di Michele Paris
Il
rimescolamento degli equilibri strategici in Asia sud-orientale
innescato dall’elezione alla presidenza delle Filippine di Rodrigo
Duterte, ha fatto segnare una nuova e potenzialmente importante tappa in
questo inizio anno con l’approdo nella capitale, Manila, di due navi da
guerra russe. Il cacciatorpediniere “Ammiraglio Tributs” e la
petroliera “Boris Butoma” hanno attraccato nel porto filippino il 2
gennaio scorso e rimarranno nel paese-arcipelago fino a sabato prossimo.
L’ammiraglio russo Eduard Mikhailov ha cercato di inquadrare la
visita in un contesto più ampio del semplice gesto di amicizia, su cui
hanno insistito più che altro le autorità locali, ipotizzando la
conduzione di esercitazioni relative alla lotta alla pirateria e al
terrorismo.
Un portavoce della Marina militare filippina ha
escluso però esercitazioni congiunte per questa settimana, ma, come
aveva già anticipato qualche tempo fa il presidente Duterte, questa
possibilità verrà presa in considerazione nel prossimo futuro. Secondo i
media russi, quello di questa settimana è il primo contatto diretto in
assoluto tra le marine dei due paesi. Per il governo di Manila, invece,
si tratterebbe della terza visita di navi militari russe nei porti
filippini, tra cui l’ultima era avvenuta nel 2012.
Che sia o meno
senza precedenti, l’evento è indubbiamente di estrema rilevanza,
soprattutto in considerazione delle circostanze in cui si inserisce. Le
tensioni già alle stelle tra Cina e Stati Uniti si sono aggravate dopo
l’ascesa di Duterte alla presidenza delle Filippine e in seguito ai suoi
sforzi per ristabilire relazioni cordiali con Pechino. Parallelamente,
l’elezione di Donald Trump minaccia un ulteriore irrigidimento di
Washington nei confronti della seconda potenza economica del pianeta.
Gli
alti ufficiali russi presenti in questi giorni nelle Filippine hanno
poi fatto ben poco per nascondere le implicazioni strategiche della
visita. Sempre l’ammiraglio Mikhailov ha sottolineato come Mosca intenda
fornire a Manila “tutto l’aiuto di cui ha bisogno”. Inoltre, l’invito a
condurre esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale è allargato
anche alla stessa Cina e alla Malaysia, il cui governo nei mesi scorsi
ha fatto intravedere un possibile riallineamento strategico più o meno
sul modello delle Filippine di Duterte.
L’eventuale ingresso
della Russia nelle questioni del sud-est asiatico rappresenterebbe
dunque un nuovo elemento di destabilizzazione dei piani egemonici
americani, diretti contro la Cina e perseguiti negli ultimi anni
dall’amministrazione Obama, sia pure senza troppo successo, attraverso
un’escalation di provocazioni militari, economiche e diplomatiche.
Mosca
ha infatti visto nella presidenza Duterte una chiara occasione per
interferire negli interessi americani nella regione, ma anche per
allargare il mercato dei propri produttori di armi, i quali in Asia
sud-orientale vantano posizioni consolidate soprattutto in Vietnam.
Proprio
il Mar Cinese Meridionale è stato poi il teatro dei principali scontri
tra Washington e Pechino, con il governo USA che, ad esempio, ha
ripetutamente attaccato quello cinese per la costruzione di
installazioni civili e militari nelle isole controllate da quest’ultimo
ma rivendicate da altri paesi della regione.
La
Marina militare americana ha inoltre condotto svariate missioni di
pattugliamento nelle acque al largo dei territori su cui Pechino afferma
la propria sovranità, sollecitando allo stesso tempo i propri alleati
ad alimentare le tensioni con la Cina. La stessa Russia, invece, proprio
con il cacciatorpediniere “Ammiraglio Tributs" lo scorso settembre aveva
partecipato a esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale assieme
a unità navali di Pechino.
Il presidente filippino Duterte, da
parte sua, ha da tempo mostrato la disponibilità a valutare
esercitazioni militari con la Russia, così come ad acquistare
equipaggiamenti militari da questo paese. L’apertura di Manila a Mosca e
a Pechino è iniziata proprio quando gli Stati Uniti si aspettavano
dall’alleato un’accelerazione delle iniziative anti-cinesi, sull’onda di
quanto ottenuto dalla precedente amministrazione del fedelissimo di
Washington, Benigno Aquino.
Sotto la guida dell’ex presidente, le
Filippine avevano tra l’altro sottoscritto un accordo per il ritorno
nelle basi militari del paese-arcipelago di truppe americane in pianta
stabile e avviato con successo un procedimento presso un tribunale
internazionale a L’Aia sulle contese territoriali nel Mar Cinese
Meridionale.
Con l’elezione del populista Duterte, al contrario,
le Filippine sono passate da alleato cruciale nella strategia asiatica
degli Stati Uniti ad anello debole, con cui perciò l’amministrazione
Trump dovrà fare i conti per evitare un effetto domino che potrebbe
avere effetti rovinosi sui piani americani in questo continente,
ovviamente a tutto vantaggio della Cina.
In questo scenario
risulta evidente quali siano le implicazioni della visita delle due navi
russe nelle Filippine, al di là del fatto che la possibile partnership
tra Mosca e Manila, nella più ottimistica delle ipotesi, sia ancora alle
fasi iniziali.
Sforzi per costruire rapporti più stretti con la
Russia erano tuttavia iniziati già qualche mese fa. Duterte e Putin si
erano incontrati lo scorso novembre a Lima, in Perù, nel corso del
vertice della Cooperazione Economica dell’Asia e del Pacifico (APEC).
Poche settimane più tardi, i ministri degli Esteri e della Difesa
filippini, Perfecto Yasay e Delfin Lorenzana, si erano recati a Mosca
per discutere il possibile allargamento della cooperazione tra i due
paesi, nonché per programmare una visita del loro presidente a Mosca.
Prima
Duterte e in seguito sempre più anche i suoi ministri hanno
ripetutamente parlato in maniera esplicita della portata strategica del
riorientamento della politica estera di Manila, segnata di fatto
dall’allontanamento dall’alleato americano, almeno in linea teorica.
L’elezione
di Trump ha avuto infatti un effetto moderatore sulla retorica
anti-americana di Duterte, il quale qualche mese fa era giunto
addirittura a definire Obama “figlio di p...”. Dall’invito alle forze
armate americane a lasciare le Filippine e dalla promessa di annullare
ogni esercitazione militare con gli USA, Duterte è passato agli elogi e
alla disponibilità a collaborare con il prossimo inquilino della Casa
Bianca.
Sul suo atteggiamento influiscono con ogni probabilità le
critiche rivolte dall’amministrazione Obama alla guerra sanguinosa
condotta nelle Filippine da Duterte contro il narcotraffico e lasciate
cadere da Trump. Il presidente americano uscente e il dipartimento di
Stato avevano in realtà appoggiato anche finanziariamente questa
battaglia, ma i toni sono presto cambiati quando il presidente filippino
ha iniziato a mostrare un atteggiamento conciliante nei confronti della
Cina.
Se
Trump e Duterte sembrano avere inclinazioni simili, le crescenti
divergenze tra USA e Filippine potrebbero non risolversi così
agevolmente, visto che sono legate a fattori oggettivi ben più
importanti. In particolare, l’avvicinamento di Manila a Pechino, ma
anche a Mosca, è il risultato di un calcolo basato su considerazioni che
hanno a che fare con il declino degli Stati Uniti, principalmente sul
fronte economico.
Una parabola discendente, quella americana, che
viene contrastata dalle varie amministrazioni di Washington con un
ricorso sempre più spinto al militarismo, con il rischio di provcare
rovinosi conflitti armati, di cui a farne le spese sarebbero in primo
luogo proprio paesi come le Filippine.
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