Damasco, 6 gennaio 2017. Verso Aleppo col buio non si va, troppi predoni e tipi armati in giro per le strade e i villaggi. Il minimo che si rischia è una rapina. Tappa quindi a Damasco e una notte nel quartiere cristiano di Bab Tuma (la Porta di Tommaso). Stessi luoghi di un anno fa. Ma bastano poche ore e pochi incontri per capire che l’atmosfera non è più la stessa.
Certo, controlli e posti di blocco sono frequenti e accurati come allora. Ma i soldati vanno a caccia di kamikaze. Nella versione cintura esplosiva, quindi braccia in alto e lasciarsi palpare i fianchi. O in quella auto imbottita di tritolo, cosicché ai posti di blocco, prima ancora che tu ti sia avvicinato per farti ispezionare il bagagliaio, i militari premono a ripetizione uno strano aggeggio che lancia impulsi elettronici, in modo che se proprio tu devi esplodere lo faccia da lontano. Non è allegro, ovvio, ma non è nemmeno la sequela di domande, svuotamenti di tasche e lunghissime file che ricordavo.
Allo stesso modo, gli antichi resti della Porta sono coperti dalle immagini dei “martiri”, ovvero i giovani (e sui muri di Bab Tuma sono quasi tutti cristiani) che sono morti per combattere i jihadisti e i ribelli e per difendere, misteriosamente secondo i criteri di giudizio di molti in Occidente, il potere di Bashar al-Assad. Ma ad Abbassiyeen, nella grande piazza che ospita lo stadio, sono sparite le barricate che dividevano la città libera dai quartieri occupati dagli uomini di Al Nusra, che di notte uscivano da tunnel e cantine e cominciavano a tirare dove capitava missili e razzi. Anche in questo caso: non è una pacchia, i colpi sono continuati a cadere (in novembre un mortaio ha colpito, qui nel quartiere, anche la cupola della chiesa dei francescani), ma nulla che somigli a ciò che era la norma un anno fa.
È chiaro, insomma, che la riconquista di Aleppo ha segnato una svolta anche nello spirito dei siriani. Di tutti i siriani. I “lealisti” hanno visto svanire, dopo cinque anni, lo spettro del crollo totale. I ribelli e i terroristi, al contrario, hanno visto svanire la prospettiva della vittoria e fanno i primi conti con quello di una bruciante sconfitta.
La gente di Damasco un anno fa ripeteva senza sosta, quasi a esorcizzarle, storie di infinite crudeltà commesse dai jihadisti. Oggi allo stesso modo, ma con soddisfazione, racconta aneddoti che suggeriscono la rotta possibile dei miliziani: il cassiere di Al Nusra che è scappato coi soldi destinati alla guerra (900 mila dollari? Forse addirittura 9 milioni?), ribelli e jihadisti di Idlib che hanno pareri diversi sulla guerra e si sparano tra loro, i soldati di Erdogan che tirano sugli islamisti...
Poi, per non sperare troppo, i damasceni recuperano il realismo. Ricordano che i quartieri di Jobar e Harista sono ancora occupati dai miliziani, che la guerra non è finita, che la ricostruzione sarà faticosa e lunghissima. E così dicendo, ovviamente, tornano a sperare e il ciclo ricomincia.
È come se l’intera Damasco avesse in gola un enorme sospiro di sollievo e lo trattenesse per non volersi illudere. Ma l’antichissimo suq è un po’ più animato, a Bab Touma c’è qualche ristorante nuovo e la sera, anche nel buio provocato da un attentato dell’Isis alla centrale elettrica vicina a Palmira, si sente qualche giovane che ride.
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