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06/01/2017

Filippine, Duterte apre a Mosca

di Michele Paris

Il rimescolamento degli equilibri strategici in Asia sud-orientale innescato dall’elezione alla presidenza delle Filippine di Rodrigo Duterte, ha fatto segnare una nuova e potenzialmente importante tappa in questo inizio anno con l’approdo nella capitale, Manila, di due navi da guerra russe. Il cacciatorpediniere “Ammiraglio Tributs” e la petroliera “Boris Butoma” hanno attraccato nel porto filippino il 2 gennaio scorso e rimarranno nel paese-arcipelago fino a sabato prossimo.

L’ammiraglio russo Eduard Mikhailov ha cercato di inquadrare la visita in un contesto più ampio del semplice gesto di amicizia, su cui hanno insistito più che altro le autorità locali, ipotizzando la conduzione di esercitazioni relative alla lotta alla pirateria e al terrorismo.

Un portavoce della Marina militare filippina ha escluso però esercitazioni congiunte per questa settimana, ma, come aveva già anticipato qualche tempo fa il presidente Duterte, questa possibilità verrà presa in considerazione nel prossimo futuro. Secondo i media russi, quello di questa settimana è il primo contatto diretto in assoluto tra le marine dei due paesi. Per il governo di Manila, invece, si tratterebbe della terza visita di navi militari russe nei porti filippini, tra cui l’ultima era avvenuta nel 2012.

Che sia o meno senza precedenti, l’evento è indubbiamente di estrema rilevanza, soprattutto in considerazione delle circostanze in cui si inserisce. Le tensioni già alle stelle tra Cina e Stati Uniti si sono aggravate dopo l’ascesa di Duterte alla presidenza delle Filippine e in seguito ai suoi sforzi per ristabilire relazioni cordiali con Pechino. Parallelamente, l’elezione di Donald Trump minaccia un ulteriore irrigidimento di Washington nei confronti della seconda potenza economica del pianeta.

Gli alti ufficiali russi presenti in questi giorni nelle Filippine hanno poi fatto ben poco per nascondere le implicazioni strategiche della visita. Sempre l’ammiraglio Mikhailov ha sottolineato come Mosca intenda fornire a Manila “tutto l’aiuto di cui ha bisogno”. Inoltre, l’invito a condurre esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale è allargato anche alla stessa Cina e alla Malaysia, il cui governo nei mesi scorsi ha fatto intravedere un possibile riallineamento strategico più o meno sul modello delle Filippine di Duterte.

L’eventuale ingresso della Russia nelle questioni del sud-est asiatico rappresenterebbe dunque un nuovo elemento di destabilizzazione dei piani egemonici americani, diretti contro la Cina e perseguiti negli ultimi anni dall’amministrazione Obama, sia pure senza troppo successo, attraverso un’escalation di provocazioni militari, economiche e diplomatiche.

Mosca ha infatti visto nella presidenza Duterte una chiara occasione per interferire negli interessi americani nella regione, ma anche per allargare il mercato dei propri produttori di armi, i quali in Asia sud-orientale vantano posizioni consolidate soprattutto in Vietnam.

Proprio il Mar Cinese Meridionale è stato poi il teatro dei principali scontri tra Washington e Pechino, con il governo USA che, ad esempio, ha ripetutamente attaccato quello cinese per la costruzione di installazioni civili e militari nelle isole controllate da quest’ultimo ma rivendicate da altri paesi della regione.

La Marina militare americana ha inoltre condotto svariate missioni di pattugliamento nelle acque al largo dei territori su cui Pechino afferma la propria sovranità, sollecitando allo stesso tempo i propri alleati ad alimentare le tensioni con la Cina. La stessa Russia, invece, proprio con il cacciatorpediniere “Ammiraglio Tributs" lo scorso settembre aveva partecipato a esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale assieme a unità navali di Pechino.

Il presidente filippino Duterte, da parte sua, ha da tempo mostrato la disponibilità a valutare esercitazioni militari con la Russia, così come ad acquistare equipaggiamenti militari da questo paese. L’apertura di Manila a Mosca e a Pechino è iniziata proprio quando gli Stati Uniti si aspettavano dall’alleato un’accelerazione delle iniziative anti-cinesi, sull’onda di quanto ottenuto dalla precedente amministrazione del fedelissimo di Washington, Benigno Aquino.

Sotto la guida dell’ex presidente, le Filippine avevano tra l’altro sottoscritto un accordo per il ritorno nelle basi militari del paese-arcipelago di truppe americane in pianta stabile e avviato con successo un procedimento presso un tribunale internazionale a L’Aia sulle contese territoriali nel Mar Cinese Meridionale.

Con l’elezione del populista Duterte, al contrario, le Filippine sono passate da alleato cruciale nella strategia asiatica degli Stati Uniti ad anello debole, con cui perciò l’amministrazione Trump dovrà fare i conti per evitare un effetto domino che potrebbe avere effetti rovinosi sui piani americani in questo continente, ovviamente a tutto vantaggio della Cina.

In questo scenario risulta evidente quali siano le implicazioni della visita delle due navi russe nelle Filippine, al di là del fatto che la possibile partnership tra Mosca e Manila, nella più ottimistica delle ipotesi, sia ancora alle fasi iniziali.

Sforzi per costruire rapporti più stretti con la Russia erano tuttavia iniziati già qualche mese fa. Duterte e Putin si erano incontrati lo scorso novembre a Lima, in Perù, nel corso del vertice della Cooperazione Economica dell’Asia e del Pacifico (APEC).

Poche settimane più tardi, i ministri degli Esteri e della Difesa filippini, Perfecto Yasay e Delfin Lorenzana, si erano recati a Mosca per discutere il possibile allargamento della cooperazione tra i due paesi, nonché per programmare una visita del loro presidente a Mosca.

Prima Duterte e in seguito sempre più anche i suoi ministri hanno ripetutamente parlato in maniera esplicita della portata strategica del riorientamento della politica estera di Manila, segnata di fatto dall’allontanamento dall’alleato americano, almeno in linea teorica.

L’elezione di Trump ha avuto infatti un effetto moderatore sulla retorica anti-americana di Duterte, il quale qualche mese fa era giunto addirittura a definire Obama “figlio di p...”. Dall’invito alle forze armate americane a lasciare le Filippine e dalla promessa di annullare ogni esercitazione militare con gli USA, Duterte è passato agli elogi e alla disponibilità a collaborare con il prossimo inquilino della Casa Bianca.

Sul suo atteggiamento influiscono con ogni probabilità le critiche rivolte dall’amministrazione Obama alla guerra sanguinosa condotta nelle Filippine da Duterte contro il narcotraffico e lasciate cadere da Trump. Il presidente americano uscente e il dipartimento di Stato avevano in realtà appoggiato anche finanziariamente questa battaglia, ma i toni sono presto cambiati quando il presidente filippino ha iniziato a mostrare un atteggiamento conciliante nei confronti della Cina.

Se Trump e Duterte sembrano avere inclinazioni simili, le crescenti divergenze tra USA e Filippine potrebbero non risolversi così agevolmente, visto che sono legate a fattori oggettivi ben più importanti. In particolare, l’avvicinamento di Manila a Pechino, ma anche a Mosca, è il risultato di un calcolo basato su considerazioni che hanno a che fare con il declino degli Stati Uniti, principalmente sul fronte economico.

Una parabola discendente, quella americana, che viene contrastata dalle varie amministrazioni di Washington con un ricorso sempre più spinto al militarismo, con il rischio di provcare rovinosi conflitti armati, di cui a farne le spese sarebbero in primo luogo proprio paesi come le Filippine.

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