Altro che chiudere Al Jazeera, mossa velleitaria cui probabilmente non credono neppure i Saud, anche perché trova contrario l’Occidente che difende il sistema mediatico. Contro l’isolamento del Qatar accorrono due potenze regionali che non si amano, ma tantomeno sopportano la smania egemonica di Riyad: Turchia e Iran. I cui uomini chiave, Erdogan e Rohani, intervengono entrambi sulla delicata situazione nel Golfo. Rispondendo a una richiesta proveniente dalle nazioni che hanno mosso l’attacco politico al Qatar (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Oman, Egitto) di chiudere una sua base militare in Qatar, il ministero degli Esteri turco ha ufficialmente dichiarato che la presenza del centinaio di propri soldati su quel territorio è funzionale alla comune visione della sicurezza e della pace esistente all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Un accordo sottoscritto nel 2014 fra Ankara e Doha che, da parte turca, conserva un valore strategico perché agisce sull’addestramento e sul supporto militare a un Paese che fa parte della coalizione.
In merito era già intervenuto personalmente il ministro Cavusoglu, colloquiando con gli omologhi saudita, al-Jubeyir, e qaratiota, Abdurrahman al-Thani. A entrambi aveva espresso il diritto-dovere turco di valutare quel che, a proprio avviso, ci fosse di “corretto e sbagliato” nel contrasto fra due Paesi fratelli e fin poco tempo addietro alleati. Un intervento ancora più pesante è venuto dal presidente turco che, parlando fuori della moschea di Istanbul in occasione della preghiera dell’Eid al-Fitr per la fine del Ramadan, ha sottolineato come i tredici punti dell’ultimatum rivolto dai sauditi e dai fedeli alleati al Qatar (fra cui c’è la chiusura della celebre emittente televisiva) violassero le leggi internazionali, andando ben oltre il lecito. “Si tratta d’un vero attacco alla sovranità d’uno Stato” ha tuonato Erdogan.
Rincarando la dose, ha aggiunto che la richiesta della soppressione della base militare turca è una vera “mancanza di rispetto” a un Paese che contribuisce alla sicurezza della regione. Ha ricordato, altresì, d’aver controbilanciato la presenza dei suoi militari, offrendo ai sauditi la costruzione di una base turca anche sul loro territorio. Infine la stoccata a evidenziare il concetto di potenza: “Nel cooperare per la difesa di una nazione alleata la Turchia prende accordi, ma essa non è uno Stato qualunque”. Emiri avvisati, dunque.
Materia tutt’altro che secondaria della contesa sono i legami che il Qatar ha da tempo con la Fratellanza Musulmana, malvista dalla dinastia saudita e dalle monarchie satelliti in quanto movimento politico che predica giustizia e riscatto sociale contro i poteri tirannici, laici o di teste coronate. La Brotherhood ha preso parte alle rivolte delle primavere arabe, che sono state evidenziate dall’emittente di Doha, taluni sostengono anche enfatizzate e pilotate. Quest’antico movimento islamista viene accusato di fondamentalismo terrorista, oltreché da certo Occidente volutamente polarizzatore, dalle petromonarchie. Queste, covando il wahhabismo, ne sostengono la predicazione radicale assieme ai finanziamenti al jihadismo stragista, un tempo di Qaeda ora dell’Isis.
Insomma il gioco saudita di accusare l’emiro al-Thani di ciò che da alcuni anni rappresenta un suo impegno palese: il supporto al fondamentalismo salafita, appare pretestuoso. Non irreale, perché tale appoggio, utile per destabilizzare a proprio vantaggio un’area geopolitica, vede sauditi, qatarioti e gli stessi turchi, autoproclamatisi gendarmi della sicurezza, tutti insieme mestare nel torbido e accusarsi vicendevolmente.
Come altri protagonisti mediorientali e certi colossi mondiali. La chiamata di correo coinvolge l’Iran, che certamente non finanzia l’Isis, anzi ne ha recentemente subìto uno spettacolare attacco, però impegna i suoi interessi geopolitici in alcuni Paesi e su certi campi di battaglia. E’ accusato, anch’esso da sauditi (e non solo) d’ingerenze, espansione, sostegno illecito attraverso le componenti militari sciite in Libano, Yemen, Iraq. Ma nel gioco delle parti anch’esso offre sponda al Qatar. Sia per affarismi da non lasciar cadere, come un nuovo immenso giacimento di gas che insiste nel sottosuolo marino del Golfo Persico fra le due nazioni; sia per cavalcare vantaggiosamente lo smarcamento, seppure indotto dall’emarginazione, della dinastia al-Thani dagli altri emiri, soggiogati dall’obbedienza a re Salman e all’egocentrico neo erede Salman bin.
Così nella sagra dei pronunciamenti è subentrato anche Rohani, che ieri ha annunciato come fratellanza e amicizia sono i profondi sentimenti che legano il popolo iraniano all’intraprendente Qatar. “I nostri settori economici – ha detto il presidente a Teheran – hanno e devono continuare a sviluppare favorevoli relazioni mercantili attraverso la cooperazione e il dialogo”. Adducendo la totale incomprensione attorno all’embargo proposto dai sauditi contro Doha, il chierico moderato ha ricordato che gli spazi aereo e marino fra le due nazioni sono totalmente aperti e protetti militarmente per sopperire a ogni sorta di eventuale necessità dei qatarioti. Nonostante l’impegno di Riyad, Abu Dhabi, Manama, del Cairo e di Tel Aviv l’embargo contro i due milioni e mezzo di cittadini del Qatar sembra inefficace: i rifornimenti dalla Turchia e quelli da Teheran impediscono il soffocamento di servizi e alimenti. Sull’impatto geopolitico della crisi, si vedrà.
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