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02/11/2016

L’ombra di Hekmatyar sul governo di Kabul

Il lanciatore di razzi si proietta ufficialmente in politica. In realtà dalla politica Gulbuddin Hekmatyar non è mai uscito, la sua presenza, ingombrante e inquietante, ha oltre trent’anni di storia. Da quand’era studente d’ingegneria all’università di Kabul e abbracciava ideali marx-leninisti poi riconvertiti verso un Islam, più che puro, fanatico. Così da mujaheddin antisovietico si trasformò in signore della guerra a tuttotondo fondando l’Hezb-i Islami, partito mai tramontato nell’Afghanistan resistente a due invasioni e a tutti i dopoguerra possibili, anche quelli successivi al conflitto civile degli anni Novanta. Hekmatyar il pashtun, fondamentalista tutto d’un pezzo è al tempo stesso un abile osservatore d’ogni mossa politica, qualità che gli ha permesso di sopravvivere a ogni fase che la terra dell’Hindu Kush sta conoscendo, col comune denominatore degli scontri armati, ma non solo. Non è un segreto che l’attuale leadership afghana del presidente Ghani e i suoi tutor statunitensi cerchino soluzioni patteggiate per un presente e futuro per loro ingestibili. Le cercano riaprendo il dialogo coi nemici che dal 2001 hanno ufficialmente spodestato – i talebani – scalzati solo dai palazzi di Kabul, non dal territorio nazionale. Infatti i talib controllano una grossa fetta che oscilla fra le 15 e le 27 province su trentaquattro. Hekmatyar, come altri potentati armati, in tutti questi anni ha continuato a vivere indisturbato in Afghanistan perché nessuno lo ricercava.

Poteva essere accusato di crimini di guerra, ma da chi? Dai governi locali? Da quei “missionari di pace” con le divise Nato che lì seminavano morte e commettevano altri crimini? Come altri warlords responsabili di stragi di gente comune, nessun tribunale nazionale e internazionale gli ha mai contestato nulla. Anche per Hekmatyar e altri combattenti antisovietici, è valso quel lasciapassare offerto da Cia e Pentagono, e l’assenza di moralità e autodeterminazione dei premier fantoccio, prima Karzai ora Ghani, hanno fatto il resto. Inoltre l’occupazione, con tanti o pochi militari, continua ad assegnare a ciascun elemento armato, vecchio e nuovo, il ruolo di difensore del suolo patrio, e questa è la narrazione che il capo dell’Hizb-i Islami continua a utilizzare. Nel ‘do ut des’ in corso con Ghani lo staff di Hekmatyar ricordare la propria funzione di difesa del Paese da ingerenze straniere, che nel tempo sono addirittura cresciute passando da finalità geostrategiche, comunque sempre presenti, a interessi economici legati alle scoperte del sottosuolo capaci di mandare in fibrillazione multinazionali e appetiti imperialisti sparsi per il mondo. Perciò un portavoce di quel partito, Amin Karim, in un’intervista concessa ad Al Jazeera ribadisce l’intento di voler lavorare per la libertà e l’indipendenza afghana relazionandosi al governo e non opponendosi più a esso.

Certo Karim dichiara di sentirsi “orgoglioso della resistenza all’occupazione di truppe straniere e rifiuta il concetto di democrazia diffusa coi droni”. Afferma anche che Hekmatyar non cerca contropartite, il suo obiettivo non sarebbe la ricerca del potere politico, premierato o qualche ministero. Per la cronaca ricordiamo che agli inizi degli anni Novanta, Hekmatyar era stato investito del ruolo di capo di governo, ma durò poco. I contrasti con Rabbani e altri leader lo condussero allo scontro. Sanguinosissimo. Oggi l’intento è partecipare attivamente alla politica ufficiale, presentandosi alle elezioni, perché convinto che il popolo afghano sia vicino a ideali e valori promossi dal movimento islamista. Ma se si fa riferimento al ruolo femminile, alle ragazze che non indossano l’hijab, Karim non ha dubbi: quell’abbigliamento fa parte della fede afghana. Per lui il 99% della gente unisce passato e presente, la modernità non dimentica la tradizione. Dice: “La nazione è fatta dalla gente dei villaggi mentre certi codici di vestiario non escono fuori da Kabul, di 5 non di 30 km. La mia personale opinione è che ci dev’essere libertà nel vestire, per uomini e donne, ma coi limiti del rispetto”. E sul comune sentire fra il proprio partito e i talebani in una governance islamica l’intervistato non si nasconde: “Per Hizb-i Islami si basa sul senso di giustizia, per altri sul tagliare la mano a un ladro. I percorsi sono differenti, dipende dalle situazioni. Su un punto noi e i talebani concordiamo: combattere per l’indipendenza della nazione”. Più chiaro di così.

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