Scrive Carlo Rovelli sul Corriere (22 giugno) un articolo di apparente buon senso sul terrorismo. Perché ci indigniamo tanto e ci spaventiamo, si legge, per un fenomeno che fa decisamente meno morti degli incidenti stradali? Se un crimine è sempre tale, «perché non ci commuoviamo egualmente per altre morti causate da crimini?» Segue una sacrosanta lista di crimini altrettanto efferati per cui scarseggia tale commozione sociale: donne uccise da mariti gelosi; neri americani uccisi da poliziotti; operai uccisi da direttori dei cantieri, e altri esempi simili. Il motivo, scrive sempre Rovelli, è nella spasmodica attenzione riservata alle morti per terrorismo da parte di media e politici. Ogni morte violenta dovrebbe allarmarci altrettanto, eppure così non è. Relegate nei trafiletti di cronaca nera, le scabrose narrazioni sulle nefandezze omicide riemergono solo se il protagonista è “il terrorista”, svelando peraltro un certo sostrato razzista della nostra cultura massmediatica. Altrettanto giustamente, Rovelli ribalta l’assunto per cui tale spazio viene dedicato al terrorismo perché spaventa la maggior parte della popolazione: «sentiamo il terrorismo toccarci personalmente perché politici e media gli dedicano estrema attenzione». E’ una paura indotta capace di generare insicurezza diffusa, in un circuito politicamente funzionale alla gestione della sicurezza nella società liberale post-democratica.
Tutto (apparentemente) vero. Eppure incapace di dare una risposta alla centralità assunta dal fenomeno terrorista. Il problema nasce dal fatto che la vicenda terrorista è sì utilizzata anche per le ragioni dette da Rovelli, e dunque la centralità mediatica assolve a un ruolo funzionale alla gestione delle contraddizioni sociali: dalla criminalizzazione dei migranti all’ideologia della “guerra giusta” contro i “dittatori” in Medioriente, e così via. Ma questo fenomeno avviene “a valle”: è la risposta a un fenomeno, non la causa della sua centralità. La radice della quale è altrove: il terrorismo s’impone all’attenzione sociale perché ripropone una forma di violenza politica che spezza la narrazione liberale della politica come attività amministrativa svolta attraverso il confronto tra idee. Per quanti morti in più potranno darsi in Europa per i motivi elencati da Rovelli, non è il numero la dirimente fondamentale, ma la qualità di queste morti, a imporsi. I morti per terrorismo rispondono a un disegno politico, reintroducono in Europa una strategia che si considerava espunta dalla storia. Il terrorismo reintroduce il conflitto come strumento di una strategia politica. Criticabile o meno, per i motivi più o meno nobili che gli vogliamo assegnare, questo fatto rappresenta una rottura con l’ideologia dominante, ed è questo a spaventare la società occidentale. Non certo i dieci o cento morti europei di questi anni, numero assolutamente sproporzionato alla centralità politica e mediatica assegnata al terrorismo stesso.
Che questo fatto non venga colto da Carlo Rovelli è tutto sommato fisiologico: non è un politico e neanche uno storico. Ciò che risulta, per così dire, meno “normale”, è che posizioni come queste rappresentano la cosa “più di sinistra” che è possibile leggere oggi nell’informazione, non solo mainstream. Rovelli condanna l’uso capitalistico del terrorismo, ma nel farlo si ferma all’apparenza delle cose attraverso un ragionamento cripto-complottistico: basterebbe che i media smettessero di parlare del terrorismo per disattivarlo. Ma così non è, sebbene certo il risalto mediatico è uno degli obiettivi delle azioni terroriste.
Alla base della questione c’è che il capitalismo è condizionato dai rapporti materiali e non dalle ideologie che pure produce costantemente. In questo senso il terrorismo si trasforma in un problema di difficile gestione perché al di là delle sue motivazioni (nel caso dell’Isis, tutte interne al capitalismo stesso), propone un metodo della politica che diviene anche merito della questione. In altre parole: oggi è il radicalismo religioso, ma domani? Ecco, è proprio per scongiurare quel domani in cui quella stessa violenza potrebbe essere utilizzata per scopi più compromettenti, che tutto il sistema politico-mediatico si accanisce contro il terrorismo concedendogli l’esasperata centralità di questi tempi.
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