Tra fake news e ossessione anticomplottista, viviamo un’epoca segnata
apparentemente dallo scontro senza quartiere tra la “verità” e i suoi
nemici. Ma la piega che sta assumendo il dibattito chiude ogni spazio di
manovra dialettico sulla questione. Perché se i limiti naturali del
complottismo sono evidenti, quelli dell’attuale crociata
anti-complottista sono più perfidi, anzi, addirittura più pericolosi.
Perchè alla base dell’attuale fioritura complottista (se effettivamente
esiste tale fioritura, cosa tutta da dimostrare) c’è una presa di
coscienza, sempre più generalizzata, che tra le verità ufficiali e la
realtà materiale esiste uno scarto, una distanza, una frattura non più
colmata dalla fiducia. Tra la realtà così com’è e la realtà come viene
raccontata dalle narrazioni legittimate a farlo, questo scarto è
d’altronde sempre esistito. In periodi di
forte legittimazione pubblica del potere, questo scarto veniva colmato
dalla fiducia in quelle istituzioni predisposte al racconto ufficiale
dei fatti (la Chiesa; lo Stato; il partito; la fabbrica; il giornale;
eccetera). In un’epoca come questa, in cui lo scollamento tra umori
popolari e istituzioni è netto e inequivocabile, lo scarto di cui sopra
viene colmato non più dalla fiducia, ma dal sospetto. Un sospetto
pubblico, non più mediato, non più alfabetizzato politicamente. Cresce così la propensione complottista, il bisogno cioè di riempire
questo vuoto di senso. E’ evidente allora che col fenomeno del
complottismo (se esiste, il che è tutto da dimostrare) bisogna andarci
cauti. Perché smascherarne la strutturale incapacità di dare un senso
alle cose si scontra con la necessità, per la sinistra, di approfondire
quello scarto, non ridurlo in nome di fantasiose battaglie comuni contro
“le bufale” sul web, le “fake news”, una presunta “oggettività”
dell’informazione mainstream opposta alle false ricostruzioni
online. E’ superfluo rilevare che la quasi totalità della sinistra abbia
indossato elmetto e baionetta e si sia arruolata nella crociata
anti-complottista. Non c’era da aspettarsi altro da una sinistra che
infatti naviga forte dei suoi zerovirgola nelle elezioni e nella società
reale. Ma la tronfia superiorità di chi è in trincea quotidiana a
spiegare le idiozie sulle “scie chimiche” di turno, pensando così di
aver reso chissà quale servigio alla “verità”, non fa altro che
certificare il nulla culturale che rappresenta questa sinistra. Una
sinistra che di fronte alla rottura del tacito patto di fede tra verità e
potere non riesce a pensare ad altro che rinsaldare quel patto,
richiudere quel solco, ri-legittimare un potere a cui non crede più
nessuno. Mentre l’unico atteggiamento possibile in una fase come questa è
rispondere alle verità ufficiali sempre e comunque con un *non-è-vero*:
anche a costo di sbagliare, ma di sicuro attenti a non rinforzare le
verità ufficiali. Il sospetto va alimentato, non “curato”, perché è dentro quel sospetto, quella disillusione, quella disaffezione, che la sinistra si gioca la sua partita.
Come scrisse, ormai anni fa, un compagno a noi caro, «la storia non si riduce a complotto. Ma la storia è *anche* complotto» (qui).
Questo ovviamente non si traduce nella legittimazione dell’approccio
complottista. Il complottismo è strutturalmente inadeguato a dare una
spiegazione della realtà perché prevede, in estrema sintesi, un’unità
d’intenti (peraltro granitica) tra volontà politica e realtà fattuale.
Detto altrimenti, la realtà così com’è sarebbe il frutto di una precisa
volontà organizzata di (ristretti) gruppi di potere (il club Bilderberg;
il G8; la Trilaterale; i banchieri; eccetera). Il marxismo ha invece
svelato la natura oggettiva dei processi sociali, che
prendono forma a prescindere dalle volontà politiche del potere
costituito, che *segue*, e non crea, la realtà fattuale. Innestato su
questo discorso c’è poi una certa autonomia del politico
(più leniniana che marxiana) che presuppone leggi interne di condotta
indipendenti dalle relazioni sociali di cui pure è figlio. Ma questa
dialettica è, appunto, una dialettica. E’ un rapporto vicendevole e
mutevole, che tiene sempre in conto i due aspetti invece di
assolutizzarne uno soltanto.
Proprio perché politica ed economia (potere e società) sono in
rapporto vicendevole, la storia «è anche complotto». Non “solo”:
*anche*. E quindi, per tornare all’attualità, non c’è dubbio che il
terrorismo mediatico sulla vicenda vaccini (per fare un esempio) si
fonda su una mezza verità: le vaccinazioni rappresentano un progresso
per il genere umano; nascondendo però l’altra metà: le case
farmaceutiche “complottano” costantemente, attraverso le loro attività
più o meno occulte di lobbying, per aumentare il costo, le vendite, i
ricavi, il bisogno stesso, dei medicinali venduti. Condannare
l’infantilismo (quando va bene) del complottismo anti-vaccini ha senso
solo se il ragionamento tiene dentro anche la critica serrata alle
logiche capitalistiche che innervano l’economia farmaceutica (che
*complotta* contro i malati, sia chiaro). Senza i due capi del
ragionamento, la crociata anti-complottista si trasforma in
ri-legittimazione del potere capitalistico, personificato in questo caso
dalle case farmaceutiche. Ma chiaramente questo discorso può essere
fatto valere per ogni altro esempio simile. A partire dall’oggetto
preferito della diatriba infinita tra complottisti e anti-complottisti:
George Soros. Soros non “spiega” il capitalismo e le sue logiche (che
sono oggettive e non determinate soggettivamente), ma lo stesso
capitalismo non sarebbe pensabile senza i George Soros di turno, con il
loro costante tentativo politico di dare razionalità al dominio
capitalista. E’ una dialettica, per l’appunto.
Meglio una “fake news” in più che il Ministero della verità governato da Repubblica; meglio
il sospetto (per quanto malamente incanalato) che la convinzione
diffusa delle magnifiche sorti e progressive delle case farmaceutiche;
meglio la disillusione (ancorché cieca) che l’illusione capace solo di
provocare estasi del potere costituito. E’ in quella disillusione che la
battaglia tra la sinistra di classe e gli altri organizzatori del
dissenso (il Movimento 5 Stelle in primis) trova il suo terreno praticabile. Fuori c’è solo l’egemonia ideologica del capitale.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento