Che l’Fbi decida di riaprire una inchiesta su un candidato alla Casa Bianca
a dieci giorni dal voto, non è cosa che abbia precedenti ed è ancor più
strana ove si consideri che la cosa colpisce la candidata
dell’establishment contro il “populista” Trump. Che succede? L’Fbi, per caso, si è convertita al verbo di Trump?
In effetti il capo dell’Fbi è un
repubblicano che ha avuto atteggiamenti poco amichevoli verso la
Clinton, però questo accadeva al momento delle primarie, dopo sembrava
esserci stata una sorta di tregua. Peraltro, l’intero partito
democratico si è stretto a quadrato intorno alla candidata ed ha
attaccato il capo dell’Fbi accusandolo di tacere. Ma forse le cose non stanno in modo così semplice.
A quanto pare, Wikileaks (qualcuno
indica altri) stava per uscire con nuove rivelazioni sulla questione
delle mail della Clinton (le ultime risalgono al 7 ottobre),
a quel punto, il passo successivo sarebbe stato quello di accusare
l’Fbi di aver cercato di insabbiare tutto e sarebbe stato un doppio
scoop. E forse i riflessi per la campagna della Clinton sarebbero stati
anche peggiori. In questo modo si brucia lo “scoop” di
Wikileaks, si fa fare all’Fbi la figura dell’intransigente corpo di
polizia che non guarda in faccia a nessuno e magari si tiene l’inchiesta
sostanzialmente ferma per un paio di settimane, per guadagnare qualche
indulgenza da parte della Clinton se dovesse vincere e giovarsi
dell’istituto dell’irresponsabilità presidenziale che bloccherebbe
tutto, essendo poco probabile una messa in stato d’accusa votata dal
Senato. Vedremo se andrà così.
Intanto però c’è da chiedersi chi ci sia
dietro questo scoop sulle mail della Clinton. In fondo, intercettare
le mail del segretario di Stato degli Usa non è una impresa da ragazzini
scapestrati che giocano a fare gli hacker. E qui il dubbio più facile ha un nome solo: Putin.
Che Mosca punti su Trump è cosa nota e, peraltro, spiegabile. La
Clinton ha fatto dichiarazioni molto bellicose a proposito della Siria
che non devono essere state gradite al Cremlino. Peraltro,
l’impresentabile Trump avrebbe molti vantaggi per i russi: debolissimo
quanto a prestigio internazionale, dilettante allo sbaraglio, inviso
alle minoranze nazionali del paese ma, soprattutto, a gran parte dei
poteri forti interni ed esterni allo Stato (da Wall Street alla Cia ed
al Dipartimento di Stato). Sarebbe un presidente virtualmente invalidato
dagli apparati della Casa Bianca che gli opporrebbero una resistenza
sorda ma tenace. D’altro canto, gli stessi apparati non potrebbero
spingersi oltre più di tanto con un Presidente che non si fa portatore
di una linea concordata e gli Usa sarebbero un gigante paralizzato dalle
sue contraddizioni.
Calcolo impeccabile che troverebbe la
simpatia anche di uno come me che pensa che il disastro degli Usa
sarebbe un avvenimento da celebrare a champagne, se non fosse che
mettere i giocattoli nucleari nelle mani di un pazzo furibondo di quella
fatta è cosa da non dormirci la notte. Non so sino a che punto il
Presidente degli Usa possa davvero schiacciare il bottone rosso da solo e
senza che altri possano fermarlo, magari a Trump daranno una scatola
nera fatta con il Lego, ma, francamente, non mi pare il caso di far la
prova.
Ovviamente, non è probabile che gli
americani si tengano questo schiaffo in viso senza reazioni e, dopo l’8
novembre, c’è da attendersi che la prima misura della Casa Bianca sia
una qualche rappresaglia.
In ogni caso, la situazione
attuale è un segnale evidentissimo della delegittimazione delle
istituzioni politiche americane ed occidentali in genere. Il
fatto stesso che un personaggio indecente come Trump arrivi alla
candidatura alla Presidenza e che la sua antagonista inciampi in una
vicenda come quella delle mail è di una gravità senza precedenti.
Sbalordisce anche la leggerezza della
Clinton nell’uso di un mezzo quasi certamente intercettato come la sua
mail (o pensava che a lei questo non sarebbe mai accaduto?!), dice a che
livelli sia scesa la classe politica americana. Immaginiamo ora se
dovessero emergere cose tali da imporre l’ineleggibilità della Clinton:
che si fa? Anche se lei si ritirasse magari in favore del suo vice,
sarebbe una prassi del tutto inconsueta e di dubbia costituzionalità (a
questo pensava Trump quando si diceva non disponibile a riconoscere il
risultato, segno che qualcuno lo aveva avvertito della bomba in arrivo).
E se poi questo succedesse il giorno dopo le elezioni e prima
dell’insediamento o anche solo prima del voto dei grandi elettori? Non
ci sono precedenti ed è evidente che la Corte Suprema dovrebbe
intervenire. Sarebbe la crisi istituzionale più grave dalla guerra di
secessione in poi. Ed anche questo non dovrebbe dispiacere più di tanto
agli amici russi.
Forse siamo alla viglia di un terremoto, ma già da adesso possiamo osservare come si stia sgretolando la credibilità delle élites occidentali, tendenza che va ben oltre il singolo caso in questione.
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