzatura della realtà, per nascondere il senso d’inquietudine che regna nel PT lulista, poiché il fallimento politico ed economico del neo-desenvolvimentismo non può più essere nascosto. Un fallimento che cominciò silenziosamente nel 2008 per protrarsi fino al 2012, quando si manifestò apertamente l’arrendevolezza lulista pur di poter continuare a essere “il partito del potere” e occupare le poltrone vellutate del “Palacio do Planalto” (6). Vale a dire un “governo presidenzialista di coalizione” che, ufficialmente, invoca le istanze dei lavoratori e dei settori poveri, ma in realtà colloca queste istanze nell’ultima pagina dell’agenda del governo, mentre in nome dello sviluppo e della pacificazione sociale, questo governo da tutte le priorità agli interessi delle banche, degli industriali, dell’agro-business e dei conglomerati internazionali. Settori che durante i quattro governi del PT hanno ricevuto la massima attenzione, anche se poi ai primi sentori della crisi, questi “potenziali alleati strategici” hanno deciso di incrinare l’accordo sottoscritto con il governo di Lula nel 2003, per poi romperlo del tutto nel 2015, promuovendo la richiesta dell’impeachment nei confronti della presidentessa Dilma Rousseff.

Il dramma anacronista di questo contesto è che Lula, ma soprattutto Dilma, pur sapendo che la proposta interclassista del neo-desenvolvimentismo non soddisfaceva più la “razza padrona”, hanno voluto mantenerla in vita a livello parlamentare ricorrendo, alla vecchia pratica della corruzione dei parlamentari per avere un minimo di governabilità. Poi, dal 2014, sempre per ricevere l’appoggio dei partiti moderati e di centro-destra, hanno adottato tutte le norme dell’ortodossia neoliberista imponendo, in piena crisi economica, il “Reajuste Fiscal” (raggiustamento delle tariffe e delle tasse), che è una specie di “Fiscal Compact” tropicale che ha falcidiato gli stipendi dei lavoratori e della classe media.

Infatti, Dilma Rousseff subito dopo essere stata rieletta firmò un decreto legge per operare severi tagli nei programmi di assistenza sociale per un valore di 3,8 miliardi di euro, oltre ad aver autorizzato l’aumento delle tariffe di tutti i servizi pubblici. Per questo, in numerosi settori popolari si è sviluppato il discredito per il PT, al punto che 32% degli elettori si è astenuta votando in bianco. Secondo l’inchiesta di Data Folia, il 62% di questa massa “non-votante” era formata da elettori che nel 2003 e nel 2008 avrebbero votato per Lula e il PT.

Una situazione che il giornale web “Carta Maior” analizza lungamente e in uno dei suoi editoriali sottolinea:
“...E’ vero che il giudice Moro, nell’inchiesta “Lava Jacto”, ha creato una versione dei fatti unicamente per distruggere la candidatura di Lula e del PT. Ma è anche vero che gli uomini del lulismo hanno sottovalutato la gravità delle accuse di corruzione, contando di capovolgere le previsioni negative con la retorica elettorale di Lula e non con la realizzazione delle riforme promesse!”.
Un errore che non è occasionale, ma la conseguenza della trasformazione interna del PT con il lulismo che, a livello nazionale è diventato un’enorme macchina elettorale costruita per disputare ogni due anni un’elezione e, quindi, occupare tutti gli spazi istituzionali. In secondo luogo, gli uomini del lulismo e lo stesso Lula, hanno perso il senso del realismo considerandosi “gli invincibili uomini del potere” che non hanno più bisogno del popolo, considerato appena un complemento del marketing elettorale. Per questo “Carta Maior” insiste nel dire:
“...Il PT deve fare, urgentemente, una profonda critica e autocritica di queste circostanze storiche. Lo sforzo analitico e il tentativo di ricostruzione non possono, purtroppo, dissociarsi dalla lotta tenace contro il regime di eccezione e il fascismo che, oggi, incontra un terreno sempre più fecondo e propizio alla conquista del potere”.
Una problematica che oggi, è più che mai evidente nel momento in cui il movimento pretende d'organizzare un autentico Fronte Popolare, mentre il PT, accenna appena a un accordo programmatico con i partiti parlamentari lasciando i movimenti da parte. Infatti, è di nuovo Afonso Florence, leader del PT alla Camera dei Deputati Federali, che il 3 ottobre, a soli tre giorni dalla sconfitta elettorale, aveva la sfrontatezza di dichiarare al giornale “O Globo:
“L’aver perso il 60% di sindaci e consiglieri comunali è appena un elemento congiunturale, noi siamo forti. Per questo il PT dovrà fare una discussione programmatica sul futuro e convocare il PDT, il PCdoB, il PSOL e la Rede (7). Se poi questo incontro si chiamerà fronte o altra cosa non importa, l’importante è discutere il nostro concetto, poi ci sarà ancora molta acqua che scorrerà...!”
Per decifrare non soltanto i motivi della sconfitta del PT, ma anche il cammino che questo partito potrà intraprendere nel futuro, per poi capire se i movimenti accetteranno di convivere con questo PT in un Fronte Popolare o se preferiranno il discorso della ricostruzione della sinistra, dobbiamo ricorrere alle parole di Elois Pietà, Vladimir Palmeira, Andrè Singer, Josè Luis Fiori, Armando Boito Jr e Riccardo Antunes.

Il PT deve cambiare ed eleggere una nuova direzione?

Elois Pietà (8): “...Io non sono legato al presidente del PT, Rui Falcao, però devo dire che ridurre la questione del PT all’elezione di un nuovo presidente e di una nuova direzione, non risolve i problemi del PT. E’ inutile cambiare direzione se poi la linea politica rimane la stessa. Può darsi che una nuova direzione potrà servire ad accontentare la platea elettorale, ma poi i problemi restano e vengono nuovamente al pettine. Ripeto, non si tratta di cambiare solo le persone, ma di definire nuovi metodi per far politica, oltre a comporre una nuova analisi del contesto politico. Il rinnovamento del partito deve essere politico, identificando nuove pratiche di lotta che, poi, saranno il nuovo compromesso delle persone che dovranno dirigere il partito...”

Perché molti dicono che il ciclo del PT lulista si sarebbe concluso?

Vladimir Palmeira: “...In campagna elettorale il PT lulista ha detto che Dilma è stata un’agguerrita combattente di un progetto popolare. In realtà lei è stata una dei peggiori presidenti del Brasile. Ha provocato la maggiore recessione mai vista dal 1930 gettando nella disoccupazione milioni di persone, riuscendo a far cadere la rendita per capite nazionale in appena due anni. Senza poi parlare della caduta del PIB che con Dilma eguagliò i livelli negativi registrati in passato con Fernando Collor. Il risultato di tutto ciò è stato un retrocesso annullando i successi registrati dai due governi di Lula.

D’altra parte bisogna riconoscere che i ministri di Lula si sono limitati ad accumulare i benefici con il boom delle commodity, per poi sacrificarle nel credito sussidiato agli impresari. I ministri di Dilma si sono specializzati ad amministrare le perdite. Nessuna di quelle riforme strutturali promesse in quattro campagne elettorali è stata fatta! Vale a dire: la riforma fiscale per ridurre le tasse ai poveri e far pagare di più i ricchi; la riforma agraria che è stata insabbiata, fino al definitivo cancellamento nel secondo governo di Dilma; la riforma urbana, ugualmente dimenticata per favorire la cementificazione dei palazzinari ed espellere i lavoratori e i poveri al di là delle periferie; la riforma dei mezzi di comunicazioni che continuano a manipolare la società sopravvivendo con i soldi della pubblicità delle imprese pubbliche e del governo; la riforma politica è stata messa nel cassetto, mentre il clientelismo parlamentare, le lobby e la corruzione hanno un ruolo determinante nelle decisioni dei parlamenti municipali, di quelli statali e di quello federale; la riforma amministrativa, che avrebbe dovuto migliorare i servizi pubblici oltre a definire il giusto cammino per i finanziamenti pubblici, è scomparsa dall’agenda del governo e la riforma dello sviluppo ambientale ha ricevuto lo stesso trattamento delle altre, cioè dopo le elezioni è stata subito dimenticata!

Per questo e per non ripetere gli errori commessi dal lulismo, oggi si pensa in una nuova prospettiva della sinistra che, però deve essere pensata, proposta e costruita fuori dall’egemonia del PT lulista e dei suoi satelliti!”

Perché Dilma si è alleata con la latifondiaria Katia Abreu e il liberista Joaquim Levy?

Andrè Singer (9): “La presidentessa Dilma Rousseff non era ideologicamente preparata a governare appoggiandosi unicamente ai poveri e alla classe operaia. Per lei l’elemento centrale erano gli industriali, in funzione dei quali aveva disegnato il suo secondo governo. Per questo quando il governo si accorse che gli impresari avevano praticamente rotto con il neo-desenvolvimentismo tutti i ministri, la presidentessa e i segretari sono entrati in crisi e questo spiega perché nel 2016 l’incantesimo della vittoria del PT di Lula non ha funzionato.

Voglio ricordare che quando Dilma cominciò a sentirsi sola, immediatamente iniziò il retrocesso politico e istituzionale del governo, cercando invano di riconquistare l’appoggio di una parte degli impresari. Un contesto che, invece, determinò la sua resa definitiva affidando il futuro del governo al poderoso Ministero delle Finanze Joaquim Levy, che è un acceso liberista.

Dilma, se lo avesse voluto, poteva mobilitare i lavoratori e i settori popolari per governare con autonomia. Invece ha continuato a sognare la ricomposizione dell’alleanza politica con la borghesia”.

Perché molti analisti affermano che i quindici anni di governo del PT – che si è sempre autodefinito di sinistra – hanno provocato il caos ideologico nella sinistra?

José Luis Fiori (10): “La crisi politica del PT è venuta fuori man mano che la recessione attaccava tutti i settori dell’economia brasiliana. Ciò ha determinato l’adozione di soluzioni economiche e politiche che hanno rafforzato l’esplosione delle contraddizioni e quindi di una certa confusione ideologica che, oltre al PT, ha coinvolto la maggior parte delle componenti della sinistra brasiliana. Infatti, se è difficile identificare il denominatore ideologico comune che ha unito queste forze al PT di Lula, non ci sono dubbi che il progetto economico ha rinsaldato le alleanze parlamentari con il PT.

Un progetto che idealizzava un capitalismo ordinato soggetto alla leadership dello Stato e che, di conseguenza avrebbe dovuto rigettare il modello liberista anglosassone del capitalismo senza regole.

Purtroppo, concluse le campagne elettorali e ottenuta la vittoria, cambiò tutto. Per questo, soprattutto nell’ultimo governo di Dilma Rousseff è risultato estremamente difficile spiegare all’opinione pubblica che un governo progressista come quello formato dal PT, ha collocato al comando della sua politica economica un tecnocratico che oltre ad avere convinzioni ed esperienze economiche ortodosse, era anche un ideologo del liberismo! E’ stato molto difficile accettare la nomina di questo tecnocratico, che il 12 maggio del 2013 partecipò nella riunione del Waldorf Astoria di New York, organizzata da Bill Clinton e da Fernando Henrique Cardozo!

Inoltre, come si può giustificare un ministro dell’Energia che nelle riunioni internazionali propone la fine del progetto di “conteudo local” (priorità di acquisto dei prodotti locali) e che nei dibattiti sul futuro del Pre-Sal si fa portavoce della fine dei contratti di sfruttamento dei pozzi petroliferi in “regime de partilha” (divisione dei costi e del guadagno in base alle percentuali prestabilite). E per ultimo, che dire del Ministro per le Questioni Strategiche che pubblicamente ha dichiarato, ripetutamente, che il governo di Dilma avrebbe dovuto operare una severa e completa revisione della politica estera brasiliana, tra cui la chiusura del “Mercosur”, anche se il Brasile ne fu il principale fondatore.

Come si fa a dire che il governo Dilma è di sinistra se lo stesso governo permette a questo Ministro per le Questioni Strategiche di dire pubblicamente che il Brasile dovrebbe allinearsi agli Stati Uniti per meglio affrontare la minaccia della crescita economica e militare della Cina. Da sottolineare che questo grande stratega ha fatto queste dichiarazioni una settimana prima della riunione dei BRICS, e nessun membro del governo l’ha contraddetto!”.

Perché il neo-desenvolvimentismo dei governi di Lula e di Dilma ha stimolato l’affermazione dell’opposizione della borghesia, nonostante i governi del PT abbiano seguito le regole del modello capitalista neoliberale?

Armando Boito Jr. (11): “Come tutti sanno la crisi economica che ha attaccato il Brasile è, innanzitutto, una conseguenza della crisi del capitalismo mondiale, che si propaga a nord e a sud in funzione delle specifiche caratteristiche congiunturali di ogni paese. Per questo non è un risultato meccanico. E’ comunque evidente che la crisi economica stimola la crisi politica, anche se nel 2008/2009 il governo Lula raggiunse i maggiori indici di popolarità, riuscendo a procrastinare gli effetti della crisi economica, accentuando, però, la crisi politica giacché la funzione positiva di amministrare i guadagni dello Stato si trasformò in funzione negativa di gestire le perdite e fissare i tagli degli investimenti pubblici.

Una situazione che da una parte ha messo a nudo la credibilità di questi governi autodefinitosi di sinistra e anche del fronte politico che sosteneva il neo-desenvolvimentismo. Un contesto che ha stimolato la formazione di una concreta opposizione della borghesia per restaurare il neo-liberismo ortodosso con cui far uscire il paese dalla crisi economica. Per questo, il fenomeno della crisi economica brasiliana, dal 2008 è anche un elemento che è servito a definire quella che io definisco l’offensiva restauratrice del capitale internazionale in Brasile.

Un’offensiva che si realizza dinamizzando i contenuti critici dei settori della borghesia e quelli del capitale internazionale, per poi compattare in un unico fronte anti-PT anche quei settori della borghesia brasiliana che si erano arricchiti con le formule introdotte dai governi lulisti e che per questo erano diventati i principali alleati dei governi del PT.

Comunque, uno dei principali errori dei governi lulisti è stata la mancata reindustrializzazione e l’assenza di un salto di qualità tecnologico, di modo che quasi tutte le assunzioni nelle industrie erano per lavori che esigevano una ridotta qualificazione, oltre che a pagare stipendi bassi. Così, dopo i primi dieci anni di governo, quando la massa di giovani che era entrata nelle università con i programmi di governo, vuole entrare nel mondo del lavoro non trova più lavoro o se lo trova è con funzioni squalificate.

E' quindi stata questa massa di disoccupati con elevate conoscenze tecnologiche che nel mese di giugno del 2013 scesero nelle strade di Sao Paulo e di Rio de Janeiro protestando contro il governo di Dilma Rousseff. La presidentessa davanti all’intensità delle manifestazioni fece un monte di promesse, per poi dimenticarle e indietreggiare su tutti i fronti, sia nella politica economica sia in quella sociale e alla fine accettando l'ipotesi recessiva liberista.

Questo scenario fu l’elemento ideale che il capitale internazionale attendeva per unificare ideologicamente tutte le componenti della borghesia, delle oligarchie e della classe media e poi lanciarle contro il governo di Dilma Rousseff e contro il PT. Fu anche l’occasione adatta per distruggere il soggetto storico delle lotte contro il capitale brasiliano.

La conseguente instabilità della democrazia borghese in Brasile, in realtà è un fenomeno creato appositamente per creare apprensione nella società, anche se nello stesso tempo, è pienamente controllato dalle eccellenze della borghesia stessa. In pratica la nuova traiettoria conservatrice della democrazia borghese non vuole l’instaurazione di una dittatura, ma, semplicemente la rottura del sistema di alleanze che aveva permesso al PT di formare il suo primo governo nel 2003”.

Perché il movimento operaio non ha proclamato lo sciopero generale per difendere il governo petista di Dilma e quali sono, adesso, le prospettive del movimento popolare?

Ricardo Antunes (12): “Il contesto politico del movimento popolare brasiliano, è abbastanza complesso poiché è caduta l’illusione che il governo di Lula e poi quello di Dilma era “...il nostro governo...” oppure “...il governo in disputa...!” Parole senza senso perché quei quattro governi sono sempre stati chiusi al movimento!

Basta confrontare quanti rappresentati del MST o dei sindacati in quindici anni sono stati invitati a far parte dei governi del PT e quanti rappresentanti della borghesia agraria, industriale e finanziaria Lula e Dilma hanno voluto nei propri governi!

Per questo la popolazione lavoratrice sa che le nostre istituzioni sono compromesse a tutti i livelli, poiché la degradazione istituzionale brasiliana, cioè i poteri Esecutivo, Legislativo, Giudiziario e la polizia, ormai, hanno raggiunto i livelli più bassi di credibilità. Per questo l’alternativa non è più la riforma politica realizzata all’interno dello stesso sistema, cioè in Parlamento. La vera alternativa politica passa per lo sviluppo di un movimento popolare che ricerca e costruisca una nuova forma di potere, distinto da quello che oggi esiste, unificando la forza delle classi lavoratrici, dei movimenti sociali e del popolo delle periferie.

Lula e poi Dilma hanno creduto nella tesi di Margareth Thatcher del “Capitalismo Popolare”, cioè l’alleanza del capitale con il lavoro per promuovere la crescita del paese. Hanno creduto in una tematica molto vecchia, che oltretutto non ha mai funzionato. A causa di questo errore il PT lulista ha abbandonato quello che il partito aveva di positivo al suo inizio, cioè quando era un partito pieno di militanti, di proposte e soprattutto di valori classisti.

Possiamo dire che la crisi del governo del PT è scoppiata perché il progetto del governo dipendeva da una costruzione architettonica e da un’ingegneria politica personalizzata e vincolata all’operato del maestro della conciliazione di classe, cioè da Inàzio Lula da Silva. Un progetto che con l’aggettivo di neo-desenvolvimentismo (nuovo-sviluppatore) ruotava attorno alle politiche assistenziali per minimizzare la povertà estrema nei settori più diseredati, ma nello stesso tempo garantiva grandi benefici alle classi più ricche e lauti guadagni ai settori della classe media. Così, quando la crisi economica mondiale ha toccato il Brasile, i settori dominanti della borghesia hanno chiesto e ottenuto dal governo Dilma che il prezzo di questa crisi fosse pagato solo dai lavoratori, creando in questo modo un fosso tra il PT i lavoratori e gli abitanti delle periferie.

E’ chiaro che per le popolazioni povere delle periferie che non usufruiscono i benefici dell’assistenzialismo governativo (Borsa Famiglia per esempio), che subiscono gli effetti della violenza urbana associata alla brutalità della polizia e che soffrono le conseguenze della disoccupazione (13), il PT non potrà risorgere come partito popolare e di massa, anche perché gli scandali del Menslao e poi quelli del Lava Jato hanno seppellito il neo-desenvolvimentismo lulista. Ciò non significa che il PT morirà. Può darsi che si trasformerà definitivamente in un PMDB (14) del Secolo XXI, vale a dire nel nuovo partito dell’ordine!

Per questo dico chiaramente che la creazione del Frente Povo Sem Medo (Fronte del Popolo Senza Paura) è il fatto nuovo che richiede la massima attenzione da parte della sinistra, anche perché il soggetto politico che dinamizza questo Fronte è il MTST (Movimento dei Lavoratori Senza Tetto), che è un movimento espressivo che è nato nelle periferie e che stato uno dei primi a capire che il lulismo aveva concluso il suo ciclo, poiché l’idea della “grande politica” rappresentata e centralizzata da un leader come Lula, che pretende d'annullare la centralità della classe operaia per comporre con la borghesia progetti di conciliazione di classe, oggi non convince più nessuno.

Uno scenario estremamente complesso poiché, in Brasile, c’è un autentico mosaico di lotte e di movimenti sociali che producono esperienze nuove. Saranno questi i nuovi soggetti della politica. Saranno loro che creeranno una nuova organicità politica, per poi avanzare in direzione di una nuova politica sociale, con nuovi legami di solidarietà e di organizzazione classista. Questa è l’agenda della sinistra brasiliana per il futuro”.

NOTE:

1 – Il lulismo è rappresentato da quella parte di dirigenti e militanti del PT e della confederazione sindacale CUT che s’identificano totalmente nella proposta politica formulata da Inàzio Lula da Silva, vale a dire l’interclassismo, la conciliazione con il capitale e l’assistenzialismo dello stato per ridurre il dramma della povertà.

2 – Mário José Maestri Filho, di Porto Alegre, accademico di storia specializzato nella storia del colonialismo, della schiavitù in Brasile e delle guerre imperiali contro il Paraguay. Marxista militante, fu esiliato in Cile e poi in Belgio. Partecipò nella fondazione del PT e poi del PSOL. Fu uno dei fondatori del Centro di Studi Marxisti del Rio Grande do Sul e della rivista Historia & Luta de Classe. Dirige la collezione Malungo della casa editrice FCM Editora.

3 – Vladimir Palmeira è il lider storico della nuova sinistra brasiliana. Arrestato dai militari nel 1969 fu liberato insieme ad altri quaranta prigionieri politici in cambio dell’ambasciatore americano, sequestrato dai guerriglieri. Insieme a Dirceu e Lula è uno dei fondatori del PT nel 1982. Deputato della Costituente è poi eletto deputato federale dal 1986 fino al 1994. Con Antonio Neiva, nel 1996, per opporsi al giro di boa ideologico del lulismo danno vita al “Refazendo o PT” (Rifacendo il PT). Dopo lo scandalo del “Mensalao”, e la decisione, nel 2011, di Lula e della direzione del PT di riammettere nel partito Denubio Soarez (l’amministratore delle mazzette della corruzione), Vladimir Palmeira abbandona il PT per dedicarsi definitivamente all’attività accademica nell’Università Federale Fluminense dove, dal 2005 è dottore in Storia.

4 – Tarso Genro, insieme a Olivio Dutra rappresenta la sinistra storica del PT dello stato di Rio Grande do Sul, che hanno sempre rifiutato la politica degli “accordi di sottobanco”. Tarso Genro è stato ministro della Giustizia e principale sostenitore dell’asilo politico a Cesare Battisti.

5 – Lo scandalo del “Mensalão” scoppiò nel 2005 quando il deputato e lider del PTB, Roberto Jefferson, rivelò alla TV Globo e poi ai magistrati gli schemi della corruzione politica organizzata dal primo-ministro del governo Lula, José Dirceu e da altri dirigenti del PT, (José Genuino, Antonio Palocci, Denubio ecc.). Infatti, nonostante avesse vinto l’elezione presidenziale con il 73%, il PT non aveva una maggioranza propria nella Camera dei Deputati e nel Senato. Da qui la necessità di garantire la votazione delle leggi comprando il voto dei parlamentari, attraverso i budget pubblicitari delle imprese statali.

6 – Il Palacio do Planalto è localizzato in Brasilia dove risiede il presidente e dove funziona il governo.

7 – REDE (Rede Sustentabilidade), è il partito “socialdemocratico e ambientalista” che Marina Silva e Zé Gustavo fondarono nel 2015, dopo aver abbandonato il PT. Secondo alcune fonti il miliardario statunitense Soros sarebbe uno dei finanziatori occulti di questo partito.

8 – Elois Pietà è un quadro storico del PT che realizzò nella citta di Guarulhos (Stato di Sao Paulo) la sua carriera politica, iniziata come consigliere comunale, poi deputato dello stato di SP e per due volte sindaco di Guarulhos.

9 – André Singer, scienziato politico del PT, fu nominato Segretario del Dipartimento di Informazione nel primo governo di Lula. Poi nel secondo divenne portavoce ufficiale del governo.

10 – José Luis Fiori è uno dei principali scienziati politici specializzati in “storia dell’organizzazione internazionale”.

11 – Armando Boito Jr. è professore titolare della cattedra di Scienze Politiche dell’Università Statale di Campinas “UNICAMP”. E’ editore della rivista Critica Marxistae direttore del Cemarx (Centro di studi marxisti del IFCH-Unicamp).

12 – Ricardo Antunes è professore titolare della cattedra di Sociologia del Lavoro dell’Università Statale di Campinas “UNICAMP”. Coordina la serie “Mundo do Trabalho” della casa editrice Boitempo Editorial.

13 – Oggi, la disoccupazione riguarda dieci milioni di giovani brasiliani, cui si devono sommare i milioni di persone che hanno rinunciato a cercare un lavoro e per questo non compaiono nelle statistiche ufficiali di Data Folia.

14 – Il PMDB era un partito progressista che fu preso d’assalto dai gruppi moderati fin dalla prima elezione nel 1992.


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