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29/06/2017

New York Times: "L'ex principe ereditario saudita confinato nel suo palazzo

di Roberto Prinzi


Il recente passaggio di consegne tra l’ex principe ereditario saudita Mohammed bin Nayef e Mohammed bin Salman (figlio dell’attuale sovrano Salman) non sarebbe stato così tranquillo come i media filo-sauditi hanno raccontato. A sostenerlo è un articolo del prestigioso New York Times secondo il quale il deposto successore al trono sarebbe stato confinato nel suo Palazzo di Jedda e non potrebbe lasciare il Paese. Citando 4 ufficiali Usa e alcune fonti saudite vicine alla famiglia reale che hanno preferito restare anonime, il quotidiano statunitense scrive che queste decisioni sono state prese per limitare “qualunque possibile opposizione al nuovo principe ereditario”.

Non solo: il Times riporta le dichiarazioni di un membro della corte reale saudita e di un “ex ufficiale” americano di cui non rivela le identità secondo le quali bin Nayef, tornato al suo palazzo di Jeddah, avrebbe scoperto che le sue guardie di fiducia sono state rimpiazzate con altre vicine a bin Salman. Le restrizioni di movimento – decise subito dopo la promozione di bin Salman – sarebbero state estese anche alle sue figlie.

La grave accusa mossa alle autorità saudite dal giornale newyorkese contrasterebbe quindi con il clima idilliaco presentato da Riyadh dopo la promozione del figlio di Salman. In un filmato trasmesso dalla tv di stato la scorsa settimana poco dopo la diffusione della notizia del cambio al vertice della monarchia, si vede il 32enne Mohammad bin Salman baciare la mano del suo cugino più anziano (Mohammed bin Nayef) mentre quest’ultimo gli fa le sue congratulazioni: “Sono contento. Ora mi vado a riposare. Possa Dio aiutarti”. Un video che alcuni osservatori sulla stampa araba avevano sin da subito definito un fake: le immagini, hanno affermato, sarebbero vecchie e non corrisponderebbero perciò alla reale reazione di bin Nayef all’annunciata promozione di bin Salman.
Raggiunto dalla Reuters, un ufficiale saudita ha negato la vicenda limitandosi a dire che l’articolo del Times “non è vero al 100%”. Bocche cucite tra i vertici della monarchia più impegnate in queste ore a proferire invettive contro il “fratello” Qatar.

Se con gli elementi finora a disposizione è impossibile dimostrare la veridicità della storia raccontata dal quotidiano americano, resta comunque il dato di fatto che il 57enne bin Nayef sia stato del tutto messo da parte dalla monarchia in modo improvviso (anche se non sorprendente). Eppure parliamo di una personalità di primo piano con anni di esperienza nel campo dell’intelligence al punto da essere chiamato “il principe del controterrorismo”. Non solo: bin Nayef vantava ottimi rapporti con gli alleati Usa già prima dell’11 settembre (alcuni analisti lo considerano il più vicino agli americani tra i leader del regno). Rapporto che ha poi coltivato negli anni della “guerra al terrorismo” e, in particolare, nella campagna contro al-Qa’eda che ha guidato in Arabia Saudita tra il 2003 e il 2007 quando il Paese fu sconvolto da ripetuti attacchi jihadisti. Proprio per il ruolo svolto nel controterrorismo, quest’anno era stato premiato con una medaglia dal nuovo direttore della Cia.

Di fronte a questi suoi “successi”, stride fortemente ora il suo anticipato pensionamento (pur avvolto nell’opulenza di casa Saud). Sembra affettata quell’accettazione servile apparsa nel brevissimo video trasmesso dalla tv saudita. Quel “vado a riposarmi” è eccessivo per un uomo del suo calibro e, tutto sommato, “giovane” in un Paese che non ha alcun problema ad essere retto da settuagenari e ottuagenari (si pensi che il sovrano attuale ha 81 anni). Se è chiarissimo il motivo politico del suo rimpiazzo (il figlio bin Salman è più aggressivo contro il “nemico” Iran e inflessibile contro la Fratellanza musulmana e i suoi sostenitori), resta più di qualche lecito dubbio sulla versione da Libro Cuore offerta dalle autorità saudite. Nonché solleva qualche riflessione l’atteggiamento indifferente degli Usa verso il “più americano” dei Saud.

Le notizie del Times giungono in un Paese dove resta rovente il clima contro il Qatar. Emblematico, a tal riguardo, è l’editoriale del noto al-Sharq al-Awsat a firma di Abdul Rahman al-Rashed. Al-Rashed, ex direttore generale della tv panaraba al-Arabiya, ha avvisato l’emirato qatariota di stare attento perché, se non dovesse accettare le 13 richieste avanzate la scorsa settimana da Arabia Saudita, Bahrain, Egitto e Emirati, potrebbe ricevere un trattamento simile a quello avuto dai manifestanti radunati a Raba al-Adawiya (il Cairo) nel 2013. Human Rights Watch ha accusato il presidente golpista al-Sisi di aver ucciso 817 persone la notte del 14 agosto in quella piazza. Erano sostenitori del deposto presidente islamista Mursi.

Parole inquietanti che dimostrano però bene come la crisi del Golfo – nata inizialmente per alcuni dichiarazioni pro-Iran e Fratellanza della tv di stato qatariota (Doha, però, nega e parla di attacco hacker) – si stia sempre di più aggravando al punto che, al momento, non è da escludere una futura soluzione militare contro il “fratello” riottoso.

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