Torino, Roma, Aulla. Tre punti segnano un cerchio. E in questo paese i “punti critici” che si vanno accumulando sono così tanti che ormai ci si potrebbero tracciare molti cerchi concentrici. Insomma, un bersaglio da poligono...
Mettiamo in fila solo i fatti degli ultimi giorni, con al centro le varie polizie operanti sul territorio e tralasciando tutti i casi in cui ad essere coinvolti sono stati gli attivisti sociali o sindacali.
In Lunigiana, territorio da decenni privo di qualsiasi serio problema di criminalità o conflitto sociale, due intere stazioni dei carabinieri sono state messe sotto inchiesta – con arresti, sospensioni dal servizio, avvisi di garanzie e intercettazioni – perché da anni angariavano chiunque capitasse loro a tiro: piccoli spacciatori, immigrati, tossicodipendenti e persino una sarta “rea” di aver chiesto troppo per un lavoro. Un caso, un bel cesto di “mele marcite”, ma non confondete la parte con il tutto, le forze di polizia sono sane...
A Roma, martedì, per la giornata internazionale del migrante – iniziativa dell’Onu, tramite l’Unhcr (presieduta a lungo da Laura Boldrini...) – si teneva al Pantheon una tranquillissima chiacchierata pubblica sul tema, con ovvie critiche all’“Europa dei muri e dei respingimenti”, in linea con quanto andava dicendo in quei minuti Papa Bergoglio. Un giovane avvocato che ha seguito diversi casi giudiziari è intervenuto criticando – sul piano tecnico-giuridico – l’impianto del famigerato “decreto Minniti” in materia di immigrazione (ora diventato legge grazie anche ai voti dei bersanian-dalemiani...). La polizia è allora scattata in modo molto minaccioso, forzando l’avvocato a mostrare i documenti per l’identificazione. Alle proteste degli astanti, il folto plotone di poliziotti li ha circondati e identificati tutti (compreso forse qualche turista di passaggio).
A Torino ieri sera, una folle carica contro tutti i cittadini che in piazza Santa Giulia stavano passando una normale serata d’estate. Pretesto: alcuni agenti, poco prima, era stati allontanati dalla folla dopo una lunga serie di “accertamenti” condotti in modo decisamente invadente. Il “pattuglione” (diversi blindati pieni di uomini in assetto da battaglia) che sembrava essersi allontanato è ricomparso a quel punto all’improvviso scatenandosi in un pestaggio di massa che ha lasciato di stucco anche La Stampa (mentre trovava l’infame plauso di Repubblica).
“Che cosa scateni la piazza e la violenza è un mistero. Davanti ad un locale volano i primi spintoni, e i poliziotti vengono allontanati. Cade a terra un oggetto. I filmati lo mostrano. Sembra una radio. Gli agenti in borghese tornano indietro per riprenderselo. Chi li insegue cerca di appropriarsene. Ed è il delirio. Volano calci, pugni, spintoni. I 100 o forse più che protestano si scatenano. È un attimo e la scena cambia ancora. In piazza ripiombano gli agenti del reparto anti-sommossa. Entrano in massa da via Giulia di Barolo e travolgono tutto. Vanno a dare la caccia a chi ha aggredito i colleghi in borghese. Manganelli e gente in fuga. Tavolini e sedie travolti. Botte davanti ai bar e bottiglie che volano, la tranquilla movida di Vanchiglia diventa battaglia, e non è un’esagerazione. Volano sedie e si schiantano piatti, bicchieri caraffe e bottiglie. Chi cena fugge terrorizzato. Ancora botte davanti ai locali. Urla, pianti, e sirene e altri agenti.Ci scuserete la lunghissima citazione da La Stampa, ma bisognava lasciar parlare un cronista che certo non è accusabile di pregiudizi nei confronti degli agenti. Solo così, infatti, emerge la logica spietata della rappresaglia messa in pratica dal “pattuglione”. Che a sua volta era una invenzione di quel Mario Scelba, negli anni ‘50-’60, eredità diretta delle squadracce fasciste inquadrate nella Milizia.
Nel bar dove fanno l’aperitivo, dove ci sono mamme con i piccoli in braccio, papà che giocano e scherzano, la gente si rifugia nel locale. Manganellate anche lì. E la gente scappa. Sono dieci minuti di delirio. Che lasciano un tappeto di rottami.
E che questa sia una reazione isterica della piazza lo si è visto qualche attimo prima che gli agenti in borghese e la dottoressa che dirigeva il servizio fossero assaliti. Lo si è visto quando dei ragazzi «normali» si sono messi ad urlare insulti e minacce in faccia ad una incolpevole poliziotta senza divisa: «Vai via p…! Devi andare via da qui. Vai via».
E’ una logica che inquadra la popolazione – tutta la popolazione – come potenziale nemico, oppure come mandria da guidare e disciplinare a colpi di frusta, contando sul banale principio militare per cui uno squadrone sottoposto a un comando centralizzato, addestrato a tecniche e tattiche militari anche elementari (da coorte romana, per capirci), è comunque più forte di una massa di persone prese a caso, davanti al pericolo costretta ad agire istintivamente come un branco.
Due sono gli elementi politici che ci sembra emergano da questi e ormai molti, troppi, altri episodi.
Nel governo centrale e ai vertici delle varie polizie si è preso atto di non avere più molti margini di mediazione sociale. I tagli alla spesa pubblica, imposti dall’Unione Europea e dalla Troika, impediscono di affrontare il conflitto (o anche solo il malessere) sociale con i classici strumenti del soft power riformista (compra, rassicura, sopisci, elargisci). Il decreto Minniti sull’ordine pubblico – gemello di quello contro i migranti, firmato anche dal ministro Orlando – formalizza nero su bianco l’impossibilità di usare altri strumenti al di fuori della forza della repressione. E dunque affida alle varie polizie poteri e margini d’azione prima impensabili, sottraendoli – nella misura del possibile (Aulla è troppo oltre...) – al vaglio della magistratura.
Non è una novità. Esattamente come il Jobs Act ha legalizzato forme di sfruttamento del lavoro prima illegali (ma non perseguite), così i “decreti Minniti” legalizzano comportamenti delle cosiddette “forze dell’ordine” prima perennemente a rischio di inchiesta penale.
Una decisione politica che prova ad anticipare il momento in cui il prevedibile conflitto sociale prossimo venturo potrebbe andare “fuori controllo” (se non c’è più mediazione possibile, sono incerti solo tempi e modalità).
Il secondo elemento è derivato, e pericolosissimo. Dalla massa degli uomini in arme e divisa, questo “legalizzazione” è stata assimilata come autorizzazione ad annullare i residui freni inibitori. Le scene di Torino raccontano di un apparato legalizzato che agisce largamente con motivazioni proprie e non istituzionali. Lo stesso precedente invocato a scusante (vedi qui) è in realtà è una conferma piena di questa deriva in stile combattente.
E’ uno squarcio aperto sul futuro prossimo più infame. Quello in cui i “corpi intermedi” (partiti, sindacati, associazioni, ecc.) vengono sostituiti dalle guardie dello sceriffo di Nottingham.
Un “mondo nuovo”, come si intuisce dalle immagini di Torino, che troppo somigliano a quelle viste a Genova nel luglio 2001.
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