di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Sfogliando i giornali si
ricava l’impressione che una nuova guerra sia dietro l’angolo mentre
Israele non ha alcuna intenzione di impegnarsi in conflitti armati a
nord come a sud». È proprio il “falco” Avigdor Lieberman, il ministro della difesa, a raffreddare le previsioni di chi, in Israele e nella regione, vede affacciarsi un nuovo conflitto al confine tra Libano, Golan siriano occupato e Israele. I segnali ci sono tutti.
L’esercito israeliano nelle ultime 48 ore ha centrato due postazioni e
un camion di munizioni dell’esercito siriano dopo i colpi di mortaio
partiti dalla Siria e caduti nel Golan.
Colpi erranti, sparati durante i combattimenti tra le forze governative e i gruppi jihadisti e qaedisti che agiscono nella Siria
meridionale e a ridosso del Golan. Per Israele – che vede con
favore la caduta del presidente siriano Bashar Assad e di recente è
stato di nuovo accusato di avere contatti stabili sul Golan con
formazioni jihadiste armate – la responsabilità per questi colpi
erranti sparati dalla Siria è solo del governo di Damasco. E la sua reazione scatta comunque contro le truppe siriane.
Il rischio di una nuova guerra è sempre più elevato malgrado
l’acqua gettata sul fuoco della tensione dal ministro della difesa
Lieberman. Le parti fanno la voce grossa. Damasco ha avvertito
che non tollererà altri attacchi israeliani. Tel Aviv accusa il
movimento sciita libanese Hezbollah di aver moltiplicato i suoi posti
d’osservazione sotto la copertura di un’organizzazione ambientalista: “Verdi senza frontiere”.
«Gli Hezbollah conducono lì missioni d’osservazione, pretendendo che
si tratta di attività di questa organizzazione ambientalista»,
protestava qualche giorno fa il capo dei servizi d’intelligence
militari, Hertzi Halevi. Da parte sua Hezbollah lancia l’allarme
sui “lavori di manutenzione” che Israele, nei prossimi giorni, avvierà
lungo la barriera che lo divide dal Libano. Gli israeliani,
afferma il movimento libanese, coglieranno l’opportunità per modificare a
loro vantaggio la linea di confine tra i due Paesi. I media israeliani
ribattono che i guerriglieri sciiti avvieranno azioni di disturbo dei
lavori.
Dietro queste scaramucce verbali si celano i preparativi del secondo
round della guerra del 2006 in Libano del sud, che potrebbero vedere
Israele attaccare anche in Siria. Le cose per Tel Aviv sono
andate diversamente dalle previsioni fatte alcuni anni fa. Bashar Assad è
saldamente al suo posto, le truppe siriane stanno riprendendo il
controllo di gran parte del territorio ed Hezbollah è diventato un
attore protagonista nella regione e non si è affatto indebolito come i
generali israeliani prevedevano in conseguenza delle sue perdite
militari in Siria.
Pochi lo riconoscono ma è evidente che Damasco ha vinto.
Israele non lo dice ma sa che è vero, come sa che il successo militare
ottenuto su avversari sostenuti dai petromonarchi sunniti ha creato una
realtà strategica nuova. Tel Aviv e Amman (e l’aviazione Usa)
collaborano per impedire ai soldati siriani e alle milizie alleate di
prendere il controllo delle linee di confine con il Golan occupato e la
Giordania ma non riusciranno ad impedirlo a lungo.
Più di tutto Israele sa che questa volta, dovesse lanciare un
“attacco preventivo”, potrebbe poi trovare sul campo di battaglia non
solo i guerriglieri libanesi ma anche sciiti pakistani, iraniani e
afghani che ora combattono in Siria contro i jihadisti. «Non
dico che determinati Paesi interverrebbero direttamente ma si
aprirebbero le porte a centinaia di migliaia di combattenti del mondo
arabo e musulmano per partecipare ai combattimenti», ha avvertito il
leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento