“Ho sentito parlare di regalo ai banchieri. Chi fa questo discorso fa cattiva propaganda“. Il
presidente del consiglio Paolo Gentiloni, così come nel caso di
Alitalia, ha messo le mani avanti per respingere le critiche che molti –
tra cui noi, e tra i primi
– hanno sollevato rispetto all’ignobile decreto con cui viene
addebitato ai conti pubblici quanto necessario per “salvare” le due
banche venete a beneficio esclusivo di IntesaSanPaolo.
Un esborso immediato di 5,2 miliardi,
di cui 1,2 per il “fondo esuberi” che dovrà occuparsi di quasi 4.000
dipendenti da licenziare, con “coperture” previste fino a 17 miliardi. Un punto
di Pil, anzi un po’ di più. Quanto dovrebbe crescere l’economia
nazionale nell’anno in corso. E questo in un paese che ha appena varato
una manovra per rispondere ai diktat dell’Unione Europea, che pretendeva
una correzione di almeno lo 0,2% sulle previsioni di spesa. In un paese, insomma, dove il governo – da 25 anni – continua a tagliare spesa sanitaria e pensionistica per ramazzare qua e là qualche centinaio di milioni, ma non batte ciglio quando bisogna “salvare le banche” o aumentare la spesa militare.
A sostegno del governo è intervenuta anche Banca d’Italia tramite il direttore generale Fabio Panetta: “E’ sbagliato dire che lo Stato ci perde. Forse ci guadagna, e se ci perde è in maniera ridotta e quindi capace di sopportarlo“, argomentando che “I
4,8 miliardi di esborso di cassa torneranno indietro con la vendita
degli attivi. Lo Stato non ci perde, anticipa una somma e aspetta il
rientro“. Il problema è che
questi “attivi” sono in realtà crediti deteriorati e “sofferenze” della
due banche, che Intesa non vuole assumersi e andranno perciò collocati
sul mercato tramite una bad bank; roba che nessuno vuole, con qualsiasi ribasso di prezzo.
Era stato lo stesso ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ideatore del decreto, ad ammettere che “Lo Stato mette a disposizione subito risorse a Banca Intesa per un totale 4,785 mln in termini di anticipo di cassa,
relativi a operazioni necessarie per mantenere la capitalizzazione e il
rafforzamento patrimoniale di Banca Intesa a fronte dell’acquisizione
di queste banche venete”. Precisando oltretutto che l’intervento avviene «con misure che non impattano sul deficit»,
ma che tuttavia costerà ai contribuenti italiani in termini di aumento
del debito: il rapporto debito/Pil, infatti, peggiorerà dell’un per
cento del Pil.
Il gioco di specchi è possibile
perché il “fondo salvabanche” da 20 miliardi era compreso nella legge di
stabilità varata a Natale, dunque non rappresenta una nuova spesa. Solo
che allora quella cifra era posta “a garanzia”, ossia non
effettivamente spesa; mentre ora lo è. Anzi lo è già stata stamattina,
nella misura appunto di 5,2 miliardi.
Non sarà insomma “un regalo alle
banche”, ma una nota emessa in mattinata da BancaIntesa precisa che
l’impegno dell’istituto torinese è valido solo se il decreto passerà
così com’è, senza alcuna modifica: il contratto di cessione di alcune
delle attività di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, infatti, contiene
una clausola risolutiva “che
prevede l’inefficacia del contratto e la retrocessione alle banche in
liquidazione coatta amministrativa del perimetro oggetto di
acquisizione, in particolare nel caso in cui il Decreto Legge non fosse
convertito in legge, ovvero fosse convertito con modifiche e/o
integrazioni tali da rendere più onerosa per Intesa Sanpaolo
l’operazione, e non fosse pienamente in vigore entro i termini di legge“.
Il “perimetro” da rispettare è scritto nero su bianco, come involontariamente ammesso dallo stesso Gentiloni quando ha provato a chiarire il meccanismo: “Intesa
prende a suo carico una quantità di debiti e prende a proprio vantaggio
la parte sana degli attivi che non sono assolutamente sufficienti a
pareggiare i debiti che prende a proprio carico.
Questo è il motivo per cui occorre un intervento dello Stato che non è a
vantaggio di Intesa ma è solo a pareggio degli oneri”. Appunto:
lo Stato interviene a rimborsare Intesa per la differenza tra “parti
sane” e “parti malate”, nonostante che il grosso delle “sofferenze”
venga scorporato in una bad bank.
Se non è un regalo questo, non si vede cosa potrebbe esserlo.
Una sola cosa, di quelle dette dal governo, risulta vera: “l’effetto domino è stato scongiurato“, in quanto ad essere salvaguardati saranno “i 2 milioni di clienti, le pmi, l’economia del territorio”. Il fallimento avrebbe infatti impattato su un insieme che comprende 50 miliardi di risparmi, 2 milioni di clienti, tra cui 200 mila imprese.
C’erano alternative? Una sola, anche
in questo caso. La nazionalizzazione delle due banche. La spesa
miliardaria avrebbe avuto in quel caso un senso: si tutelavano
risparmiatori, famiglie e imprese esattamente nella stessa misura, ma
acquisendo la proprietà degli istituti – ovviamente da risanare –
sarebbe state poste le premesse di un guadagno da parte dello Stato e
dunque un risparmio futuro per la spesa pubblica.
Così, invece, è solo un’assunzione di
debiti al posto dei “privati”, come per Alitalia, Ilva, Etruria, ecc.
Dunque, senza alcun dubbio, un regalo a BancaIntesa (che infatti ricorda
al Parlamento di “non fare scherzi, altrimenti salta tutto”).
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