E il governo diventò fascioleghista per “sbarrare la strada ai leghisti” alle prossime elezioni.
La sintesi può sembrare un po’ troppo sintetica, ma corrisponde perfettamente alla successione degli eventi.
Domenica 24 ballottaggi disastrosi per il Pd in un gran numero di comuni (in pratica vince solo a Lecce, dove però sindaco ed eletti se ne vanno con Bersani & co. il giorno dopo). Stravince il centrodestra riunificato, nonostante la lotta continua per chi dovrà avere la leadership formale tra Berlusconi e Salvini.
Tra domenica e martedì una serie di sbarchi di profughi nei porti meridionali, raccolti da navi militari, dalle Ong o da semplici pescatori. Quasi 12.000 nell’arco di 72 ore; quanto basta per gridare all’invasione, prendere carta e penna e scrivere a Bruxelles – sedi dell’Unione Europea – che così non si va avanti, che “l’Europa” deve far qualcosa, altrimenti l’Italia impedirà l’accesso ai suoi porti alle navi cariche di profughi battenti bandiera straniera. In pratica, le navi delle Ong verrebbero costrette ad allontanarsi e a raggiungere, se possibile, il paese di cui battono bandiera.
Non è ancora il “respingimento in mare” sbandierato dai fascioleghisti e dalla Santanché, ma comincia a somigliarci parecchio. Una misura del genere, se messa in atto, aprirebbe contenziosi infiniti con parecchi paesi stranieri ma stretti alleati dell’Italia. Oltretutto, per le regole della navigazione marittima, non si può impedire a una imbarcazione di entrare in un qualsiasi porto – che abbia ovviamente il pescaggio sufficiente ad ospitarla – per fare rifornimento di combustibile, acqua, viveri, ecc.
Di fatto, l’impedimento sarebbe concentrato sul non far scendere i naufraghi ripescati in mare, contravvenendo comunque le regole della navigazione. Ma in questo modo il governo italiano potrebbe dire di non aver violato il trattato europeo firmato a Dublino sull’immigrazione, secondo cui il paese che per primo identifica un migrante è anche obbligato ad accoglierlo. Come dire: se una nave inglese o tedesca li salva, dovrà portarli nel suo paese.
Il compito di allertare la Ue è stato affidato a Maurizio Massari, ambasciatore dell’Italia presso la Ue, che si è presentato al commissario europeo degli Affari interni Dimitri Avramopoulos con in mano la lettera che dice «L’Italia potrebbe essere costretta a bloccare i porti alle navi di Ong per ragioni di sicurezza nazionale».
A quel punto Avramopoulos è stato costretto a concedere che «La situazione dell’Italia è insostenibile. Non si può lasciare una manciata di Paesi a gestire l’emergenza, discuteremo di questo la prossima settimana a Tallin durante la riunione informale dei ministri di Giustizia e Interni, ma abbiamo tutti un obbligo umanitario di salvare vite».
I commenti che a quel punto sono partiti dalle istituzioni nazionali hanno attinto a piene mani dalle argomentazioni leghiste, «Alcuni Paesi devono smettere di girare la faccia dall’altra parte su questo problema», ha dichiarato per esempio Paolo Gentiloni. E anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ritenuto di dover esternare la sua preoccupazione con parole simili: «Se il fenomeno dei flussi continuasse con questi numeri la situazione diventerebbe ingestibile anche per un Paese grande e aperto come il nostro». Perché «il fenomeno migratorio va governato assicurando contemporaneamente la sicurezza dei cittadini».
La lega, tramite Calderoli, ha subito incassato l’assist, rivendicando la primogenitura di certe idee e, ovviamente, protestando che “è ancora troppo poco”.
Basterà questa “svolta” destrorsa a salvaguardare le future sorti elettorali del Pd? Difficile... L’esperienza storica dice che quando si accetta il terreno imposto da altri, si è già perso. Ma intanto si è legittimato – sul piano della cultura politica e della comunicazione di massa – proprio quel contenuto reazionario che fino al giorno prima si diceva di voler combattere.
Il livello dell’ipocrisia del governo (e del Pd) si può comunque misurare dal tono dei giornali mainstream, tutti schierati a sostegno della decisione presa da Minniti e Gentiloni. Un esempio per tutti, il Corriere della Sera, che nell’editoriale di Fiorenza Sarzanini (La fermezza è inevitabile) arriva a dire: “In realtà, dopo il patto stretto a febbraio dal premier Gentiloni, è apparso chiaro che il presidente Fayez al-Serraj non aveva il pieno controllo del Paese e dunque non era in grado di garantire una lotta efficace contro i clan che organizzano le partenze”.
Sia detto con pazienza. Al Serraj non è un leader libico, ma un ex cittadino libico riportato a forza di navi Nato a Tripoli. Il giorno del suo arrivo in quel porto, anche a lui toccò in sorte di non poter sbarcare, a causa dell’opposizione armata delle tante milizie che si spartiscono il territorio. Ci vollero settimane e un bel po’ di truppe occidentali per portarlo dentro il palazzo presidenziale, da cui ha iniziato ad esercitare un potere paragonabile a quello di un presidente circoscrizionale di una città più grande. Che costui non sia mai stato in grado di controllare alcunché, è cosa risaputa da tutti (anche dai giornalisti mainstream). Certo, i governi che lo hanno messo lì – tra cui quello italico – firmano accordi con lui. Ma dalla firma alla realtà militare, la strada è lunga.
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