Nonostante
l’isolamento regionale, il Qatar prova a mostrare i muscoli dicendosi
pronta sì a risolvere il contenzioso con i Paesi del Golfo, ma solo se
questi terminano il boicottaggio nei suoi confronti iniziato lo scorso 5
giugno. A dirlo è stato il ministro degli esteri qatariota Sheikh Mohammed bin Abdul Rahman al-Thani.
Per al-Thani, infatti, una soluzione è possibile perché Doha è disposta
ad un “dialogo appropriato” con gli altri attori regionali basato su
principi predeterminati purché, sia chiaro, il “blocco” venga rimosso.
Un “blocco” per i qatarioti, però, perché nel dizionario di
Arabia Saudita, Egitto, Emirati arabi uniti (Eau) e Bahrain le misure
implementate contro il Qatar due settimane fa si chiamano semplicemente
sanzioni. Restrizioni e divieti che, come ha detto Abu Dhabi,
potrebbero durare anni nel caso in cui i qatarioti non dovessero
accettare le “richieste” (meglio definirle diktat) delle sue vicine. La
pacificazione, sostiene da giorni il blocco che fa capo a Riyadh, può
avvenire solo se Doha la smetterà di fomentare il “terrorismo, di
alimentare l’instabilità regionale e non si avvicinerà al nemico Iran”.
Posizioni su cui non si può transigere ha poi spiegato ieri mattina
da Parigi il ministro degli esteri dell’Eau Anwar Gargash: “Se vogliono
restare isolati per la loro visione pervertita circa il loro ruolo
politico, che siano isolati. Sono ancora in una fase di rifiuto e di
rabbia”. Parole che lasciano ben intendere che la crisi durerà e non
poco.
Posizione più ambigua sulla crisi quella degli americani: da
un lato, infatti, Washington non vuole inimicarsi i Paesi boicottatori
(storici alleati statunitensi), dall’altro, però, sa bene che in Qatar
ci sono migliaia di soldati a stelle e strisce impegnati a monitorare le
attività iraniane e combattere il “califfato” islamico in Siria e
Iraq. L’ambiguità degli statunitensi è sintetizzata nelle differenti
dichiarazioni pubbliche del presidente Trump (favorevole alle misure
restrittive) e quelle più neutrali del Dipartimento della Difesa.
Nonostante il doppiogiochismo Usa, Washington continua a essere considerata da Doha un’interlocutrice credibile per risolvere il problema.
A tal riguardo, sheikh Mohammed ha annunciato che andrà in America la
prossima settimana per discutere degli effetti economici del “blocco” e
l’impatto che esso sta avendo nella lotta contro il terrorismo. “Abbiamo
una relazione forte con gli Usa – ha detto il ministro degli esteri
qatariota – siamo partner nella coalizione globale contro il
terrorismo”. Che tra Doha e Washington il rapporto sia buono è stato
confermato ieri dal capo di Stato maggiore congiunto il General Joseph
Dunford. Secondo Dunford, infatti, le operazioni militari dal Qatar
contro lo Stato Islamico (Is) stanno continuando nonostante “qualche
frizione”. A sostenere Doha sin dal primo momento è anche la Turchia. Il
rapporto tra i due Paesi continua ad essere solido: ieri
un’esercitazione militare congiunta tra i suoi soldati e quelli del
piccolo emirato lo ha ribadito.
La tensione nell’area è palpabile al punto che sulla crisi
del Golfo è intervenuta ieri anche la rappresentante estera dell’Unione
Europea, Federica Mogherini, che ha provato ad indossare i
panni del pompiere invitando le parti a “ridimensione le tensioni e a
iniziare in un dialogo diretto”. “Qualunque difficoltà, qualunque
tensione – ha dichiarato – può essere e deve essere risolta al tavolo
[delle trattative], discussa dialogando, trovando punti d’incontro anche
politicamente”. L’alta diplomatica europea ha poi sottolineato
come l’Europa abbia un “interesse diretto” nel vedere risolta la
questione dato che i Paesi del Golfo sono suoi partner nella lotta al
“terrorismo”, nella risoluzione di altri conflitti e nello sviluppo
dell’economia della regione. Bisogna dunque ritrovare l’unità
perché “l’area è già abbastanza fragile e pericolosa e assistiamo alle
prime ripercussioni non solo qui, ma anche nell’Africa e in Asia”.
Le speranze di conciliazione di Mogherini cozzano però con la realtà. Ieri,
infatti, è scaduto il termine di 14 giorni dato ai cittadini qatarioti
residenti in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti e in Bahrain per
poter fare ritorno in Qatar. Nello stesso tempo, inoltre,
questi tre paesi hanno esortato i loro connazionali presenti in Qatar ad
abbandonare il territorio “rivale” minacciando di multare coloro che
criticano il provvedimento (che esclude solo le famiglie dalla doppia
nazionalità). Una misura che Amnesty International aveva prontamente
criticato perché “mostra totale disprezzo della dignità umana”. “Questo
termine arbitrario ha causato incertezza e timore diffusi fra migliaia
di persone che temono di essere separati dai loro cari” ha dichiarato
James Lynch di Amnesty.
Riyadh, Abu Dhabi e Manama si difendono dicendo di aver predisposto
alcune linee telefoniche apposite per aiutare le famiglie con membri
qatarioti. Tuttavia, secondo alcune ong umanitarie del Qatar, queste
azioni non sarebbero altro che disposizioni “per salvare la faccia”. Preoccupazione
per il provvedimento è stata espressa mercoledì scorso anche dal capo
dei diritti umani dell’Onu, Zeid Ra’ad al-Hussein.
Al-Hussein si è detto “allarmato” per le conseguenze che le tensioni regionali potrebbero avere sulle persone.
Secondo lui le misure messe in campo dai tre Paesi del Golfo nei
confronti dei cittadini con doppia nazionalità sono inadeguate e ha
fatto sapere di aver già ricevuto numerose segnalazioni da parte di
persone costrette a tornare a casa o a lasciare il Paese in cui
risiedono. I più pesantemente colpiti – ha sottolineato al-Hussein –
sono le coppie di matrimoni misti e i loro figli; le persone con lavori o
affari negli stati in questione e gli studenti che studiano in un altro
paese”.
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