di Roberto Prinzi
Il recente passaggio di
consegne tra l’ex principe ereditario saudita Mohammed bin Nayef e
Mohammed bin Salman (figlio dell’attuale sovrano Salman) non sarebbe
stato così tranquillo come i media filo-sauditi hanno raccontato. A
sostenerlo è un articolo del prestigioso New York Times secondo
il quale il deposto successore al trono sarebbe stato confinato nel suo
Palazzo di Jedda e non potrebbe lasciare il Paese. Citando 4
ufficiali Usa e alcune fonti saudite vicine alla famiglia reale che
hanno preferito restare anonime, il quotidiano statunitense scrive che
queste decisioni sono state prese per limitare “qualunque possibile
opposizione al nuovo principe ereditario”.
Non solo: il Times riporta le dichiarazioni di un membro della corte
reale saudita e di un “ex ufficiale” americano di cui non rivela le
identità secondo le quali bin Nayef, tornato al suo palazzo di Jeddah, avrebbe scoperto che le sue guardie di fiducia sono state rimpiazzate con altre vicine a bin Salman. Le restrizioni di movimento – decise subito dopo la promozione di bin Salman – sarebbero state estese anche alle sue figlie.
La grave accusa mossa alle autorità saudite dal giornale
newyorkese contrasterebbe quindi con il clima idilliaco presentato da
Riyadh dopo la promozione del figlio di Salman. In un filmato
trasmesso dalla tv di stato la scorsa settimana poco dopo la diffusione
della notizia del cambio al vertice della monarchia, si vede il 32enne
Mohammad bin Salman baciare la mano del suo cugino più anziano (Mohammed
bin Nayef) mentre quest’ultimo gli fa le sue congratulazioni: “Sono
contento. Ora mi vado a riposare. Possa Dio aiutarti”. Un video che
alcuni osservatori sulla stampa araba avevano sin da subito definito un
fake: le immagini, hanno affermato, sarebbero vecchie e non
corrisponderebbero perciò alla reale reazione di bin Nayef
all’annunciata promozione di bin Salman.
Raggiunto dalla Reuters, un ufficiale saudita ha negato la
vicenda limitandosi a dire che l’articolo del Times “non è vero al
100%”. Bocche cucite tra i vertici della monarchia più impegnate in queste ore a proferire invettive contro il “fratello” Qatar.
Se con gli elementi finora a disposizione è impossibile dimostrare la
veridicità della storia raccontata dal quotidiano americano, resta comunque il dato di fatto che il 57enne bin Nayef sia stato del tutto messo da parte dalla monarchia in modo improvviso (anche se non sorprendente). Eppure parliamo di una personalità
di primo piano con anni di esperienza nel campo dell’intelligence al
punto da essere chiamato “il principe del controterrorismo”.
Non solo: bin Nayef vantava ottimi rapporti con gli alleati Usa già
prima dell’11 settembre (alcuni analisti lo considerano il più vicino
agli americani tra i leader del regno). Rapporto che ha poi coltivato
negli anni della “guerra al terrorismo” e, in particolare, nella campagna
contro al-Qa’eda che ha guidato in Arabia Saudita tra il 2003 e il 2007
quando il Paese fu sconvolto da ripetuti attacchi jihadisti. Proprio per il ruolo svolto nel controterrorismo, quest’anno era stato premiato con una medaglia dal nuovo direttore della Cia.
Di fronte a questi suoi “successi”, stride fortemente ora il suo
anticipato pensionamento (pur avvolto nell’opulenza di casa Saud).
Sembra affettata quell’accettazione servile apparsa nel brevissimo video
trasmesso dalla tv saudita. Quel “vado a riposarmi” è eccessivo per un
uomo del suo calibro e, tutto sommato, “giovane” in un Paese che non ha
alcun problema ad essere retto da settuagenari e ottuagenari (si pensi
che il sovrano attuale ha 81 anni). Se è chiarissimo il motivo politico
del suo rimpiazzo (il figlio bin Salman è più aggressivo contro il
“nemico” Iran e inflessibile contro la Fratellanza musulmana e i suoi
sostenitori), resta più di qualche lecito dubbio sulla versione da Libro
Cuore offerta dalle autorità saudite. Nonché solleva qualche
riflessione l’atteggiamento indifferente degli Usa verso il “più
americano” dei Saud.
Le notizie del Times giungono in un Paese dove resta rovente il clima contro il Qatar. Emblematico, a tal riguardo, è l’editoriale del noto al-Sharq al-Awsat
a firma di Abdul Rahman al-Rashed. Al-Rashed, ex direttore generale
della tv panaraba al-Arabiya, ha avvisato l’emirato qatariota di stare
attento perché, se non dovesse accettare le 13 richieste avanzate la
scorsa settimana da Arabia Saudita, Bahrain, Egitto e Emirati, potrebbe
ricevere un trattamento simile a quello avuto dai manifestanti radunati a
Raba al-Adawiya (il Cairo) nel 2013. Human Rights Watch ha accusato il
presidente golpista al-Sisi di aver ucciso 817 persone la notte del 14
agosto in quella piazza. Erano sostenitori del deposto presidente
islamista Mursi.
Parole inquietanti che dimostrano però bene come la crisi del Golfo –
nata inizialmente per alcuni dichiarazioni pro-Iran e Fratellanza della
tv di stato qatariota (Doha, però, nega e parla di attacco hacker) – si
stia sempre di più aggravando al punto che, al momento, non è da
escludere una futura soluzione militare contro il “fratello” riottoso.
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