Uno studio della rivista scientifica The Lancet afferma che l’esposizione prolungata alle polveri prodotte dagli scarichi di veicoli, dalle industrie, e dagli impianti di riscaldamento, anche al di sotto delle attuali limiti permessi dalle leggi in vigore in Italia e nell’Unione Europea, può essere più nociva e mortale di quanto finora si è ritenuto.
Il nuovo studio, pubblicato sul Lancet, ha preso in esame 360.000 residenti nelle grandi città di tredici paesi europei. La ricerca stima che per ogni aumento nella media annuale di esposizione a particolato fine (le particelle di diametro inferiore a 2,5 micron, PM2.5) di 5 µg/m3 ci sia un aumento del rischio di morire per cause non accidentali del 7%.
Una differenza di 5 µg/m3 indica la differenza che c’è tra un luogo dove c’è molto traffico e uno non influenzato dal traffico in una città. I risultati dello studio possono essere utilizzati per le valutazioni di impatto dello smog sulla salute. Fino ad ora i dati a disposizione si basavano solo su stime prodotte da studi condotti prevalentemente negli Stati Uniti.
I ricercatori hanno utilizzato i dati dello studio ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects, coordinato dalla Università di Utrecht in Olanda) che ha unito i dati di 22 studi longitudinali europei, per un totale di 367.251 persone analizzate. Le concentrazioni medie annuali degli inquinanti (ossidi di azoto e particolato) sono state stimate nei luoghi di residenza dei soggetti esaminati utilizzando modelli di regressione land-use. Sono state raccolte informazioni sull’intensità di traffico della strada della residenza dei soggetti e sul carico totale di traffico nei 100 metri attorno alla residenza. I soggetti in studio sono stati seguiti per circa 14 anni e 29.076 di essi sono morti per cause non accidentali.
In Italia, lo studio è stato condotto a Roma dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio, a Torino dall’AO Città della Salute e della Scienza dell’Università di Torino e a Varese dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano. Lo studio ha coinvolto circa 31.000 persone. Hanno collaborato allo studio numerosi enti tra cui le Agenzie ambientali dell’Emilia-Romagna e del Piemonte. I risultati mostrano che il particolato fine è l’inquinante più dannoso, anche per concentrazioni sotto i limiti consentiti dall’attuale legislazione europea.
L’associazione tra esposizione prolungata a particolato e mortalità esiste anche tenendo conto di diversi fattori individuali come l’abitudine al fumo, lo stato socio-economico, l’attività fisica, il livello di istruzione e l’indice di massa corporea.
Secondo gli autori della ricerca: “I risultati suggeriscono un effetto del particolato anche per concentrazioni al di sotto dell’attuale limite annuale europeo di 25 µg/m3 per il PM2,5. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) propone del resto come Linea Guida 10 µg/m3 e i nostri risultati supportano l’idea che avvicinandoci a questo target si potrebbero raggiungere grandi benefici per la salute delle persone.”
Sullo stesso numero del Lancet, in un editoriale di presentazione, si afferma: “Nonostante i grandi miglioramenti della qualità dell’aria negli ultimi 50 anni, i dati di Beelen e colleghi mostrano che gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute continuano. Questi dati, insieme ai risultati di altri grandi studi, suggeriscono quanto siano necessarie ulteriori politiche per ridurre l’inquinamento e, quindi, la morbosità e la mortalità in Europa. Come raccomandato dall’OMS, una priorità urgente dovrebbe essere quella di avviarsi verso i valori indicati dalle Linee Guida della qualità dell’aria dell’OMS che sono più restrittive.”
Fonte: Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Regione Lazio
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