Come da copione, ogni volta che si avvicina una tornata elettorale di una certa importanza tornano a squillare le trombe de “l’unità della sinistra”. L’ennesima messa in scena di una coazione a ripetere stancante quanto inefficace (anche dal punto di vista stesso dei promotori) ha riempito sabato scorso il teatro Brancaccio a Roma.
Grandi speranze, polemiche, divisioni, applausi e fischi, soprattutto calcoli elettorali. Sì, perché a unire tutti appassionatamente – ma solo fino al giorno dopo le elezioni, poi ognuno andrà per la sua strada – sono soprattutto i calcoli elettorali di quel ceto politico che si compone e scompone da anni in una eterna transumanza da una sigla all’altra, in cerca non di una unità di programmi e di metodi, ma sostanzialmente della rappresentanza istituzionale. Entrare nelle istituzioni, da quando le sinistre si fecero incastrare nei governi di centrosinistra divenendo oggettivamente corresponsabili dei disastri sociali e politici dei vari Prodi e D’Alema, si è fatto molto difficile: perché i sistemi elettorali varati negli ultimi anni sono stati pensati esplicitamente per escludere le sinistre e, particolare di non poco conto, perché queste ultime, nelle loro varie e spesso fantasiose accezioni, hanno perso ogni residua credibilità agli occhi dei loro tradizionali referenti sociali.
E così le ragioni della sinistra – la rappresentanza dei settori di classe e popolari e dei loro interessi materiali oltre che politici – sono sempre più platealmente sacrificate sull’altare dell’unico vero moloch: la costituzione di un’alleanza elettorale che tenga dentro il numero maggiore possibile di circoli, partiti, associazioni, intellettuali e che permetta di racimolare i voti sufficienti a superare l’insormontabile scoglio della soglia di sbarramento che impedisce l’ingresso in Parlamento. L’unità viene spacciata come un bene in sé, al di là dei progetti, dei contenuti, degli obiettivi comuni. Che d’altronde la consumata e rituale coazione a ripetere messa in moto dagli eterni ‘appelli all’unità della sinistra’ non potrebbero garantire.
E così, di volta in volta, ecco uscire dal cilindro di un ceto politico disperato quanto vorace il “contenitore” in grado di sommare le diverse debolezze della sinistra, i vari cocci di ciò che fu lo spazio politico ed elettorale rappresentato a suo tempo da Rifondazione Comunista e da altre formazioni nate dallo sgretolamento del Pci. Una coazione a ripetere sempre uguale a se stessa che se negli anni scorsi ha puntato su guru nazionali ed esteri – Bertinotti, poi Ingroia, poi ancora Tsipras – ora sembra giocare la carta degli outsider Montanari e Falcone dietro i quali sono però visibilissimi i promotori dell’operazione provenienti per lo più dalla ‘sinistra Pd’ in libera uscita da un partito ormai apertamente di destra oltre che dai settori più istituzionalisti di Sinistra Italiana. Una operazione a termine – che oltretutto dipenderà dalle caratteristiche più o meno escludenti di un sistema elettorale che l’attuale parlamento fatica a licenziare – e tutta politicista alla quale però sta dando credito, a volte in buona fede e spesso in maniera opportunistica, un ampio spettro di organizzazioni politiche tra le più diverse, da quelle che propugnano un liberismo temperato e sono spudoratamente europeiste ad alcuni dei partiti comunisti superstiti.
L’unità nella diversità, direbbe qualcuno, necessaria per rifondare una “sinistra moderna” e capace di attirare il consenso dei grandi numeri. Un copione già visto, a nostro avviso, incapace di rappresentare i bisogni materiali di un corpo sociale massacrato in questi anni dal processo di integrazione europeo e da quei governi di centrosinistra e centro all’interno dei quali sedevano, compartecipi e correi, molti di coloro che sabato al teatro Brancaccio occupavano le prime file e intervenivano dal palco. Un’assemblea ed un progetto di segno moderato, come dimostra l’interlocuzione con il cosiddetto Campo Progressista di Pisapia e l’ingombrante presenza di Massimo D’Alema, lo stesso che su Repubblica lancia strali contro ‘gli estremisti’ e rivendica la giustezza dei bombardamenti contro le popolazioni dei Balcani ai tempi della ‘guerra del Kosovo’.
In un simile contesto i comunisti, i centri sociali, le realtà sindacali, le associazioni che si battono sul territorio contro i disastri ambientali, i gruppi di sostegno ai profughi e tutto quel magma sociale e politico che si muove genuinamente ma ingenuamente cercando riferimenti politici generali in grado di invertire la rotta non potranno che avere – se lo avranno, visto il trattamento riservato dagli organizzatori al Pci e a ‘Je so pazzo’ – un ruolo di subalternità, di portatori d’acqua ad un progetto sostanzialmente dominato da coloro che in questi anni hanno sdoganato e imposto la precarietà, la militarizzazione e la guerra, il massacro sociale, i sacrifici a senso unico.
Che per rifondare una sinistra credibile e moderna si debba consegnare il proprio patrimonio a coloro che in questi anni hanno condiviso le scelte più abiette – dal Jobs Act alla Buona Scuola fino allo Sblocca Italia alla Legge Minniti – è sinceramente inaccettabile oltre che offensivo.
La strada per la ricostruzione di un fronte politico e sociale di massa che rompa non solo con le conseguenze ma anche con le cause del massacro sociale imposto dall’ordoliberismo e dall’Unione Europea esiste. E’ quella indicata e praticata negli ultimi due anni dalla Piattaforma Sociale Eurostop, frutto di una convergenza di settori politici, sociali, sindacali e territoriali su un programma di rottura nei confronti dell’Ue, dell’Euro e della Nato. E ovviamente refrattaria alle logiche del politicismo e dell’elettoralismo che condannano al fallimento ogni ipotesi di ricomposizione e per una totale indipendenza politica dei settori di classe. Solo dentro questa indipendenza i comunisti potranno ritrovare un proprio ruolo nella definizione di una prospettiva strategica e di una pratica e organizzazione sociale tutta da ricostruire.
Il prossimo primo luglio Eurostop terrà al centro sociale Intifada di Roma la propria assemblea costituente sulla base di un programma e di una identità comuni alternativi e antagonisti ad una sinistra consumata,oltre che di una serie di campagne di massa capaci di rafforzare e rilanciare un fronte sociale e politico di aperta sfida nei confronti dell’esistente.
Una strada sicuramente più lunga e tortuosa ma anche più dignitosa del solito e trito teatrino delle ‘costituenti’ che non uniscono ma dividono, che non costruiscono ma distruggono, che non rafforzano ma indeboliscono.
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